Monte
Albignons da Sclopetins.
Solo racconto:
Velocissima
avventura per ascendere un colle nominato sulla mappa monte Albignons.
L’elevazione è
un’alpe di modesta quota, appena 366 metri al di sopra del livello del mare e
sovrasta il torrente Arzino presso il ponte che collega i due argini nella
località di Flagogna. Finora era l’unico colle della località di Castelnovo che
non avevo ancora visitato. Così, un fine settimana, dopo l’attività ludica di
fare compere ho adocchiato il cielo: bellissimo, limpido, e temperatura ideale.
In mente mi è venuto il punto topografico del monte Albignons, sono rientrato a
casa, e dal pc ho ulteriormente studiato la mappa. Attraverso un’acuta analisi
ho valutato dove lasciare l’auto e iniziare l’ascesa. In breve, indosso i panni
da escursionista, oltre allo zaino affardellato porto al seguito una borraccia
d’acqua e un panino preparato a volo. Dalla località di Lestans in pochi minuti
mi catapulto in direzione di Pinzano e di seguito seguo le indicazioni per
Cornino, all’altezza del ponte che porta a Flagogna vado dritto di alcune
centinaia di metri, sino al cimitero che precede il borgo di Sclopentins,
munito di piccolo spiazzo dove lascio l’auto. Zaino in spalle e sogni al seguito,
parto, imboccando la strada che porta a Casiacco. Presso il borgo Sclopetins,
sul margine occidentale della strada è posta una cappella votiva ristrutturata,
poco dietro si nota un divieto di transito e una carrareccia, è l’inizio del
sentiero. Imbocco la carrozzabile, adombrata dal medesimo monte che devo
scalare. La seguo per alcune centinaia di metri, in leggera pendenza, sino alla
fine di un ‘ampio tornante, dove a sinistra scorgo una traccia di sentiero che
ricalca quella segnata sulla mappa. Dopo alcuni metri sono a ridosso del
crinale che da nord a sud ascende al monte, seguo la traccia ben visibile,
sicuramente era un remoto sentiero di montanari. Senza mai perdere la pista
continuo per il ripido e mai faticoso crinale, in alcuni tratti diventa
affascinante per via dell’addentrarsi in una crestina rivestita da voluminosi
ciuffi d’erba; ma allo stesso tempo viene fuori la gelida e tenebrosa oscurità
del versante freddo e mai battuto dal sole. La cresta si collega al corpo
principale del monte superando su entrambi i versanti (orientale e occidentale)
canaloni impraticabili, finché, sempre per la stessa pista marcata, malgrado
qualche schianto, raggiunge il dorso della cresta occidentale del monte. Tutta
l’altura è avvolta dall’ombra della vegetazione selvatica, non ci sono più
tracce, e per la vetta mi dirigo a oriente, districandomi tra acacie, castagni,
liane e altre piante selvatiche. Miro sempre alla quota più alta, deviando
spesso direzione per superare ostacoli naturali come impraticabili cespugli di
rovo. Senza la vegetazione selvatica sarebbe una bella dorsale con uno
splendido panorama, ma lo sguardo non va oltre i fitti arbusti. Alcuni alberi
hanno vistose dimensioni, la quota più alta del monte è nascosta tra i rovi,
materializzata dalle stesse piante cresciute in simbiosi tra diverse e svariate
specie. Questa è la montagna senza la trasformazione dovuta all’uomo: nessuna
coltivazione agricola, alpeggio, sentieristica, costruzione di opere difensive,
edificazione di abitazioni. La montagna al naturale e di bassa quota è un
ambiente dove la stessa luce stenta a filtrare. Un habitat silvestre popolato
dalle stesse leggende che noi umani abbiamo inventato per esorcizzare la paura
di ciò che non è manifesto: lupi, cacciatori, bambine rapite dagli orchi,
streghe e principesse. Abbiamo descritto il bosco popolato da personaggi
immaginari, ma bastava solo guardare dentro noi stessi per scoprire l’autentico
e unico mostro, ovvero la nostra anima. Sulla vetta lascio il segno del
passaggio del viandante, non ci sono altri sentieri da seguire, solo quello che
ho fatto in precedenza e che mi riporta sulla carrareccia. Raggiunta
quest’ultima arteria procedo a ritroso, non ho altri colli da visitare, in
passato li ho esplorati. Raggiungo l’auto e decido di consumare il panino a
casa. Durante il breve viaggio del rientro penso al monte appena scalato,
rifletto sulle emozioni intense che può donare anche una piccola elevazione.
Basta vedere con gli occhi dell’anima per scoprire l’universo che si cela anche
dietro una foglia rinsecchita, una goccia d’acqua appesa a un ramoscello, un
riccio di castagno esposto ai raggi del sole; tutto questo possiede la
sconfinata bellezza dell’unico divenire, la vita.
Malfa
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