Nel magico Friuli montano vi è un bel paesello che sorge alle pendici
meridionali dell’affascinante monte Vualt, in una idilliaca posizione, da dove
si può ammirare in tutta la sua magnificenza una delle regine della montagna
friulana, la Creta Grauzaria. Puntualmente, quando ho bisogno di forti
emozioni, mi reco nel regno dei moggesi, vagabondando nella Valle Aupa alla
ricerca dei suoi gioielli. Per quest’ultima avventura, assieme alla mia
compagna, abbiamo scelto come luogo di partenza proprio Dordolla. A Dordolla
giungiamo due ore prima del meriggio, dove godiamo di una meravigliosa domenica
dal tono primaverile. Mentre ci approntiamo, con lo sguardo ammiro le case
della frazione e il moto laborioso dei locali. Oggi la nostra meta sarà il Monte
Forchiadice. Transitiamo per le stradine del borgo, intuendo che si tratta di
una frazione viva e che brulica anche di presenze giovanili, e soprattutto di
spiriti liberi. In passato, durante le mie escursioni in loco, ho incontrato
tanti tipi positivamente strani, che vivevano e operavano a Dordolla, intuisco
anche il perché di questa speciale presenza. Un frigo posto all’esterno di una
abitazione, in disuso e dipinto a mano, attira la nostra attenzione,
all’esterno vi è scritto con una bella calligrafia “ la grande piccola
biblioteca”. Apriamo le portiere di quello che fu un elettrodomestico, per
scoprire centinaia di libri pronti a volare per altri lidi, in attesa dei nuovi
che prendano il loro posto. Noi abbiamo sempre un libro nello zaino, e lasciamo
il nostro, scritto da Montanelli, per un’opera di Pirandello, mi pare che sia
stato un ottimo scambio. Dordolla è anche questo, cultura, mentre nell’aria si
fiuta il magico odore della legna arsa nel camino. Grazie ai numerosi segni Cai
posti nella periferia del paese iniziamo il nostro giro escursionistico,
decidendo di compiere nell’odierna gita un anello con senso antiorario.
Il primo tratto del cammino ha un fascino particolare, presso gli Stavoli
Soval ci fermiamo ad osservare gli oggetti posti all’esterno di un edificio,
raccolti sicuramente dall’omino che abita la casetta nel suo vagare tra i
monti. Fra la maestosa vegetazione, un noce spoglio e un regale e vistoso
faggio con foglie dai colori accesi, ci danno il benvenuto, augurandoci un buon
cammino. Il sentiero, di remota memoria, è comodissimo per le nostre
articolazioni, esso conduce nel primo tratto all’interno di una meravigliosa
pineta, dove rare sono le altre specie arboree. Poche volte le fronde concedono
la visuale del paesaggio circostante, e in quei momenti spuntano all’orizzonte
le verticali e fantasiose pareti occidentali del Vualt, che da questo versante
paiono invincibili. Sopra un cocuzzolo lambiamo un solitario rudere, rassegnato
all’inesorabile oblio che il tempo accorda alle opere dell’uomo. Poco dopo
l’ultimo bivio il sentiero prosegue per la Malga Vualt, noi viriamo a sinistra,
e con una lunga serie di stretti tornanti, risaliamo la china, guadagnando
vistosamente quota all’interno del vallone fluviale scavato dal Riu di Vat, e a
sua volta, racchiuso tra il versante occidentale del Monte Vualt e le pendici
meridionali del Monte Forchiadice. La pineta pian piano viene avvicendata da
una meravigliosa faggeta. Il bosco è ben pulito, e si nota l’opera dell’uomo.
