Il viandante di Monte Arghena.
Breve racconto:
Presso la cima più bassa (dove sosto), trovo un
piccolo ometto con un paio di scarponi, sapevo di trovare quest’ultimi ed
eccoli, quasi rassicuranti per chi temesse sul luogo esatto. Il paesaggio a
settentrione è velato da rami di faggi e betulle, oltre di essi riesco a
intravedere il monte Provagna. A occidente la visuale è coperta dalla cima più
elevata, lasciando cogliere la bianca e luminosa dell’inconfondibile mole del
Crep Nudo; infine, a sud-est la visuale è totalmente sgombra da ostacoli.
La bellezza selvaggia del luogo e la maturata temperatura mite mi invitano a
effettuare una lunga e meritata sosta.
Nel frattempo, prima che Magritte si apparta in angolino per appisolarsi,
procedo a collocare il barattolo con il libro di vetta. Il contenitore è
voluminoso, quindi decido di fare spazio tra i sassi dell’ometto, scoprendo tra
essi un vecchio barattolino di vetro con all’interno alcuni fogli di carta con
delle poesie scritte in francese. Ripongo tutto il contenuto nel nuovo
contenitore, aggiungendo materiale con cui scrivere e una penna.
Nel frattempo che sistemo i vecchi scarponi, leggo la misura all’interno di uno
di essi: <<Cavolo è la mia! >> Esclamo. Nello sfiorare lo scarpone
percepisco un fremito, e simultaneamente entro in un sogno, adesso sono il
viandante a cui appartenevano. D’incanto
non mi trovo più sulla cima dell’Arghena, ma su un’infinita e sconosciuta
cresta battuta dal vento. I miei capelli
sono lunghi, castani e mossi dal vento. Indosso
un cappellaccio e una giacca scamosciata con frange, e in mano stringo un
bastone ricavato da un nocciolo, mentre sulle spalle porto uno zaino di canapa.
Sono un viandante, ho sempre vagato e lo farò per l’eternità. Non ho mai
dormito nello stesso giaciglio e mai con la stessa donna, e sono sicuro di aver
amato solamente la libertà. Ho vissuto, ammirando il sole dall’aurora al
vespro, errando per vie mai nate e mi addormentavo sotto la volta stellata
cullato da Selene. Ho scritto i miei racconti con le suole degli scarponi e in
essi ho riposto la parola fine alla mia esistenza. Un giorno, uno sconosciuto
trovò il mio corpo privo di vita adagiato a un vecchio larice, con pietà non
comune mi seppellì sotto di esso, ma senza gli scarponi. Lo stesso sconosciuto
li tolse delicatamente riponendoli con cura dentro una borsa che portò via con
sé. Un dì (non ricordo quanti anni passarono dalla mia morte), quando un
insolito albeggiare tingeva di rosso fuoco il cielo, prese la borsa contenente
gli scarponi, e salii su quest’anonima cima e rivolgendone le punte a oriente,
li adagiò al suolo, erigendo intorno a essi un santuario con dei semplici
sassi. Lo sconosciuto, è uno spirito libero, e quando morrà toccherà a un altro
viandante portare i suoi scarponi su un’altra montagna…
Inavvertitamente, mentre sono preso dal fantasticare, stacco la mano dallo
scarpone, rientrando bruscamente nella realtà. Ripresomi, ho notato lo sguardo
smarrito e inquieto di Magritte, come se avesse visto in me un fantasma.
La temperatura si è improvvisamente abbassata, mi copro meglio, decidendo di
porre fine alla visita della vetta.
Malfa.
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