La magica conquista della Cima di Gjai
Un dì non precisato, ricordo che fu una bella giornata
ed ero E in ottima compagnia a una castagnata presso casera dei L’Andri , Moggio Udinese. Con il bicchiere colmo di birr mano mi voltai a osservare le belle cime che la
circondano, rimanendo affascinato dal gruppo Grauzaria-Sernio, e tra esse, mi
colpì la più bassina e misteriosa, in essa riconobbi la cima di Gjai; da quel
medesimo istante iniziai il conto alla rovescia per l’ascesa. Stabilii di
condividere l’esperienza con un amico, gli scrissi una mail, egli accettò di
buon grado. L’ appuntamento fu fissato come sempre al Fungo, nei pressi del
cavalcavia vicino alla cittadina di Gemona, luogo d’incontro intramontabile per
i viandanti. Alle prime ore del mattino percorremmo la Val Aupa, il sole
infiammava la cresta della Grauzaria. Raggiunto il parcheggio (dove inizia il
sentiero che porta al rifugio Grauzaria)
ci approntammo, faceva freddo, partimmo ben coperti. Conoscevo benissimo il
sentiero, e durante la marcia discorremmo del più e del meno, arrivando fin
sotto la sfinge. Il gigante di pietra mi fece l’occhiolino, facendomi intuire
che saremmo giunti in cima al monte Gjai. L’amico mi chiese di preciso la
localizzazione della cima, gliela indicai, rimase incredulo, era convinto di
fare una semplice scampagnata, ed è fu certo che non lo presi in giro. Si
convinse dei miei propositi quando, il sottoscritto indicò con l’indice dichiarando:
<< Bellina stai buona, stiamo arrivando!>> Resi edotto l’amico
sulle varie possibilità di ascensione del sentiero alpinistico “Piero Nobile”,
e del consiglio di avuto durante un sogno, di non andare su, per via del
ghiaccio che sicuramente avremmo trovato. Ma quel dì ero determinato, si va su
e basta! Deciderò dopo da quale versante attaccare il sentiero. I dubbi vengono
subito chiariti, troviamo presso il rifugio Grauzaria, il rubinetto della fonte
aperto e tanto ghiaccio intorno ad esso, è molto probabile che dall’ombroso e
freddo canalone Portonat, e sulla famosa paretina troveremo vetrato; quindi,
proseguimmo per la forcella “Foran da la Gjaline. Percorremmo il ripido bosco
di faggi raggiungendo l’inerbita e bella forcella, dove effettuammo la prima
sosta. L’amico si fermò presso di essa, io scesi di pochi metri, sentii il
bisogno di stare da solo per ammirare il paradiso davanti a me, sì, il Sernio!
Rimasi assolto in religioso silenzio per brevi
istanti, mi ripresi dopo, avvicinandomi all’amico, ci dilettammo nello
scambiarci le merendine. Dall’alto ammirammo il bivacco del Mestri, e la valle
fino alla lontana Paularo. Il mio sguardo era fisso alla vicina forcella del
Nuviernulis, da dove filtrava tanta luce. Dalla forcella del Foran da la
Gjaline ci avviammo verso la forcella del Nuviernulis, percorrendo una marcata
traccia, un’evidente mulattiera di guerra, il primo tratto fu comodo e tinto color
oro, grazie ai larici che si sono denudati per la stagione. L’ultimo tratto lo
percorremmo tra roccette e ghiaie, prima di essere investiti da una fonte di
luce intensa, come quella che si vede nel primo istante di vita. Fu tanta la
gioia che avvertimmo. Percepii il trapasso tra i due universi, da quello freddo
e oscuro al caldo e luminoso, fu un ‘emozione intensa, paragonabile al
risveglio.
Il paesaggio che ammirammo era luce mista a colori, ne
fummo inebriati. Sostai presso un masso, assimilando i raggi solari che mi
rigeneravano, prima di affrontare il monte Gjais. Adesso, mentre scrivo, provo
le medesime emozioni di allora, con la mente sono rimasto lì. Iniziammo il
sentiero percorrendo una bella traccia a sinistra della roccia, dove era
apposta la targa del sentiero alpinistico “Piero Nobile”. Tra mughi e zolle,
presso una paretina affrontammo un passaggio (primo inferiore), che superammo con
tranquillità, raggiugendo il pendio sovrastante. Lambendo una cimetta, notammo
qualcosa in cresta, un ramo di mugo ricurvo e un ometto, decidemmo di fargli al
rientro. Tra mughi e zolle risalimmo il pendio, ben guidati da numerosi bolli
rossi. Attraversammo un tratto dove i mughi erano rinsecchiti e in parte
spianati (una cengia artificiale), per ritrovarci di seguito sotto le roccette
della cima del Lavinale. Con cautela risalimmo le zolle scalinate, molto vicine
alla ripida ed esposta forcella. In breve, fummo in vetta al monte Lavinale
piccolo ometto. Al seguito avevo un barattolo di vetro e un libretto, il
compagno di viaggio donò una penna, così istaurammo il libro di vetta. Dalla
cima la visione fu a dir poco strabiliante, ma allo stesso tempo incuteva
timore, visto il vicino e angusto versante orientale della Cima di Gjai. Dalla
nostra posizione non si comprendeva come lo dovevamo risalire, le risposte le
trovammo solo in seguito.
