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sabato 4 novembre 2023

La magica conquista della Cima di Gjai


La magica conquista della Cima di Gjai

 

Un dì non precisato, ricordo che fu una bella giornata ed ero E in ottima compagnia a una castagnata presso  casera dei L’Andri , Moggio Udinese.  Con il bicchiere colmo di birr mano  mi voltai a osservare le belle cime che la circondano, rimanendo affascinato dal gruppo Grauzaria-Sernio, e tra esse, mi colpì la più bassina e misteriosa, in essa riconobbi la cima di Gjai; da quel medesimo istante iniziai il conto alla rovescia per l’ascesa. Stabilii di condividere l’esperienza con un amico, gli scrissi una mail, egli accettò di buon grado. L’ appuntamento fu fissato come sempre al Fungo, nei pressi del cavalcavia vicino alla cittadina di Gemona, luogo d’incontro intramontabile per i viandanti. Alle prime ore del mattino percorremmo la Val Aupa, il sole infiammava la cresta della Grauzaria. Raggiunto il parcheggio (dove inizia il sentiero  che porta al rifugio Grauzaria) ci approntammo, faceva freddo, partimmo ben coperti. Conoscevo benissimo il sentiero, e durante la marcia discorremmo del più e del meno, arrivando fin sotto la sfinge. Il gigante di pietra mi fece l’occhiolino, facendomi intuire che saremmo giunti in cima al monte Gjai. L’amico mi chiese di preciso la localizzazione della cima, gliela indicai, rimase incredulo, era convinto di fare una semplice scampagnata, ed è fu certo che non lo presi in giro. Si convinse dei miei propositi quando, il sottoscritto indicò con l’indice dichiarando: << Bellina stai buona, stiamo arrivando!>> Resi edotto l’amico sulle varie possibilità di ascensione del sentiero alpinistico “Piero Nobile”, e del consiglio di avuto durante un sogno, di non andare su, per via del ghiaccio che sicuramente avremmo trovato. Ma quel dì ero determinato, si va su e basta! Deciderò dopo da quale versante attaccare il sentiero. I dubbi vengono subito chiariti, troviamo presso il rifugio Grauzaria, il rubinetto della fonte aperto e tanto ghiaccio intorno ad esso, è molto probabile che dall’ombroso e freddo canalone Portonat, e sulla famosa paretina troveremo vetrato; quindi, proseguimmo per la forcella “Foran da la Gjaline. Percorremmo il ripido bosco di faggi raggiungendo l’inerbita e bella forcella, dove effettuammo la prima sosta. L’amico si fermò presso di essa, io scesi di pochi metri, sentii il bisogno di stare da solo per ammirare il paradiso davanti a me, sì,  il Sernio!

Rimasi assolto in religioso silenzio per brevi istanti, mi ripresi dopo, avvicinandomi all’amico, ci dilettammo nello scambiarci le merendine. Dall’alto ammirammo il bivacco del Mestri, e la valle fino alla lontana Paularo. Il mio sguardo era fisso alla vicina forcella del Nuviernulis, da dove filtrava tanta luce. Dalla forcella del Foran da la Gjaline ci avviammo verso la forcella del Nuviernulis, percorrendo una marcata traccia, un’evidente mulattiera di guerra, il primo tratto fu comodo e tinto color oro, grazie ai larici che si sono denudati per la stagione. L’ultimo tratto lo percorremmo tra roccette e ghiaie, prima di essere investiti da una fonte di luce intensa, come quella che si vede nel primo istante di vita. Fu tanta la gioia che avvertimmo. Percepii il trapasso tra i due universi, da quello freddo e oscuro al caldo e luminoso, fu un ‘emozione intensa, paragonabile al risveglio.

