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domenica 5 novembre 2023

la rosa purpurea e il pettirosso solitario dei Monti Musi.

la rosa purpurea e il pettirosso solitario dei Monti Musi.

 

 

La rosa purpurea.

 

Dopo un periodo di lontananza la montagna mi chiama, e mi indica una meta ben precisa, quindi, devo solo attendere il giorno propizio che si presenta puntualmente.

La meta sarà il monte dei sogni e per giungere ad esso attraverserò il magico borgo delle rose, confesso che adoro questo fiore, e questa pittoresca frazione ne è ricca.

Spesso, durante i miei cammini in auto mi fermo a portarne via qualcuna, recido con un delicato tocco il fiore dal gambo velandolo dentro il palmo della mano, per poi donarlo a chi amo. Anche stavolta mi sono fermato davanti al magico roseto, e con agire guardingo mi sono avvicinato ad esso, una rosa tra tutte mi ha attratto. Il purpureo fiore se ne stava solitario, fuori dal roseto, e isolato sul marciapiedi, quasi ai margini della strada.

La rosa fiorita da tempo brama di fuggire sui monti che ha sempre venerato da lontano; non vuol essere donata a un amore qualsiasi che, come tutte le cose del divenire, non dureranno in eterno. Il bel fiore mi chiede di portarlo con me,  in un monte, per poter ammirare il mondo dall’alto e aspettare che un sospiro le sparga i petali al vento.

Dopo aver accolto il desiderio della rosa, la colgo e l’adagio sul sedile anteriore dell’auto, e di tanto in tanto lungo il tragitto l’ammiro, chiedendole se essa ha mai amato. Mi risponde di sì, che ha amato, e che sapeva sin da quando era bocciolo che sarebbe stata dono d’amore. Durante la conversazione mi confessa che non le giungo nuovo, spesso mi sono avvicinato ad essa , ma non le volgevo lo sguardo, perché attratto dalle altre, che sicuramente , le fortunate saranno finite dentro le pagine di libro, mentre le malcapitate in un bidone di composto. Stavolta sapeva che sarei passato da lì, lo ha sognato, mi ha chiamato con il cuore e io le ho risposto. Ora come un grande amore, fugge con me, lontano da tutto e da tutti, su una cima che ha solo intravisto nei sogni.

Interrompo il cammino per ammirare le lontane cime, quasi tutte conosciute, anche se mi appaiono più belle che mai, come lo sono i ricordi che con il passare del tempo perdono i colori ombrosi. Un varco tra le rocce simile ad una porta metafisica mi introduce nel magico modo dei titani. Sì, mi riferisco ai giganti, così chiamo i megalitici massi caduti come lacrime di pioggia dal monte dei sogni. Essi, i possenti guardiani del tempio aprono e chiudono la via ai viandanti.

Passo tra i megalitici macigni con gioia, amando la loro superfice dove rifletto il mio amore e il mio dolore. Vagando tra giganti intravedo la non più lontana forcella, essa sposa con una dolce congiunzione le alte elevazioni.

 Sono quasi giunto a destinazione, il tempo è volato via, ugualmente ai pensieri mi gremiscono la mente.

Pochi metri di zolle d’erba ed eccomi nei pressi dell’omino di vetta, tra i sassi non trovo il contenitore del libro dei viandanti. Scrutando prima a sud e poi a ovest scorgo il bivacco di color rosso e la cima a ovest, e due figure umane che odo grazie alle correnti. Urlo verso loro, ma non ascoltano la voce che proviene dal vento, quindi prima che mi conceda alla contemplazione apro il taschino della giubba dove ho riposto la rosa purpurea. Prendo il fiore con cura e delicatamente e lo adagio all’apice cima all’ometto di pietra che simboleggia la cima del monte. Improvvisamente un breve alito di vento sparge alcuni petali per la vetta, il resto rimane deposto assieme al gineceo sulla fredda pietra. Tra i petali scorgo il sorriso dell’elegante fiore, che spegnendo lo sguardo abbandona questo mondo, donando come ultimo gesto i suoi petali color rosso ardente e il suo delicato effluvio.

Osservo la rosa purpurea estinguersi nell’amore, una lacrima furtiva solca il mio viso, la sento scendere, calda e dolce come una carezza, il sacrificio del fiore è un gran gesto d’amore, mi ha commosso.

 

Malfa.

 

 

 

 

Il pettirosso solitario.

 

Il paesaggio che mi circonda è meraviglioso, mi riempie l’animo di emozioni, ammiro tutte le catene montuose della località e anche più in là. La neve ancora non ha fatto capolino e la temperatura mite rende il tutto irreale.

Non so quanto tempo sia trascorso, riprendo la via del ritorno, scendendo lesto per quanto io possa fare, finché mi ritrovo di nuovo tra i giganti di pietra. Ho la vaga impressione di essere seguito, sospetto una strana presenza tra i megalitici guardiani della valle, come di una farfalla, tocchi furtivi che intravedo di sottecchi, per poi fuggire via, chissà dove è andato, chissà cos’è. Ecco svelato il mistero. Trattasi di un uccellino, ancora non riesco a identificarlo, si occulta tra i rami della vegetazione attirando il mio interesse. Ora dal piumaggio l’ho riconosciuto, è un simpatico e solitario pettirosso. Il pennuto birbantello, con brevi guizzi e volteggi mi segue, come se mi guidasse nei sogni e desse risposte ai miei interrogativi. Faccio finta di nulla, di non averlo scorto, ma capto la sua presenza. Mi segue tra le rocce e gli ombrosi faggi dipinti di rosso dall’autunno, lasciandosi accecare dagli aghi dorati del larice. Il pettirosso mi segue sino all’automezzo, mimetizzandosi tra le foglie mancate. Chissà cosa esso desia? Io nel frattempo parto, rientro, lasciando la magica valle per raggiungere l’aperta pianura. Guido con pacatezza, anche se a volte ho la vaga sensazione di essere seguito. Penso che queste sensazioni siano dovute alla stanchezza, quindi sorvolo. Durante la guida sogno e rivivo le emozioni, e in questo stato di estasi raggiungo la frazione dove abito. Dopo aver lasciato l’auto in giardino e scaricato i materiali mi avvio all’abitazione. Davanti il cancello condominiale, posto su un lato noto per terra il corpicino di uccellino, mi abbasso per indagare meglio. È un pettirosso privo di vita, sicuramente morto per la fatica. Con tristezza lasciandomi trasportare dalla fantasia, immagino che sia lo stesso piccolo pettirosso intravisto precedentemente in montagna, e che all’estremo delle sue forze mi ha seguito per un centinaio di chilometri fino a casa, giungendo così stanco da spirare. Lo raccolgo, adagiando il piccolo corpo inerme sopra una foglia e con un’altra lo copro. Non voglio sotterrarlo! Lo adagio con la testolina e lo sguardo proteso verso l’azzurro cielo, chissà perché mi ha seguito, forse mi ha protetto durante il viaggio del ritorno, oppure anch’esso desiderava lasciare la montagna per un mondo e un sogno nuovo, come me in questo momento della mia esistenza.

 

Malfa.

 

















 

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