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mercoledì 26 aprile 2017

Monte Svinjak 1653 m. da Bovec.

 
Monte Svinjak 1653 m. da Bovec.
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi Giulie.
Avvicinamento: Cividale- Kobarid-Bovec- Kal Koritnica     
Dislivello: 1200 m.
Dislivello complessivo: 1200 m.
Distanza percorsa in Km: 10 km.
Quota minima partenza: 420 m.
Quota massima raggiunta: 1653 m.
Tempi di percorrenza. 5 ore senza sosta e visita al museo all’aperto.
In: Con Magritte.
 Tipologia Escursione: Escursionistica Storica.
Difficoltà: Escursionistica, tranne gli ultimi duecento metri, consigliata ad esperti con basi di arrampicata.
Segnavia: Cerchi bianchi rossi sloveni.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Attrezzature: Nessuna,
Croce di vetta: No. Ma simbolo del Triglav, tipico sui monti Sloveni.
Libro di vetta: Si.
Timbro di vetta: Si.
Cartografia consigliata: Tabacco 019.
Periodo consigliato: maggio- ottobre.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato
Data: 23 aprile 2017.
 
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
 
Relazione:

 Per chi è passato almeno una volta dalla piana di Bovec (Plezzo) in Slovenia, non ha potuto fare a meno di ammirare l’inconfondibile sagoma piramidale dello Svinjak, soprannominato dai locali il “Cervino d Bovec”. Per arrivare sulla cima bisogna effettuare un’escursione lunga e faticosa, con il tratto finale (gli ultimi duecento metri) da non sottovalutare. Questo fine settimana sono a corto di ispirazione, indeciso sulla scelta della montagna da fare. Domenica mette bello, quindi cerco una meta tosta. Studio le mappe, cercando qualcosa che non ho ancora fatto e che sia fattibile con la stagione corrente. Per caso noto che la cartina topografica Tabacco numero 019 sconfina in Slovenia, l’attenzione è attratta in basso a destra dal sentiero che dalla piana di Bovec porta in cima allo Svinjak. Rapito da un improvviso entusiasmo mi galvanizzo, cercando informazioni sul web e studiando la mappa topografica. La montagna è alta 1653 metri ed esposta su tre versanti al sole, penso di non trovare neve, ma non sottovaluto l’evenienza. La domenica mattina, sveglia presto come al solito, valuto le condizioni psicofisiche del mio prode amico, un po’ acciaccato dopo le recenti escursioni. Lo trovo pronto ed entusiasta, ma mi voglio assicurare, facendogli delle domande: <<Come va Magritte? Fisicamente ti senti in forma, guarda che è dura! 1200metri di dislivello, tutta una tirata, e passaggi di primo grado!>> Magritte, da perfetto soldatino, mi risponde. <<Sto bene, capo! Mi sento un leone, solo 1200 di dislivello? Se vuoi ti porto io lo zaino.>> Dalla risposta ironica ho compreso, che ha recuperato velocemente le forze, non posso lasciarlo a casa, mi mancherebbe. Partenza per Udine, e dal centro di quest’ultima, seguo le indicazioni per Cividale. Superato il confine di stato mi immergo in un luogo che sa di storia e anche di tempo remoto. Da italiano, cresciuto nel benessere, respiro l’aria di un mondo che ho solo conosciuto dai racconti dei vecchi. La citta di Kobarid (Caporetto) è un gioiellino turistico, i monti circostanti, di cui conosco alcune cime, racchiudono tanta storia. Dal piccolo centro sloveno, seguo le indicazioni per Bovec, percorrendo la valle scavata del fiume Soca (Isonzo). Scruto i fianchi delle montagne, scorgo in esse le mulattiere scavate dai nostri genieri durante la grande guerra. Giunto nella piana di Bovec, ammiro il versante dolomitico del Canin parzialmente innevato e avvolto dalle nuvole. I nuvoloni