Salutata la cima, scendemmo con cautela e continuammo l’avventura. La piccola e
marcata traccia proseguiva ad oriente, perdendo rapidamente quota tra i mughi
per uno scosceso pendio, fino alla forcella del Lavinale . Ci calammo per 130
metri di dislivello, per poi risalire.
Ci fermammo un attimo per osservare e studiare la parete del Gjais, sembrava
inespugnabile per le nostre possibilità, consultandoci stoicamente decidemmo di
proseguire. Superata una paretina sdrucciolevole, risalimmo la traccia, fino al
primo vero ostacolo dell’escursione, una paretina di venti metri di primo
grado, ben articolata, che affrontammo agevolmente con l’aiuto dei mughi. L’amico
mollò il bastoncino da trekking, lo stesso feci io ma solo con uno dei miei,
quindi, sicuramente non avremmo effettuiamo l’anello passando per l’oscuro
canalone del Portonat. Raggiunta per prati la seconda parete, sostammo un
attimo, decidendo sul da farsi. Mentre sganciavo lo zaino, il mio compagno andò
in avanscoperta per carpire i gradi di difficoltà. Ritornando, mi informa che è
fattibile, a guardarla da lontano pensava peggio. Procedemmo avendo al seguito
solo una sacca e un bastoncino da trekking. Attaccammo la paretina (fu ostica
solo nel punto dove l’esposta cengetta si immette in un canalino, aggettandosi
nel vuoto). La presi con calma e la superai, il prosieguo (canalino incassato)
lo trovai tranquillo, visto che era fornito di numerosi appigli, appoggi e
mughi. Superata la paretina tutto parve facile, bei passaggi sulla roccia e
cenge. Risalendo la crestina fummo finalmente in vetta, e che vetta! Un paradiso,
bellissima sommità, molto articolata, scovammo su tutte le asperità rocciose,
scoprendo che la cassettina con il libro di vetta, non era posta sulla quota
più alta, ma bensì più in basso di soli due metri. È meraviglioso, errammo tra
i massi, divertendoci come fanciulli. Riconoscere la Grauzaria fu una gran gioia, vicina e portentosa.
Sentimenti di felicità rivaleggiavano tra loro, fui immerso in un turbinio di
emozioni, ero totalmente in estasi. Apportammo sul libro di vetta il segno del
nostro passaggio, continuando a godere dell’incanto. Dall’alto osservammo il
sottostante canalone del Portonat, posto proprio sotto la cima, l’istinto era quello di
continuare, ma avevamo lasciato gli zaini e i bastoncini dall’altra parte del
versante. Rientrammo con cautela per la via del ritorno, avendo il pensiero
fisso al passaggio clou presso la nota paretina di roccia. Raggiunto il punto
esposto, lo superai con calma, fermandomi un attimo, fino a quando la testa ne fu
convinta, la fretta non mi è stata mai propizia. Una volta superata la
paretina, fui più sereno, e affrontai con serenità la discesa fino alla
forcella del Lavinale (perdemmo ben 200
metri di quota), per poi risalire quei 130 metri di dislivello che ti spaccano
le gambe. Raggiunta la cima del Lavinale, osservammo la parete del Gjai, per
comprendere il percorso che avevamo compiuto. Continuammo l’escursione fino a
fermarci sotto la cimetta poco dopo il Lavinale, la raggiungemmo, aggiungendo
un legnetto a quello già presente di vetta. Spettacolo! Un paesaggio stupendo: “Quanto
bello sarebbe vivere quassù!” Pensai. Ripreso il cammino, ci fermammo per la
pausa pranzo presso la forcella del Nuviernulis. Mentre il mio compagno di
ventura addenta già il suo panino, io mi sistemo i materiali per poi dedicare
del tempo al mio (panino). Finalmente mi sedetti, e accettai di buon grado un
sorso di vino. Non sostammo molto, il tempo correva, e per il tardo pomeriggio
vogliamo essere al punto di partenza. Il rientro a valle fu avvolto dal
silenzio, il freddo iniziava a farsi sentire. La mente rimase lassù in vetta, a
scaldarsi con l’ultimo sole d’ottobre. Raggiungemmo l’automezzo con l’ultima
luce diurna, e prima che giunse la notte fummo a Moggio, dedicando gli ultimi
scampoli dell’avventura in una taverna. Durante il rientro a casa, un pensiero
fugace volse all’avventura odierna, mi accorsi di aver smarrito sulla cima del
Gjas qualcosa di intimo, il cuore!
Malfa.
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