Il paesaggio che ammirammo era luce mista a colori, ne fummo inebriati. Sostai presso un masso, assimilando i raggi solari che mi rigeneravano, prima di affrontare il monte Gjais. Adesso, mentre scrivo, provo le medesime emozioni di allora, con la mente sono rimasto lì. Iniziammo il sentiero percorrendo una bella traccia a sinistra della roccia, dove era apposta la targa del sentiero alpinistico “Piero Nobile”. Tra mughi e zolle, presso una paretina affrontammo un passaggio (primo inferiore), che superammo con tranquillità, raggiugendo il pendio sovrastante. Lambendo una cimetta, notammo qualcosa in cresta, un ramo di mugo ricurvo e un ometto, decidemmo di fargli al rientro. Tra mughi e zolle risalimmo il pendio, ben guidati da numerosi bolli rossi. Attraversammo un tratto dove i mughi erano rinsecchiti e in parte spianati (una cengia artificiale), per ritrovarci di seguito sotto le roccette della cima del Lavinale. Con cautela risalimmo le zolle scalinate, molto vicine alla ripida ed esposta forcella. In breve, fummo in vetta al monte Lavinale piccolo ometto. Al seguito avevo un barattolo di vetro e un libretto, il compagno di viaggio donò una penna, così istaurammo il libro di vetta. Dalla cima la visione fu a dir poco strabiliante, ma allo stesso tempo incuteva timore, visto il vicino e angusto versante orientale della Cima di Gjai. Dalla nostra posizione non si comprendeva come lo dovevamo risalire, le risposte le trovammo solo in seguito.
Salutata la cima, scendemmo con cautela e continuammo l’avventura. La piccola e marcata traccia proseguiva ad oriente, perdendo rapidamente quota tra i mughi per uno scosceso pendio, fino alla forcella del Lavinale . Ci calammo per 130 metri di dislivello, per poi  risalire. Ci fermammo un attimo per osservare e studiare la parete del Gjais, sembrava inespugnabile per le nostre possibilità, consultandoci stoicamente decidemmo di proseguire. Superata una paretina sdrucciolevole, risalimmo la traccia, fino al primo vero ostacolo dell’escursione, una paretina di venti metri di primo grado, ben articolata, che affrontammo agevolmente con l’aiuto dei mughi. L’amico mollò il bastoncino da trekking, lo stesso feci io ma solo con uno dei miei, quindi, sicuramente non avremmo  effettuiamo l’anello passando per l’oscuro canalone del Portonat. Raggiunta per prati la seconda parete, sostammo un attimo, decidendo sul da farsi. Mentre sganciavo lo zaino, il mio compagno andò in avanscoperta per carpire i gradi di difficoltà. Ritornando, mi informa che è fattibile, a guardarla da lontano pensava peggio. Procedemmo avendo al seguito solo una sacca e un bastoncino da trekking. Attaccammo la paretina (fu ostica solo nel punto dove l’esposta cengetta si immette in un canalino, aggettandosi nel vuoto). La presi con calma e la superai, il prosieguo (canalino incassato) lo trovai tranquillo, visto che era fornito di numerosi appigli, appoggi e mughi. Superata la paretina tutto parve facile, bei passaggi sulla roccia e cenge. Risalendo la crestina fummo finalmente in vetta, e che vetta! Un paradiso, bellissima sommità, molto articolata, scovammo su tutte le asperità rocciose, scoprendo che la cassettina con il libro di vetta, non era posta sulla quota più alta, ma bensì più in basso di soli due metri. È meraviglioso, errammo tra i massi, divertendoci come fanciulli. Riconoscere la Grauzaria fu  una gran gioia, vicina e portentosa. Sentimenti di felicità rivaleggiavano tra loro, fui immerso in un turbinio di emozioni, ero totalmente in estasi. Apportammo sul libro di vetta il segno del nostro passaggio, continuando a godere dell’incanto. Dall’alto osservammo il sottostante canalone del Portonat, posto  proprio sotto la cima, l’istinto era quello di continuare, ma avevamo lasciato gli zaini e i bastoncini dall’altra parte del versante. Rientrammo con cautela per la via del ritorno, avendo il pensiero fisso al passaggio clou presso la nota paretina di roccia. Raggiunto il punto esposto, lo superai con calma, fermandomi un attimo, fino a quando la testa ne fu convinta, la fretta non mi è stata mai propizia. Una volta superata la paretina, fui più sereno, e affrontai con serenità la discesa fino alla forcella del Lavinale (perdemmo  ben 200 metri di quota), per poi risalire quei 130 metri di dislivello che ti spaccano le gambe. Raggiunta la cima del Lavinale, osservammo la parete del Gjai, per comprendere il percorso che avevamo compiuto. Continuammo l’escursione fino a fermarci sotto la cimetta poco dopo il Lavinale, la raggiungemmo, aggiungendo un legnetto a quello già presente di vetta. Spettacolo! Un paesaggio stupendo: “Quanto bello sarebbe vivere quassù!” Pensai. Ripreso il cammino, ci fermammo per la pausa pranzo presso la forcella del Nuviernulis. Mentre il mio compagno di ventura addenta già il suo panino, io mi sistemo i materiali per poi dedicare del tempo al mio (panino). Finalmente mi sedetti, e accettai di buon grado un sorso di vino. Non sostammo molto, il tempo correva, e per il tardo pomeriggio vogliamo essere al punto di partenza. Il rientro a valle fu avvolto dal silenzio, il freddo iniziava a farsi sentire. La mente rimase lassù in vetta, a scaldarsi con l’ultimo sole d’ottobre. Raggiungemmo l’automezzo con l’ultima luce diurna, e prima che giunse la notte fummo a Moggio, dedicando gli ultimi scampoli dell’avventura in una taverna. Durante il rientro a casa, un pensiero fugace volse all’avventura odierna, mi accorsi di aver smarrito sulla cima del Gjas qualcosa di intimo, il cuore!

Malfa.

 

 







































 

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