neri velano la valle, dandole un aspetto tetro, raggiunta Bovec, non posso fare a meno di osservare la meta odierna avvolta dalle nubi. Il monte Svinjak ha un aspetto severo, non ideale per scalarlo, non desisto, sono fiducioso che il meteo migliorerà con il passare delle ore. Attraverso il centro di Bovec, proseguendo per altri quattro chilometri, fino a leggere le indicazioni per il piccolo centro di Kal Koritnica. Trovo parcheggio dentro il centro del paese. Mi appronto per la partenza, zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito, si parte. Il piccolo borgo è affascinante, ammiro le caratteristiche abitazioni. La gente sin dalle prime ore del mattino è laboriosa, sento l’odore della legna bruciata e il fumo venire fuori dai camini. Piccole gocce di pioggia mi bagnano, ma è solo uno spauracchio, a oriente il cielo sembra aprirsi, sono fiducioso, male che vada visito il museo a cielo aperto di Celo. Dalla piccola piazzetta proseguo a settentrione, dietro una fontana parte una mulattiera, su un palo trovo le indicazioni per il sentiero.  Seguo la mulattiera, attraversando le ultime case, poste alle pendici del monte. Attraverso i muri a secco, un bel ponticello in legno, e cancelli. Il bel marcato sentiero entra nel bosco, ascolto i vari suoni: Il canto di un cuculo, il muggito delle mucche e gli spari dei cacciatori.  Raggiunta la quota di 600 metri, un paletto con indicazioni mi invita a lasciare il sentiero per visitare il museo a cielo aperto di Celo. Dopo pochi metri raggiungo il sito storico. Un cartello esplicativo mi illustra il manufatto che sto visitando. Mi trovo dentro una trincea, la percorro seguendo l’itinerario ad oriente. Attraverso il trinceramento con le feritoie, di seguito raggiungo due postazioni per cannoni. È tanto emozionante percorrere questo luogo, sto attraversando una postazione difensiva costruita appena prima dello scoppio della prima Guerra Mondiale dalle maestranze Austro-Ungariche. Essa era fornita di due cannoni da 120 mm, costituendo la cosiddetta” Batteria Kal”, successivamente dopo essere battuti dalla nostra artiglieria, li hanno ritirati dentro una caverna. Oltre alle postazioni per fucilieri si possono ammira gli alloggiamenti per la truppa ottenuti scavando delle caverne artificiali sul fianco del monte.  Impiego una buona mezzoretta a visitare il luogo, caro ai cultori della storia. Il sito, merita una visita dedicata, tra i manufatti si possono ammirare: scritte, incisioni, cucine, rastrelliere, bagni. Un vero gioiello per chi ha la passione per la storia della prima guerra mondiale. A malincuore lascio il luogo, proseguendo a settentrione per la meta di oggi. La traccia cavalca la cresta, raggiugendo un pulpito panoramico da dove posso ammirare i monti a settentrione, tra cui cito il Rombon e Vrh Krnice. La vegetazione di faggi è spettacolare, assumono forme fantastiche, dalla storia trascendo alla fantasia. Salendo di quota attraverso un cimitero d’alberi, sono scheletriti, hanno perso i rami, mantenendo solo tronco, simili a obelischi. Il sentiero dopo aver attraversato il bosco si porta sul versante meridionale. Un bellissimo cielo azzurro sovrasta la scena, il sole filtra le fronde degli alberi, e i vecchi faggi lasciano il passo ai muscolosi e nervosi carpini dalle foglie dorate. Finalmente comincio a intravvedere la parte finale del monte, ma c’è ancora tanto da faticare. Il sentiero si fa tortuoso, con alcuni passaggi esposti dove serve l’aiuto delle mani. Eccomi agli ultimi duecento metri di salita, la pendenza è quasi verticale. Mi fermo