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lunedì 10 luglio 2017

Monte Cimacuta da Forni di Sopra.

 
Monte Cimacuta (2058 m) da Forni di Sopra.

Note tecniche.

Localizzazione: Dolomiti Friulane.

Avvicinamento Tolmezzo-Villa Santina-Ampezzo-Forni di Sopra-Frazione Chiandarens -Seguire indicazioni per il rifugio Giaf- lasciare l’auto presso il cartello con indicazioni per il sentiero 367.

Dislivello:1200 m.

 Dislivello complessivo: 1200 m.

Distanza percorsa in Km: 8 km.

Quota minima partenza: 978 m.

Quota massima raggiunta: 2262 m.

Tempi di percorrenza. 6 ore.

 In: Coppia + Magritte.

 Tipologia Escursione: Escursionistica la prima parte- Selvaggia dal passo del Lavinal fino alla cima.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif E.E.

Segnavia: CAI 367- Radi ometti e sbiaditi bolli rossi.

Attrezzature: No

Croce di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 02.

Periodo consigliato: luglio -ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.

Fonti d’acqua: Si, presso il torrente.

Data: 03 luglio 2017

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

L’ultima escursione sulla cima di Caserine Alte ha lasciato il segno nel mio stato d’animo. Mi ha svuotato di tutte le energie, lasciandomi in uno stato di appagamento. Dopo due anni di intense escursioni, senza mai mancare un fine settimana, in tutte le condizioni meteo possibili, mi ritrovo in uno stato che definirei estatico. L’escursione che segue quella precedentemente citata doveva svolgersi presso il monte Cima Ciol de Sass. La mattina dell’escursione arrivo in Val settimana, sbagliando subito sentiero, risalire il torrente mi è stato impossibile, quindi abbandono l’escursione, malgrado il cielo azzurro mi incitasse a cercare qualcos’altro. Per l’occasione non ho pianificato nessun piano “B”, e malgrado avessi al seguito la “bibbia grigia”, ho preferito telefonare alla mogliettina, comunicandole che avrei gradito passare con lei la giornata. Arrivato in pianura, dei nuvoloni grigi coprivano le catene montuose, ho compreso il messaggio della montagna, essa, mi vuole proprio tanto bene. Mi rilasso, vado in giro per negozi, con scarpette, niente peso alle spalle, e profumato, sono distante anni luce, dal solitario che calza scarponi e puzza di sudore. La sosta mi aiuta a ricaricare le batterie, forse devo recuperare il tempo sottratto alla famiglia, come prossima meta escursionistica ne scelgo una che possa essere accessibile a tutti i membri del mio nucleo familiare.  Il Cimacuta sembra avere queste caratteristiche, non è eccessivamente lunga come chilometraggio, anche se ha ben 1200 metri di dislivello. Si parte presto la mattina, (si doveva) quando suona la sveglia, apro un occhio, maneggio il marchingegno, e rinvio di un’ora la metamorfosi, da dormiente ad arzillo combattente. La giornata promette bene, quindi possiamo prendercela comoda. Fatte tutte le operazioni previste, il gruppo Malfa-Family, alias (Giovanna, Magritte e il sottoscritto) si avvia per i lontani confini della Carnia, ad esplorare una delle meraviglie delle langhe di Forni di Sopra. Il viaggio di andata è rilassante, sembra di andare in ferie, dentro l’abitacolo dell’auto si ride, si canta, l’euforia la fa da padrona. Arriviamo a Forni di Sopra, superato il centro turistico dopo due chilometri imbocchiamo la forestale a sinistra, seguendo le indicazioni per il rifugio di Giaf. Dopo alcune centinaia di metri lascio l’auto presso un ponticello (tabelle CAI dove è segnato il sentiero 367 che porta al Passo del Lavinal). Zaini in spalle, Magritte e sogni al seguito, partiamo per questa avventura. Superato il ponticello sul torrente Giaf, iniziamo a risalire la carrareccia dentro il bosco di conifere, il tragitto dentro il bosco è breve, non abbiamo nemmeno il tempo di scaldare i muscoli che siamo fuori da esso, all’imbocco di un immenso vallone di ghiaie. Guadiamo subito un esile torrentello, e risaliamo il pistone di ghiaia che in breve ci porta a lambire la destra orografica del vallone. Una rustica fontana in cemento e il soprastante rigolo d’acqua tra i muschi segnano l’inizio del sentiero selvaggio. Tra la rada vegetazione e le balze erbose comincia questo bellissimo viaggio interiore. Da lontano, alla mia sinistra, ammiro le cuspidi rocciose della grande mole del Cimacuta, riesco anche vedere la croce sulla sommità. La visione costante della meta produce in me due stati d’animo