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mercoledì 15 novembre 2023

Anello del Monte Monticello di Moggio.

Anello del Monte Monticello di Moggio.

 

C‘era una volta…, e c’è ancora una bellissima valle, Val Aupa. Questo stupendo luogo è un magnifico scrigno, l’isola che non c’è o, meglio, “l’isola del tesoro”. I suoi gioielli sono i monti che la circondano, sicuramente tra i più affascinati del Friuli, ed è impossibile resistere al suo fascino. La piccola cittadina di Moggio è il custode, posta alle porte di essa come guardiano. Tra le sue magnificenze cito le cime del gruppo Sernio-Grauzaria e l’entusiasmante “Alta Via” che dal Pisimoni (Cavaliere indomito e possente) con alpinistici saliscendi raggiunge le lontane e dolomitiche Crete di Gleris, si i monti che tutti i bimbi del mondo disegnano. Spaziare con lo sguardo nel suo universo è come entrare in una ricca e fornita pasticceria. Negli anni trascorsi ho conosciuto le cime più rinomate su entrambi i versanti della valle del Torrente Aupa, per poi scoprire con la maturità le cosiddette “cime minori”, che poi minori non lo sono mai state. Questa primavera affrontando il Cimadors dal borgo Grauzaria, conversai con un vallegiano che mi indicò tra le possibili cime da fare in zona “il Monticello”. Osservai il monte indicato, lo snobbai giudicandolo imperdonabilmente ed erroneamente un piccolo e boscoso colle. Ripensando ad una massima che cita “solo gli idioti non cambiano parere “, ho cambiato ben presto opinione. Osservando la morfologia del territorio da una mappa, sono rimasto colpito dalla semplicità del percorso, così ho deciso di vivere l’escursione come in una favola.

Il giorno dell’escursione, come mia abitudine, parto in solitaria e in piena notte da casa. Strada facendo non incontro nessuno, giungo nei pressi di Moggio Udinese, imboccando la deviazione per l’Abbazia, e seguendo le indicazioni per Travasans, attraverso il borgo sostando presso un prato. Spengo l’auto e visto che è ancora notte aspetto le prime luci del giorno  avvolgendomi con un Plaid di lana.