finalmente, dai balconi panoramici offerti dagli stretti tornanti del sentiero,
possiamo ammirare le altre elevazioni che svettano a meridione. Quella che
attira la mia attenzione e spicca più delle altre è la breve cresta del monte
Masereit, che dal mio punto di vista appare come se fosse scolpita a forma di
corna. Lo sguardo vola anche a valle, ammirando il fondersi delle catene
montuose in mille tonalità d’azzurro. La nostra meta pare dietro l’angolo, ma è
un inganno visivo, il cammino è ancora lungo. Dalla frazione di Dordolla
dobbiamo risalire ben mille metri di dislivello. L’azzurra volta che filtra
dalle fronde spoglie dei faggi indica che siamo vicini alla bella forcella
posta tra i due monti. Ultimi tornanti ed eccoci sulla forchia, dove spiccano i
resti dei manufatti militari risalenti al Primo Conflitto Mondiale. Questa
fetta di territorio era il secondo sbarramento trincerato che aveva creato il
Regio Esercito Italiano nella sciagurata ipotesi che gli austroungarici
avessero sfondato il fronte. Nella flora i pini mughi hanno sostituito i faggi.
Vago con lo sguardo riconoscendo all’orizzonte lo Zermula, la Creta di Aip e
altre elevazioni, che furono al centro della contesa degli opposti schieramenti
nella Prima guerra mondiale, e che oggi mostrano una spolverata di neve sulle
creste, a testimoniare che il Generale Inverno sta per arrivare. La nostra meta
è vicina, e dal nostro punto di vista si mostra nel suo duplice aspetto, dolce
e abbordabile a sud, ostica e indomabile a nord. Proseguiamo, sperando di
trovare per la vetta più alta del Monte Forchiadice un punto propizio dove ascendere
cima. Grazie all’ausilio dei mughi adoperati come corde iniziamo la scalata. Il
tratto è ripido, ma con prudenza dopo pochi minuti siamo in vetta. Nessun
ometto è stato eretto sulla quota più
alta del monte Forchiadice, sicuramente è dovuto all’enorme esposizione.
Commosso dall’anonimato, ne erigo uno nel fazzoletto d’erba esposto sul vuoto.
La visita è breve , tira vento, e anche forte esposizione consiglia una breve
permanenza. Per la discesa dalla vetta sino al sentiero sottostante, seguiamo
delle tracce nelle zolle, naturalmente grazie all’ausilio dei santi mughi. Era
nostra intensione evitare la cima più bassa posta poco via avanti, e a
occidente, ma la curiosità gioca brutti scherzi, e noi siamo assai curiosi. La
seconda vetta è segnata da bolli blu e anche da un cartello, quindi, in pochi
minuti siamo a ridosso della cima. Rispetto alla precedente è più facile da
raggiungere, e una volta che siamo sull’inerbito cupolone sommitale, attraverso
un taglio tra i mughi raggiungiamo delle roccette dove troviamo i miseri resti
di quella che fu una cassetta in metallo adibita a porta libro di vetta. Non
siamo pentiti della conquista, anzi, ne siamo felici. Iniziamo la discesa vera
e propria per completare l’anello. Decidiamo di posticipare la pausa del
desinare, ci accontentiamo di consumare delle barrette energetiche, perché,
visto l’orario, abbiamo solo due ore di luce, quindi, ci tocca accelerare il
passo. Il versante occidentale che completa l’anello, nella prima parte è la
continuazione dell’Alta via C.A.I. di Moggio, esso ed è davvero affascinante,
sia per la bellezza del fianco che per la storia che racchiude in sé. La pesta
è un’evidente e remota mulattiera di guerra, infatti, alcuni antri furono
adoperati come ricoveri, oggi di essi rimangono pochi ruderi in cemento armato.
La discesa è lunghissima, e si svolge all’interno di una fitta faggeta.
Un’infinità di tornanti, creati per rendere agevole il transito, ci accompagna
per circa settecento metri di dislivello, finché il pendio, con un lungo e
dolce sentiero continua a sud, in direzione di Dordolla. Il sole sta per
tramontare dietro la Creta Grauzaria, e la visibilità si attenua. Giungiamo in
vista della bella frazione notando le luci accese che donano a Dordolla quel
meraviglioso aspetto che assumano i borghi montani nel periodo natalizio. Pochi
metri ancora ed eccoci a transitare per i vicoli, con la luminosità artificiale
che cambia le tinte delle pareti delle abitazioni. Anche quest’ultima avventura
è terminata ed è stata meravigliosa, la stessa ci ha svelato un altro luogo del
Friuli a noi sconosciuto.
Malfa.
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