un attimo ad ammirare un grifone che volteggia, è una gran gioia la sua visione. La montagna è generosa con i viandanti. La cresta è ripidissima: a meridione esposta sugli impressionanti ripidi inerbiti, a settentrione è coperta da carpini e mughi che la rendono meno inquietante. Salgo per balze erbose e rocce, intervallate da brevi tratti di calpestio. Nessun tratto è particolarmente impegnativo, bisogna solo prestare attenzione, una caduta sarebbe fatale. Raggiunto un salto incassato (primo grado più) lo supero agevolmente, rimanendo sbigottito nel vedere Magritte superare l’ostacolo sorridendo. Mi fermo, congratulandomi con l’alpino a quattro zampe. I tratti impegnativi sono finiti, bisogna solo prestare attenzione. La cima sembra non arrivare mai, una volta raggiunto un pulpito, ne spunta un altro. Finalmente scorgo il famoso cilindretto (una miniatura dell'Aljažev stolp, il bivacco di fortuna che si trova sulla cima del Tricorno). Ultimi metri prima della vetta, vado al rallenty, mi godo l’arrivo, passo dopo passo. Mi aggiusto la bandana, mi do un po’ di contegno, eccomi, c’è l’ho fatta, e il cielo nel medesimo istante si apre, lasciando filtrare un raggio di sole. Zaino a terra, per goderci la meritata sosta. Magritte si concede il suo pisolino di vetta, io come al solito penso alle operazioni di rito. Aprendo il cilindro porta libro di vetta scopro mille sorprese.  Sembra un uovo di pasqua, dentro ci trovo di tutto e di più: dagli ex voto degli escursionisti, alle collanine, amuleti, libri di vetta, timbri, e se fossi stato più fortunato, ci avrei trovato anche un coniglio bianco! Per scrivere tutto, marcando il registro e il libro di vetta impiego dieci minuti. Mi guardo in giro, e distratto chissà da cosa, inciampo su un masso, rovinando per terra, come una pera caduta dall’albero. Cadendo ho urtato la gamba, mi riprendo, zoppicando per un po’, girando a vuoto intorno al cilindro. Magritte mi guarda sconvolto, penserà che sto inscenando una danza del sole per scongiurare un imminente pioggia. Ripresomi, scruto il cielo:<< Uhm mm, non mette bene, le nuvole nere sembrano coalizzarsi, mi tocca affrettare il rientro.>> Zaino in spalle e Magritte al seguito, iniziamo la lunga via del ritorno. Pochi metri dopo aver lasciato la cima incrocio in salita un angelo biondo, rimango sorpreso per la giovane età e la facilità con cui vola sulle rocce. Rimango perplesso, penso, mi riconcentro sulla discesa, devo superare i tratti più delicatii e dopo sarò tranquillo. Subito dopo aver superato i punti critici sento delle voci femminili, altri angeli che salgono? Anche Magritte rimane sorpreso, abituato ultimamente a vedere in montagna, solo gatti pseudo-selvatici. Ci fermiamo in un cantuccio lasciando passare chi sale, come il galateo di montagna insegna. Pochi metri dopo, un’altra fanciulla in salita, Magritte mugugna e farfuglia, qualcosa tipo :<< Mi sembra di stare dentro il dipinto la “Primavera” del Botticelli.>> Effettuo una sosta presso un sasso, adornato con un bellissimo fiore “Orecchia di Orso”. Con Magritte ci guardiamo negli occhi, e formulo un‘ipotesi :<< Caro Magritte, come hai ben visto sono caduto accidentalmente, lassù in cima, lo hai costatato pure tu! Devo inavvertitamente, a mia insaputa, aver urtato con la testa un masso, e quindi sono morto. Ecco spiegata la visione di tutte quelle belle donzelle. Siamo morti e ora ci troviamo in paradiso, tra gli angioletti biondi. È chiaro, che chi muore in montagna, continui a fare quello stava svolgendo un attimo prima del decesso. Elementare Watson, mi toccherà, anzi ci toccherà andare in escursione per l’eternità.