Anello del
Monte Monticello di Moggio.
C‘era una
volta…, e c’è ancora una bellissima valle, Val Aupa. Questo stupendo luogo è un
magnifico scrigno, l’isola che non c’è o, meglio, “l’isola del tesoro”. I suoi
gioielli sono i monti che la circondano, sicuramente tra i più affascinati del
Friuli, ed è impossibile resistere al suo fascino. La piccola cittadina di
Moggio è il custode, posta alle porte di essa come guardiano. Tra le sue
magnificenze cito le cime del gruppo Sernio-Grauzaria e l’entusiasmante “Alta
Via” che dal Pisimoni (Cavaliere indomito e possente) con alpinistici
saliscendi raggiunge le lontane e dolomitiche Crete di Gleris, si i monti che
tutti i bimbi del mondo disegnano. Spaziare con lo sguardo nel suo universo è
come entrare in una ricca e fornita pasticceria. Negli anni trascorsi ho conosciuto
le cime più rinomate su entrambi i versanti della valle del Torrente Aupa, per
poi scoprire con la maturità le cosiddette “cime minori”, che poi minori non lo
sono mai state. Questa primavera affrontando il Cimadors dal borgo Grauzaria,
conversai con un vallegiano che mi indicò tra le possibili cime da fare in zona
“il Monticello”. Osservai il monte indicato, lo snobbai giudicandolo
imperdonabilmente ed erroneamente un piccolo e boscoso colle. Ripensando ad una
massima che cita “solo gli idioti non cambiano parere “, ho cambiato ben presto
opinione. Osservando la morfologia del territorio da una mappa, sono rimasto
colpito dalla semplicità del percorso, così ho deciso di vivere l’escursione
come in una favola.
Il giorno
dell’escursione, come mia abitudine, parto in solitaria e in piena notte da
casa. Strada facendo non incontro nessuno, giungo nei pressi di Moggio Udinese,
imboccando la deviazione per l’Abbazia, e seguendo le indicazioni per
Travasans, attraverso il borgo sostando presso un prato. Spengo l’auto e visto
che è ancora notte aspetto le prime luci del giorno avvolgendomi con un Plaid di lana.
Nel frattempo,
il sonno ha il sopravvento, e rapito da Morfeo
viaggio in un fantastico sogno, dove cavalieri erranti conquistano
manieri, liberando principesse da orchi cattivi. Poche ore dopo una fioca luce
giunge filtra dentro l’abitacolo, è Aurora che sopraggiunge con le ninfe dai colori rosati. Mi desto e mi
accorgo che ho dimenticato due termos con the caldo a casa, pazienza, si parte
lo stesso. Indosso gli scarponi, azzero i dati del GPS e con lo zaino stracolmo
di sogni parto per la nuova avventura. Nella tasca destra della giacca a vento
tengo la mappa, ma non ne farò uso. Il sentiero parte subito dopo le ultime
case del borgo, un segno CAI mi indica che sono sulla pista giusta, si tratta
di una carrareccia asfaltata. Proseguo lentamente, il meteo è mio alleato, mi
gusterò l’escursione attimo per attimo, albero per albero, pigna per pigna.
Osservo gli alberi senza fogliame, l’autunno volge al termine, lasciando la
platea al generale inverno. La carrareccia risale il bosco sul versante
occidentale delle “Crete da la Mont”, mi fermo davanti un cartello CAI, noto
una farfallina dormiente sulla numerazione, la osservo e penso ad un episodio
avvenuto a casa la mattina precedente, che di seguito descrivo. Appena
svegliatomi mi avvio in cucina per fare colazione, accendo la macchinetta del
caffè e do un’occhiata sul tavolo, dove scorgo un piccolo opuscoletto per
piccini. Lo prendo e lo sfoglio, sulla copertina è illustrato un bruco color verde,
il titolo è “La storia del Bruco e della Farfalla”, ignoravo questa fiaba, mi
avvio in bagno leggendola: << C’era una volta un piccolo bruco che
camminava verso una grande montagna. Lungo la strada incontrò una coccinella
che gli chiese “dove vai”? Il bruco rispose “ieri ho fatto un sogno nel quale
mi trovavo sulla cima di una montagna e da lì potevo vedere tutta la valle.