contrastanti: da una parte un forte timore provocato dalle forme dolomitiche, dall’altra una forte attrazione. Quel desiderio di libertà che sembrava sopito, si sta risvegliando lentamente. Il sentiero 367 è inconfondibile, esso ci permette di distrarci, ammirando le fortezze di pietra che ci circondano. Lo risaliamo, tra cengette, scalini in legno, tratti di detrito, per piccoli ed esposti passaggi. Un gioco che crea tante emozioni, sempre dominate dal sole e dalle bianche pareti della nostra meta, sempre più vicina. Non ci sono indicazioni da suggerire, si va dritti da occidente a oriente, risalendo il vallone. La mia consorte è felice, allungo il passo, così ella potrà vagare nella solitudine del viandante assolta dai pensieri. L’attendo, con il fido Magritte, all’imbocco del canalone che porta al passo del Lavinal. Ci fermiamo a fare una breve sosta, un’escursionista con cane pastore sopraggiunge, noi sostiamo ancora, per poi riprendere il passo.  Pochi metri dopo a sinistra sfioriamo le pendici del ripido ghiaione che porta sotto la cresta, su un masso è scritto “Cimacuta”; questa scorciatoia porta faticosamente, dritto alla meta, ma noi proseguiamo per sentiero CAI, risalendo il canalone a sinistra. Al centro del canalone sono ben visibili opere di rinforzo. La traccia quasi in piano ci porta in breve agli ultimi metri detritici, poco sotto il passo, materializzato da una bella croce in legno. Il paesaggio che ammiriamo vale da solo la fatica fin ora affrontata. Oltre ai lontani Monfalconi, contempliamo le vicine cime del Crodon di Briga, Cima Valmenon, Lavinal di Palas, e cima Fantulina. Un grande spettacolo, gli occhi non bastano a visionare tutto, e il cuore a contenere quello che ammiriamo. Superato il momento di magia proseguiamo per la meta, la mia consorte si ritiene appagata da quello che ha visto, e mi consiglia, se lo desidero, di proseguire da solo verso la vetta del Cimacuta. Ci spostiamo tramite un traverso esposto per pendio erboso sul vicino e immenso mare di ghiaie. Presso un grande masso, lascio lo zaino, consorte e fido. Porto al seguito solo la mini sacca con la giacca tecnica. Da lontano riesco a scorgere delle tracce sulla ghiaia che portano alla vetta, mi dirigo verso di esse attraversando a vista l’oceano di detriti. In breve tempo le lontane tracce sono ben visibili e la mia compagna è diventata un piccolo puntino rosso dipinto nell’infinito bianco. L’esile traccia accompagnata da sbiaditi bolli rossi mi porta a risalire dentro un canale, tra roccette e balze erbose.  Nulla di impegnativo, in breve mi ritrovo tra le cuspidi rocciose, passando in mezzo ad esse, come il Don Chisciotte passava tra i mulini a vento. Sono mostri di pietra, ma buoni, incutono solo amore e passione. Così distratto da cotanta mirabile bellezza raggiungo la cresta, che di dolomitico ha ben poco. Essa è erbosa e comodamente larga. Conto tre cime, ne visito solo due, la più distante e non difficile, l’ammiro e basta, non voglio lasciare la moglie e il fido ad aspettarmi a lungo. Visito la cima più bassa, quella più esposta, essa è al termine di un’affilata crestina. Firmo il libro di vetta, mi siedo su un comodo sasso, noto davanti a me uno strano focolare, forse hanno acceso un fuoco, sicuramente in una delle feste pagane che si celebrano in Carnia. Ritornato sulla cima precedente, ammiro il magico paesaggio, fino alle lontane Dolomiti del Cadore. Abbandono la vetta, e con calma mi calo nel canalone, in breve raggiungo il ghiaione. Grido, scherzo, canto, la valle crea un bellissimo eco, la mia compagna, da lontano, udendo il mio allegro strazio si tranquillizza sulle mie condizioni. Raggiunta la ciurma, recupero lo zaino, decidendo insieme, di rinviare il pasto per via di alcuni nuvoloni neri che giocano ad intimorirci. Durante il percorso del rientro incrociamo numerosi escursionisti forestieri, evidentemente la valle esercita il suo fascino anche in terre lontane. Raggiunta l’auto, e dopo aver ripreso un aspetto decoroso, ci concediamo il meritato pasto, che vista l’ora e la fatica, mangiamo con gusto e letizia. Riprese le forze, si rientra nella civiltà, allegri e sorridenti, e il sottoscritto innamorato più che mai della “Montagna”.

Il “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 




































































































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