Nel frattempo, il sonno ha il sopravvento, e rapito da Morfeo  viaggio in un fantastico sogno, dove cavalieri erranti conquistano manieri, liberando principesse da orchi cattivi. Poche ore dopo una fioca luce giunge filtra dentro l’abitacolo, è Aurora che sopraggiunge  con le ninfe dai colori rosati. Mi desto e mi accorgo che ho dimenticato due termos con the caldo a casa, pazienza, si parte lo stesso. Indosso gli scarponi, azzero i dati del GPS e con lo zaino stracolmo di sogni parto per la nuova avventura. Nella tasca destra della giacca a vento tengo la mappa, ma non ne farò uso. Il sentiero parte subito dopo le ultime case del borgo, un segno CAI mi indica che sono sulla pista giusta, si tratta di una carrareccia asfaltata. Proseguo lentamente, il meteo è mio alleato, mi gusterò l’escursione attimo per attimo, albero per albero, pigna per pigna. Osservo gli alberi senza fogliame, l’autunno volge al termine, lasciando la platea al generale inverno. La carrareccia risale il bosco sul versante occidentale delle “Crete da la Mont”, mi fermo davanti un cartello CAI, noto una farfallina dormiente sulla numerazione, la osservo e penso ad un episodio avvenuto a casa la mattina precedente, che di seguito descrivo. Appena svegliatomi mi avvio in cucina per fare colazione, accendo la macchinetta del caffè e do un’occhiata sul tavolo, dove scorgo un piccolo opuscoletto per piccini. Lo prendo e lo sfoglio, sulla copertina è illustrato un bruco color verde, il titolo è “La storia del Bruco e della Farfalla”, ignoravo questa fiaba, mi avvio in bagno leggendola: << C’era una volta un piccolo bruco che camminava verso una grande montagna. Lungo la strada incontrò una coccinella che gli chiese “dove vai”? Il bruco rispose “ieri ho fatto un sogno nel quale mi trovavo sulla cima di una montagna e da lì potevo vedere tutta la valle. Oggi voglio realizzare il mio sogno”. Sorpresa, la coccinella gli disse: “devi essere pazzo! Tu sei solo un piccolo bruco. Per te, un sassolino sarà una montagna, una pozzanghera sarà un mare e ogni cespuglio sarà una barriera impossibile da oltrepassare”. Ma il piccolo bruco era già lontano e non la sentì. La stessa cosa accadde con la rana, la talpa e il topo. Tutti gli consigliarono di fermarsi, dicendo: “non arriverai mai…!”. Ma il piccolo bruco, determinato e coraggioso, continuò a camminare. Stremato e senza forze, ad un tratto decise di fermarsi a riposare. Con un ultimo sforzo si preparò un posto per dormire quella notte. “Così mi sentirò meglio” disse il piccolo bruco. Ma morì. Per giorni, gli animali si avvicinarono a vedere i suoi resti. Lì c’era l’animale più pazzo del mondo, lì c’era l’ultimo rifugio di un piccolo bruco morto per aver inseguito un sogno. All’improvviso però quel bocciolo grigiastro, si ruppe. Comparvero due occhioni, due antenne e due bellissime ali dai colori stupendi. Era una farfalla! Gli animali restarono senza parole, meravigliati da quella stupenda creatura che in un istante prese il volo e raggiunse la cima della montagna. Il sogno del bruco, diventato farfalla, si realizzò. Il sogno per il quale aveva vissuto, per il quale aveva lottato, era finalmente diventato realtà.>> Finito di leggere la fiaba, una lacrima mi solcò il viso. Questa piccola farfallina sulla tabella CAI è un caso? Penso al bruco e idealmente lo porterò con me in cima. La carrareccia inoltrandosi nel bosco di pino nero assume l’aspetto di un sentiero, il percorso è cosparso di pigne, ne raccolgo una, la pendenza è dolce e dà sollievo allo spirito. Molte conifere sono rinsecchite, sembrano fantasmi di un remoto passato, mi diletta osservarne le forme. Nel bigio cielo noto delle leggere tinte azzurre, si apre. Il bel sentiero come un gioco mi mostra dei simboli che sta a me interpretare: Una catena spezzata, un’ancona senza simbolo, tronchi d’albero con forme antropomorfe, tutto mi comunica felicità e malinconia nel medesimo istante, la stessa emozione che provo quando sono libero da tutto e da tutti. Come un fantasma vago per il bosco, percependo la presenza di quello che un giorno fu. Il vecchio sentiero ora si biforca in due direzioni, a destra prosegue verso il borgo Badiuz, a sinistra passando davanti a un rudere (Stavolo Borghi) procede per il Monticello, invertendo la direzione di marcia a sud. Il piccolo stavolo di Borghi ha le dimensioni di una capanna. Una piccola pentola di colore azzurro è posta fuori dall’uscio, sicuramente per abbeverare i quadrupedi di passaggio. La magia del tempo passato accompagna i miei passi. Subito dopo il rudere inizia il tratto più impegnativo dell’escursione, un lunghissimo ed esposto