Oggi voglio realizzare il mio sogno”. Sorpresa, la coccinella gli disse: “devi
essere pazzo! Tu sei solo un piccolo bruco. Per te, un sassolino sarà una
montagna, una pozzanghera sarà un mare e ogni cespuglio sarà una barriera
impossibile da oltrepassare”. Ma il piccolo bruco era già lontano e non la
sentì. La stessa cosa accadde con la rana, la talpa e il topo. Tutti gli
consigliarono di fermarsi, dicendo: “non arriverai mai…!”. Ma il piccolo bruco,
determinato e coraggioso, continuò a camminare. Stremato e senza forze, ad un
tratto decise di fermarsi a riposare. Con un ultimo sforzo si preparò un posto
per dormire quella notte. “Così mi sentirò meglio” disse il piccolo bruco. Ma
morì. Per giorni, gli animali si avvicinarono a vedere i suoi resti. Lì c’era
l’animale più pazzo del mondo, lì c’era l’ultimo rifugio di un piccolo bruco
morto per aver inseguito un sogno. All’improvviso però quel bocciolo
grigiastro, si ruppe. Comparvero due occhioni, due antenne e due bellissime ali
dai colori stupendi. Era una farfalla! Gli animali restarono senza parole,
meravigliati da quella stupenda creatura che in un istante prese il volo e
raggiunse la cima della montagna. Il sogno del bruco, diventato farfalla, si
realizzò. Il sogno per il quale aveva vissuto, per il quale aveva lottato, era
finalmente diventato realtà.>> Finito di leggere la fiaba, una lacrima mi
solcò il viso. Questa piccola farfallina sulla tabella CAI è un caso? Penso al
bruco e idealmente lo porterò con me in cima. La carrareccia inoltrandosi nel
bosco di pino nero assume l’aspetto di un sentiero, il percorso è cosparso di
pigne, ne raccolgo una, la pendenza è dolce e dà sollievo allo spirito. Molte
conifere sono rinsecchite, sembrano fantasmi di un remoto passato, mi diletta
osservarne le forme. Nel bigio cielo noto delle leggere tinte azzurre, si apre.
Il bel sentiero come un gioco mi mostra dei simboli che sta a me interpretare:
Una catena spezzata, un’ancona senza simbolo, tronchi d’albero con forme
antropomorfe, tutto mi comunica felicità e malinconia nel medesimo istante, la
stessa emozione che provo quando sono libero da tutto e da tutti. Come un
fantasma vago per il bosco, percependo la presenza di quello che un giorno fu.
Il vecchio sentiero ora si biforca in due direzioni, a destra prosegue verso il
borgo Badiuz, a sinistra passando davanti a un rudere (Stavolo Borghi) procede
per il Monticello, invertendo la direzione di marcia a sud. Il piccolo stavolo
di Borghi ha le dimensioni di una capanna. Una piccola pentola di colore
azzurro è posta fuori dall’uscio, sicuramente per abbeverare i quadrupedi di
passaggio. La magia del tempo passato accompagna i miei passi. Subito dopo il
rudere inizia il tratto più impegnativo dell’escursione, un lunghissimo ed
esposto traverso reso infido dalla neve che attraversa il versante orientale
del monte. Ricalco le orme di chi mi ha preceduto, concentrandomi passo dopo
passo, concentrato al massimo, una scivolata sarebbe fatale. Superato il tratto
impegnativo e immerso nella pineta raggiungo la mulattiera di guerra e il
sentiero si biforca: la pista che prenderò al ritorno prosegue a meridione, per
la cima proseguo a settentrione risalendo la mulattiera che con una ansa mi
porta a tagliare la cresta. Raggiunta quest’ultima noto un passaggio tra le
zolle erbe, lo percorro e mi ritrovo a cavalcare la cresta, un’emozione unica.
