La fanciulla del Monte Cuarnan.
Da tempo remoto desideravo carezzare il viso della bella
ignota, così chiamo il volto della giovinetta scolpita in un masso lungo la
cresta del Cuarnan. Ho udito dalle voci portate dai quattro venti, della
dolcezza dell’espressione, ho scorto mille mani sfiorarle lo sguardo per
penetrarne lo spirito, e di esse vi confesso ne sono stato geloso. La
fanciulla, la Venere sconosciuta, l’ho sentita sin da subito mia anche se non
l’ho mai incontrata, nemmeno in una vita passata .
Il giorno dell’incontro mi avvio al mattino presto per le
Prealpi Giulie, il monte Chiampon guida il mio sguardo verso la sorellina
minore, la giornata primaverile è tutta da vivere e le Idi di Marzo sono
vicine.
I ricordi vissuti nel versante montano mi guidano, risalgo
per le vie di Montenars, fino a giungere nella frazione di Iouf, dove un
trattore dalle tinte scarlatte sbiadite mi indica il luogo dove fare riposare
il destriero di metallo.
Non ho premura, la dolce primavera mi indugia sul sentiero,
praterie di crocus aprono il cuore, e nel cielo e le timide primule imitano il
sole nella sua forma lucente.
La meta è già in vista, una ripida prateria giallo oro
richiama lo sguardo, i ripidissimi prati portano alla cresta dorata del
Cuarnan.
Dal Zuc de Cros,
seguo la traccia nel morbido prato che porta a occidente, lo sguardo è spesso
rapito dalla bellezza del luogo, il giallo dei prati contrasta armoniosamente
con il cobalto del cielo. Salgo, ho uno zaino forse esagerato per tale viaggio,
incedo lentamente, pensando alla stagione dell’amore verrà.
Una coppia insolita di viandanti scende dalla cresta, mi
passano accanto sfiorandomi con la fragranza dell’amore profano, quello che sa
di fuga, di peccato, che ha fatto scrivere pagine care ai romantici; immagino
che lui sia Paolo e lei Francesca. Come si possono nascondere i
sentimenti? <<Amor, ch’a nullo
amato amar perdona…>> Chissà perché ho sentito l’effluvio
dell’amore, la scia degli amanti fa sbocciare anzitempo i fiori della passione.
Mi volto indietro, osservo la piana mentre loro continuano a rincorrersi, a
fuggire e a ritrovarsi nell’eterno gioco degli amanti.
Riprendo il cammino verso il volto della fanciulla,
raggiungo la bella e luminosa cresta, sono accecato da cotanto color oro, le
affioranti rocce coperte da cuscinetti di silene mi fanno da segnavia, finché
dopo l’ultima salita ripida mi ritrovo a sfiorare un insolito masso dove nella morbida
forma è custodito il volto che ho tanto agognato.
Adagio lo zaino dopo averlo sganciato sul manto erboso e
avvio un’insolita danza di ammirazione, un sentimento nuovo mi cattura lo
spirito, sento dissolversi le mie inibizioni, desideri di fuoco avvampano
l’animo, mi perdo in questo incanto.
La chiamo, le sorrido, le sfioro con le mani il viso che
sento vivo, caldo, dolce e delicato. Nello zaino che ho al seguito serbo matite
e album da disegno, pensavo di ritrarlo questo volto, mi persuado che la mia
sarebbe solo una non degna imitazione.
Il freddo pungente mi consiglia di intiepidire le mani
racchiudendole tra le gambe, lasciandomi solo riscaldare dalla contemplazione
del volto, mentre un dolore rovente coglie impreparato il mio stato d’animo. Ho
riconosciuto nell’espressione del viso un amore, un amore sbocciato e perduto,
un amore che l’artista ha immortalato nella roccia, rendendolo infinitamente
eterno.
Riprendo lo zaino, non ho più la forza di osservare la
fanciulla, raggiungo in breve il bivacco Elio Pischiutti, apro la porta che
porta all’interno, cercando calore e riparo.
Consumo qualcosa, sento ancora di più freddo, provo ad
accendere un fuoco nella vecchia cucina, niente da fare, troppo umido nella
stanza. Il fuoco lontano dalla passione non divampa, questo riparo mi è ostile,
non mi vuole, mi spinge fuori, a cercare quell’energia di cui ho tanto bisogno.
Una volta lasciato il bivacco comincio a riprendermi, dopo pochi minuti
raggiungo la vetta sormontata da un edificio sacro, appongo la firma sul libro
di vetta e continuo il viaggio per la cresta, ho brama di spazi infiniti, e il
crinale che scende a meridione è l’ideale.
Lungo il percorso di rientro, che compio ad anello, ho tutto
il tempo di smarrirmi in profonde riflessioni, che, come tutte quelle andate,
si perderanno come gocce di pioggia nell’oceano della vita.
Rifletto, ho speso invano fiumi di pensieri e parole per
rendere migliore questa mia esistenza; ma mi rendo conto di somigliare sempre
più spesso al famoso Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, e francamente sono
stanco di fare la guerra ai mulini a vento.
Rientro all’auto con un sorriso amaro, simile a quello dei
crociati dopo aver smarrito nella Terra Promessa la loro Gerusalemme. Malgrado tutto oggi ho amato
un volto nella roccia, un viso di donna non svelato...
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento