Monte
Cimacuta (2058 m) da Forni di Sopra.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Friulane.
Avvicinamento
Tolmezzo-Villa Santina-Ampezzo-Forni di Sopra-Frazione Chiandarens -Seguire
indicazioni per il rifugio Giaf- lasciare l’auto presso il cartello con
indicazioni per il sentiero 367.
Dislivello:1200
m.
Dislivello complessivo: 1200 m.
Distanza
percorsa in Km: 8 km.
Quota minima
partenza: 978 m.
Quota
massima raggiunta: 2262 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore.
In: Coppia + Magritte.
Tipologia Escursione: Escursionistica la prima
parte- Selvaggia dal passo del Lavinal fino alla cima.
Difficoltà: E.E.
Segnavia:
CAI 367- Radi ometti e sbiaditi bolli rossi.
Attrezzature:
No
Croce di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 02.
Periodo
consigliato: luglio -ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua:
Si, presso il torrente.
Data: 03
luglio 2017
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
L’ultima
escursione sulla cima di Caserine Alte ha lasciato il segno nel mio stato
d’animo. Mi ha svuotato di tutte le energie, lasciandomi in uno stato di appagamento.
Dopo due anni di intense escursioni, senza mai mancare un fine settimana, in
tutte le condizioni meteo possibili, mi ritrovo in uno stato che definirei
estatico. L’escursione che segue quella precedentemente citata doveva svolgersi
presso il monte Cima Ciol de Sass. La mattina dell’escursione arrivo in Val
settimana, sbagliando subito sentiero, risalire il torrente mi è stato
impossibile, quindi abbandono l’escursione, malgrado il cielo azzurro mi
incitasse a cercare qualcos’altro. Per l’occasione non ho pianificato nessun
piano “B”, e malgrado avessi al seguito la “bibbia grigia”, ho preferito
telefonare alla mogliettina, comunicandole che avrei gradito passare con lei la
giornata. Arrivato in pianura, dei nuvoloni grigi coprivano le catene montuose,
ho compreso il messaggio della montagna, essa, mi vuole proprio tanto bene. Mi rilasso,
vado in giro per negozi, con scarpette, niente peso alle spalle, e profumato, sono
distante anni luce, dal solitario che calza scarponi e puzza di sudore. La sosta
mi aiuta a ricaricare le batterie, forse devo recuperare il tempo sottratto
alla famiglia, come prossima meta escursionistica ne scelgo una che possa
essere accessibile a tutti i membri del mio nucleo familiare. Il Cimacuta sembra avere queste caratteristiche,
non è eccessivamente lunga come chilometraggio, anche se ha ben 1200 metri di
dislivello. Si parte presto la mattina, (si doveva) quando suona la sveglia,
apro un occhio, maneggio il marchingegno, e rinvio di un’ora la metamorfosi, da
dormiente ad arzillo combattente. La giornata promette bene, quindi possiamo
prendercela comoda. Fatte tutte le operazioni previste, il gruppo Malfa-Family,
alias (Giovanna, Magritte e il sottoscritto) si avvia per i lontani confini
della Carnia, ad esplorare una delle meraviglie delle langhe di Forni di Sopra.
Il viaggio di andata è rilassante, sembra di andare in ferie, dentro
l’abitacolo dell’auto si ride, si canta, l’euforia la fa da padrona. Arriviamo
a Forni di Sopra, superato il centro turistico dopo due chilometri imbocchiamo
la forestale a sinistra, seguendo le indicazioni per il rifugio di Giaf. Dopo
alcune centinaia di metri lascio l’auto presso un ponticello (tabelle CAI dove
è segnato il sentiero 367 che porta al Passo del Lavinal). Zaini in spalle,
Magritte e sogni al seguito, partiamo per questa avventura. Superato il
ponticello sul torrente Giaf, iniziamo a risalire la carrareccia dentro il
bosco di conifere, il tragitto dentro il bosco è breve, non abbiamo nemmeno il
tempo di scaldare i muscoli che siamo fuori da esso, all’imbocco di un immenso
vallone di ghiaie. Guadiamo subito un esile torrentello, e risaliamo il pistone
di ghiaia che in breve ci porta a lambire la destra orografica del vallone. Una
rustica fontana in cemento e il soprastante rigolo d’acqua tra i muschi segnano
l’inizio del sentiero selvaggio. Tra la rada vegetazione e le balze erbose
comincia questo bellissimo viaggio interiore. Da lontano, alla mia sinistra,
ammiro le cuspidi rocciose della grande mole del Cimacuta, riesco anche vedere
la croce sulla sommità. La visione costante della meta produce in me due stati
d’animo contrastanti: da una parte un forte timore provocato dalle forme
dolomitiche, dall’altra una forte attrazione. Quel desiderio di libertà che
sembrava sopito, si sta risvegliando lentamente. Il sentiero 367 è
inconfondibile, esso ci permette di distrarci, ammirando le fortezze di pietra
che ci circondano. Lo risaliamo, tra cengette, scalini in legno, tratti di detrito,
per piccoli ed esposti passaggi. Un gioco che crea tante emozioni, sempre
dominate dal sole e dalle bianche pareti della nostra meta, sempre più vicina.