La neve ha ricoperto il monte dai mille metri in su, ma non è spessa, sarà
profonda cinque centimetri, ma quel tanto che ti rende comodo e felpato il
passo. Io da sempre adoro le creste, perché mi illudo di essere il funambolo
che percorre in equilibrio una fune invisibile. La crestina del monticello è
deliziosa. Con una serie di su e giù guadagno quota, sopra di me domina il
cielo azzurro, in lontananza ammiro finalmente le meraviglie della Val Apua. La
Regina Grauzaria mi dà il buongiorno, dietro di essa il Re Sernio è ancora
dormiente, e mi par di udire come al solito il suo brontolio. Alla mia destra
la fila di betulle che danno il nome alla cresta, da esse osservo la bellissima
alta via citata a inizio racconto, tutta imbiancata, regale, straordinariamente
irresistibile nella sua versione invernale. Proseguo verso la cima cavalcando
la crestina, dietro ogni cimetta ne segue un'altra, l’emozione è tanta e
sostituisce la fatica con la beatitudine. Finalmente scorgo l’ultima
elevazione, e dopo una croce che si apre sul meraviglioso paesaggio, il piccolo
bruco sta realizzando il suo sogno, aprendo e librando le ali. Sto volando, mi
giro intorno, mi rigiro, è immensamente straordinario questo pulpito, è una
regale reggia da dove poter ammirare il paradiso. Sì, il paradiso, non potevo
chiedere di più, sono ben cosciente che non è la cima più alta e nobile del
gruppo. Per questo l’adoro, avendo intuito il caleidoscopio di emozioni che mi
sta donando. Sono accaldato, cambio a volo la maglietta, tira un vento gelido,
avevo altri propositi, voluttuosi, che oggi declino. Mi copro ed estraggo dallo
zaino la borsa viveri, mi posto su una zolla asciutta, concedendomi il pasto.
Nel frattempo, ammiro le montagne circostanti, descrivere questo momento a
parole è impossibile, bisogna viverlo. Sosto una buona mezzoretta, i ricordi
volano con la fantasia. Ora sono un Re e non ho nessuna voglia di abdicare e
ritornare alla vita quotidiana. L’altra parte di me, quella che vive una vita normale
in un mondo piatto a fare cose banali mi sveglia dal sogno e mi invita a essere
realista, proseguendo l’anello escursionistico. Riprendo lo zaino abbandonando
la cima, seguo la traccia che mi porta a marcare la mulattiera che scende sul
versante occidentale del monte. Il sentiero, con una lunga serie di tornanti,
prima passa davanti ad una galleria artificiale e successivamente perdendo
quota raggiunge il sentiero dell’andata, supero il bivio procedendo sul
versante occidentale, con una lunga serie di tornanti nel bosco, e sempre per
comoda mulattiera raggiungo la forca materializzata da una piccola ancona.
Breve sosta, incontro dei ciclisti in mountain bike che risalgono il sentiero.
Dalla piccola cappella votiva si potrebbe accorciare l’escursione raggiungendo
in breve il borgo di Travasans scendendo per un sentiero a oriente, ma seguo
l’invito a compiere l’intero anello. Il percorso risulta molto lungo e poco
remunerativo, a parte un bellissimo pulpito panoramico da dove potere ammira i
monti circostanti e gli Stavoli. Quasi tutto il sentiero percorre il pendio
boschivo del monte Cesariis, perdendo quota fino a raggiungere la strada
asfaltata. Sulla rotabile al primo bivio a sinistra scendo lungo la diramazione
fino a scorgere un ruscello a destra, imbocco il sentiero che guada il Rio
Travasans riportandomi al borgo omonimo, il punto di partenza dove è
parcheggiata l’auto. Ammiro dal basso la figura del Monticello, che illuminato
dal sole mi appare dolce e candido. Mi cambio, mi accorgo di aver perso le ali
e mi appronto per la ripartenza. Riprendo la guida dell’auto ripercorrendo la
strada dell’andata, pochi metri dopo sosto a motore acceso presso un curvone.
Sono sotto l’abbazia, e dietro di essa scorgo il maestoso Pisimoni. Meraviglia,
imprimo nella mente quest’ultima immagine, prima di proseguire verso “La
civiltà”. La farfalla ritorna bruco, in un mondo popolato anche da vermi.
Malfa.
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