>> Magritte mi ascolta con attenzione, ha lo sguardo perplesso, e alzando la zampetta mi risponde. <<Caro Malfa, il tuo ragionamento non fa una grinza, ma spiegami una cosa, come mai sono morto anch’io? E come? E perché in questa meravigliosa vita ultra terrena ci sono solo belle ragazze e nessuna cagnetta? A te, e no ai posteri, l’ardua sentenza!>> La domanda del fido è pertinente, gli rispondo anche se non ne sono convinto. <<Caro Magritte, sarai morto di dispiacere, vedendomi esanime, non ci sono altre spiegazioni, o ti sei buttato giù dalla cima, afflitto dal dolore. Per le cagnette aspettiamo di arrivare fino al paese, conosco i tuoi gusti e i nomi delle tue amichette, Glemy, Carny, Molly, Selly, Scemy, te le scegli tutte fru fru!>> Ridendo finisco la conversazione, ed esso, il prode fido, ringhiando mette il punto. Ripresa l’escursione si rientra nel bosco, scendendo rapidamente di quota. la mia idea e di raggiungere di nuovo il museo all’aperto per un ulteriore visita e mangiare qualcosa. Ripercorro a ritroso il sentiero, raggiungo in breve le postazioni belliche. Avrei voluto fare pausa per mettere qualcosa nello stomaco, ma mi limito solo a dissetare il compagno di viaggio, a causa delle nuvole che stanno chiudendosi, temo un improvviso scroscio di pioggia. Dopo la visita ai manufatti del primo conflitto mondiale, riprendo il sentiero che mi porta al paese. Le prime gocce d’acqua non si fanno attendere, per fortuna non manca molto. Poco prima del paesello sulla destra del prato un’immagine bucolica attira la mia attenzione. Un asinello e delle pecore che girovagano sul prato. L’asinello, discolo, mi si avvicina, istauriamo una bella conversazione, gli offro della buona frutta secca. Il ciuchino si fa accarezzare. Magritte, curioso, bisbigliandomi all’orecchio, vuol sapere se l’asinello è Lucignolo o Pinocchio. Sorrido, finita la visita di cortesia mi congedo dal ciuchino, proseguendo rapidamente per il borgo, prima che arrivi l’acquazzone.

Raggiunta Kal Koritnica, mi appronto per il rientro. Sistemo il materiale in auto. Osservo il bel borgo, case colorate, i paesani intenti nelle loro operazioni quotidiane, i disegni dei bimbi appesi ai vetri delle finestre. Con l’auto mi porto fuori dal centro di Bovec, posteggiando in uno spiazzo, dove poter consumare il pasto, ammirando lo Svinjak, appena conquistato. Guardando il cellulare poggiato sul cruscotto ho un’illuminazione. Provo a telefonare a casa, se mi risponde Giovanna, e da come mi risponde intuisco se sono morto, o è stata solo un’illusione. Effettuo il numero, alla risposta, rassicuro la consorte sull’esito dell’escursione. <<Ciao Giovanna, è andata bene, sono fermo in uno spiazzo, consumiamo qualcosa con Magritte, per poi rientrare con calma.>> <<Ok, Giuseppe, mi raccomando! Vai piano, non tagliare le curve, non scrivere al cellulare e non distrarti a guardare i monti mentre guidi, e metti soprattutto la cintura di sicurezza!>> << Ok, ciao!>> <<Ciao, Giu! Ti Aspetto, pasticcio pronto!>> Chiusa la conversazione, con aria sconsolata mi rivolgo a Magritte. <<Caro amico, non so come darti questa notizia, e non so come la prenderai, insomma, non siamo morti, e quello che abbiamo vissuto non era un sogno, ma il paradiso, chiamato” Montagna”. Per le cagnette, pazienza, contentati dei gatti selvatici.>> Finito di rifocillarci, si rientra in Italia, con un sogno realizzato, lo “Svinjak. Contenti d’aver scalato il “Cervino di Bovec”.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.