Non ci sono indicazioni da suggerire, si va dritti da occidente a oriente,
risalendo il vallone. La mia consorte è felice, allungo il passo, così ella
potrà vagare nella solitudine del viandante assolta dai pensieri. L’attendo,
con il fido Magritte, all’imbocco del canalone che porta al passo del Lavinal.
Ci fermiamo a fare una breve sosta, un’escursionista con cane pastore sopraggiunge,
noi sostiamo ancora, per poi riprendere il passo. Pochi metri dopo a sinistra sfioriamo le
pendici del ripido ghiaione che porta sotto la cresta, su un masso è scritto
“Cimacuta”; questa scorciatoia porta faticosamente, dritto alla meta, ma noi
proseguiamo per sentiero CAI, risalendo il canalone a sinistra. Al centro del
canalone sono ben visibili opere di rinforzo. La traccia quasi in piano ci porta
in breve agli ultimi metri detritici, poco sotto il passo, materializzato da
una bella croce in legno. Il paesaggio che ammiriamo vale da solo la fatica fin
ora affrontata. Oltre ai lontani Monfalconi, contempliamo le vicine cime del Crodon
di Briga, Cima Valmenon, Lavinal di Palas, e cima Fantulina. Un grande spettacolo,
gli occhi non bastano a visionare tutto, e il cuore a contenere quello che
ammiriamo. Superato il momento di magia proseguiamo per la meta, la mia
consorte si ritiene appagata da quello che ha visto, e mi consiglia, se lo
desidero, di proseguire da solo verso la vetta del Cimacuta. Ci spostiamo tramite
un traverso esposto per pendio erboso sul vicino e immenso mare di ghiaie.
Presso un grande masso, lascio lo zaino, consorte e fido. Porto al seguito solo
la mini sacca con la giacca tecnica. Da lontano riesco a scorgere delle tracce
sulla ghiaia che portano alla vetta, mi dirigo verso di esse attraversando a
vista l’oceano di detriti. In breve tempo le lontane tracce sono ben visibili e
la mia compagna è diventata un piccolo puntino rosso dipinto nell’infinito
bianco. L’esile traccia accompagnata da sbiaditi bolli rossi mi porta a risalire
dentro un canale, tra roccette e balze erbose.
Nulla di impegnativo, in breve mi ritrovo tra le cuspidi rocciose,
passando in mezzo ad esse, come il Don Chisciotte passava tra i mulini a vento.
Sono mostri di pietra, ma buoni, incutono solo amore e passione. Così distratto
da cotanta mirabile bellezza raggiungo la cresta, che di dolomitico ha ben
poco. Essa è erbosa e comodamente larga. Conto tre cime, ne visito solo due, la
più distante e non difficile, l’ammiro e basta, non voglio lasciare la moglie e
il fido ad aspettarmi a lungo. Visito la cima più bassa, quella più esposta,
essa è al termine di un’affilata crestina. Firmo il libro di vetta, mi siedo su
un comodo sasso, noto davanti a me uno strano focolare, forse hanno acceso un
fuoco, sicuramente in una delle feste pagane che si celebrano in Carnia.
Ritornato sulla cima precedente, ammiro il magico paesaggio, fino alle lontane
Dolomiti del Cadore. Abbandono la vetta, e con calma mi calo nel canalone, in
breve raggiungo il ghiaione. Grido, scherzo, canto, la valle crea un bellissimo
eco, la mia compagna, da lontano, udendo il mio allegro strazio si
tranquillizza sulle mie condizioni. Raggiunta la ciurma, recupero lo zaino,
decidendo insieme, di rinviare il pasto per via di alcuni nuvoloni neri che
giocano ad intimorirci. Durante il percorso del rientro incrociamo numerosi
escursionisti forestieri, evidentemente la valle esercita il suo fascino anche
in terre lontane. Raggiunta l’auto, e dopo aver ripreso un aspetto decoroso, ci
concediamo il meritato pasto, che vista l’ora e la fatica, mangiamo con gusto e
letizia. Riprese le forze, si rientra nella civiltà, allegri e sorridenti, e il
sottoscritto innamorato più che mai della “Montagna”.
Il
“Forestiero Nomade”.
Malfa.
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