traverso reso infido dalla neve che attraversa il versante orientale del monte. Ricalco le orme di chi mi ha preceduto, concentrandomi passo dopo passo, concentrato al massimo, una scivolata sarebbe fatale. Superato il tratto impegnativo e immerso nella pineta raggiungo la mulattiera di guerra e il sentiero si biforca: la pista che prenderò al ritorno prosegue a meridione, per la cima proseguo a settentrione risalendo la mulattiera che con una ansa mi porta a tagliare la cresta. Raggiunta quest’ultima noto un passaggio tra le zolle erbe, lo percorro e mi ritrovo a cavalcare la cresta, un’emozione unica. La neve ha ricoperto il monte dai mille metri in su, ma non è spessa, sarà profonda cinque centimetri, ma quel tanto che ti rende comodo e felpato il passo. Io da sempre adoro le creste, perché mi illudo di essere il funambolo che percorre in equilibrio una fune invisibile. La crestina del monticello è deliziosa. Con una serie di su e giù guadagno quota, sopra di me domina il cielo azzurro, in lontananza ammiro finalmente le meraviglie della Val Apua. La Regina Grauzaria mi dà il buongiorno, dietro di essa il Re Sernio è ancora dormiente, e mi par di udire come al solito il suo brontolio. Alla mia destra la fila di betulle che danno il nome alla cresta, da esse osservo la bellissima alta via citata a inizio racconto, tutta imbiancata, regale, straordinariamente irresistibile nella sua versione invernale. Proseguo verso la cima cavalcando la crestina, dietro ogni cimetta ne segue un'altra, l’emozione è tanta e sostituisce la fatica con la beatitudine. Finalmente scorgo l’ultima elevazione, e dopo una croce che si apre sul meraviglioso paesaggio, il piccolo bruco sta realizzando il suo sogno, aprendo e librando le ali. Sto volando, mi giro intorno, mi rigiro, è immensamente straordinario questo pulpito, è una regale reggia da dove poter ammirare il paradiso. Sì, il paradiso, non potevo chiedere di più, sono ben cosciente che non è la cima più alta e nobile del gruppo. Per questo l’adoro, avendo intuito il caleidoscopio di emozioni che mi sta donando. Sono accaldato, cambio a volo la maglietta, tira un vento gelido, avevo altri propositi, voluttuosi, che oggi declino. Mi copro ed estraggo dallo zaino la borsa viveri, mi posto su una zolla asciutta, concedendomi il pasto. Nel frattempo, ammiro le montagne circostanti, descrivere questo momento a parole è impossibile, bisogna viverlo. Sosto una buona mezzoretta, i ricordi volano con la fantasia. Ora sono un Re e non ho nessuna voglia di abdicare e ritornare alla vita quotidiana. L’altra parte di me, quella che vive una vita normale in un mondo piatto a fare cose banali mi sveglia dal sogno e mi invita a essere realista, proseguendo l’anello escursionistico. Riprendo lo zaino abbandonando la cima, seguo la traccia che mi porta a marcare la mulattiera che scende sul versante occidentale del monte. Il sentiero, con una lunga serie di tornanti, prima passa davanti ad una galleria artificiale e successivamente perdendo quota raggiunge il sentiero dell’andata, supero il bivio procedendo sul versante occidentale, con una lunga serie di tornanti nel bosco, e sempre per comoda mulattiera raggiungo la forca materializzata da una piccola ancona. Breve sosta, incontro dei ciclisti in mountain bike che risalgono il sentiero. Dalla piccola cappella votiva si potrebbe accorciare l’escursione raggiungendo in breve il borgo di Travasans scendendo per un sentiero a oriente, ma seguo l’invito a compiere l’intero anello. Il percorso risulta molto lungo e poco remunerativo, a parte un bellissimo pulpito panoramico da dove potere ammira i monti circostanti e gli Stavoli. Quasi tutto il sentiero percorre il pendio boschivo del monte Cesariis, perdendo quota fino a raggiungere la strada asfaltata. Sulla rotabile al primo bivio a sinistra scendo lungo la diramazione fino a scorgere un ruscello a destra, imbocco il sentiero che guada il Rio Travasans riportandomi al borgo omonimo, il punto di partenza dove è parcheggiata l’auto. Ammiro dal basso la figura del Monticello, che illuminato dal sole mi appare dolce e candido. Mi cambio, mi accorgo di aver perso le ali e mi appronto per la ripartenza. Riprendo la guida dell’auto ripercorrendo la strada dell’andata, pochi metri dopo sosto a motore acceso presso un curvone. Sono sotto l’abbazia, e dietro di essa scorgo il maestoso Pisimoni. Meraviglia, imprimo nella mente quest’ultima immagine, prima di proseguire verso “La civiltà”. La farfalla ritorna bruco, in un mondo popolato anche da vermi.

Malfa.

 


















 

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