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mercoledì 28 settembre 2022

Monti Losa e Forchia da Mione (Ovaro UD)

Monti Losa e Forchia da Mione (Ovaro UD)

 

 

Localizzazione:  Alpi Tolmezzine Occidentali- Gruppo Monti di Sauris- Sottogruppi  Massiccio Col Gentile; Rioda Novarza.

 

Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Cornino-Tolmezzo-Villa Santina-Ovaro- diramazione per Mione- Seguire la stretta carrareccia  che ascende sino al passo della Forchia e trovare uno spiazzo per la sosta.

 

Regione: Friuli- Venezia Giulia

 

Provincia di: UD

.

Dislivello: 1200 m.

 

Dislivello complessivo: 1200 m.


Distanza percorsa in Km: 16


Quota minima partenza: m.1130 m.

 

Quota massima raggiunta: 1953 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: panorama- escursionistica

 

Difficoltà: escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: Rotabile- carrareccia- sentiero privo di segni e con tracce labili di animali

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI 220

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio- alto

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: creato uno sulla panoramica vetta del monte Forchia

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato:  maggio-ottobre

3)                

4)               Da evitare da farsi in: gelate o presenza di neve

Condizioni del sentiero: tracce di animali


Consigliati:

Data: lunedì 19 settembre 2022

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Danzare con il vento, lasciarsi andare al suo abbraccio e sentire la chioma, leggera e argentea, agitarsi come fili d’erba nell’azzurro settembrino. Ecco cosa ricorderò di questa splendida avventura, vissuta con la mia compagna, nel cuore della Carnia. Il Col Gentile, malgrado siano passati  quindici anni dall’ultima ascesa, mantiene intatte le  emozioni che mi donò alla prima visione. Allora ero assieme a Magritte, poco più grande di un cucciolo. Ricordo ancora, che presso la forcella della Forchia incontrai una solitaria fanciulla, proveniente da Prato Carnico. Assieme ci avviammo alla vetta del Col Gentile, furono solo passi sul sentiero, ma al rientro alla stessa forcella ella mi ringraziò della compagnia, dicendomi di essermi comportato da gentiluomo. La frase mi colpì, e mentre rientravo a Mione, la stessa frase scavò un tunnel nella mia mente, chiedendomi perché la fanciulla mi avesse definito gentiluomo, visto che non avevo fatto nulla di straordinario.  Dopo anni rieccomi sullo stesso sentiero. Partendo poco sopra Mione, lasciamo l’auto presso un prato antistante a uno stavolo (quota 1130 m). Avverto sin da subito la mia compagna che ci attende una lunga  e tortuosa carrareccia, e anche noiosa. Rispetto alla volta prevedente stavolta parto più alto, 3 lustri prima avevo lasciato l’auto a Mione, ma ero meno anziano. La temperatura è frizzantina e l’estate è un lontano ricordo, per fortuna il cielo è terso, quindi, zaini colmi di sogni si parte.

Non è il massimo della goduria percorrere la stradina asfaltata, l’ombra del bosco toglie magia, e di rado la visuale si apre sul regale Col Gentile. Presso quota metri 1638 rompiamo gli indugi, chiedo alla mia compagna di seguirmi, abbandonando il suolo asfaltato per procedere per il pendio erboso. Coperti dall’alta vegetazione miriamo all’arsa cresta  che scende dal monte Forchia.

Non vi sono tracce, solo il desiderio di raggiungere il filo immaginario che divide il nord dal sud. Una volta in cresta siamo nel regno della magnificenza, si cavalca il crinale, ammirando dall’alto tutto quello che può racchiudere lo sguardo in un solo colpo d’occhio. La cima è ancora lontana, la fatica è alleviata dalla visione delle montagne  più alte del Friuli, esse sono poco distanti e con il loro caratteristico colore argentato, si stagliano nel cielo come se fossero divinità.

  L’elenco è facile: Coglians, Cianevate, Creta di Collina, Volaia, Creta Forata, tante per citarne alcune, che venti anni fa per il sottoscritto erano solo sogni da vivere, e oggi sono amori vissuti.

Mi piace fotografare la mia compagna quando ascende, è piccola come un puntino rosso rispetto all’immensità. Ovaro è  sotto di noi, pare di toccarla la piccola cittadina carnica, mentre in alto il prato dorato sembra infinito, e dopo un dosso ne spunta sempre un altro. Finalmente, come per magia, l’oro del prato diventa scuro e sono in vetta. La terra appare come arata da mille cervi e cinghiali, come se le creature del  bosco nella notte si fossero unite per una danza sacra. Siamo in vetta ma non c’è nessun segno che mostri il culmine, solo il degradare della quota su entrambi i versanti.

Monte Forchia  posto a quota 1901 metri è stato raggiunto. Mentre aspetto che la mia compagna sopraggiunga, vado alla ricerca di sassi per erigere ad Artemide un ometto come se fosse un simulacro. Mi muovo su e giù, in lungo e in largo, in pochi minuti ecco costruito il mausoleo  sacro dove serbare il cilindro con il libro dei Viandanti. Quando giungo su una vetta sconosciuta e vi trovo un ometto, cerco sempre all’interno  di esso, nella speranza di trovare un cofanetto, un contenitore, qualcosa che testimoni il passaggio di  viandanti. E quando lo trovo, me ne prendo cura, lo proteggo, annotando con la reflex i  nomi  dei viandanti. Spesso ho avuto gradevoli sorprese. Ma non tutti hanno un animo nobile, ne conosco alcuni che si divertono a fare vandalismo. Non sempre la prestanza fisica corrisponde a un livello intellettivo  decente. L’unica consolazione è la montagna, che vede e provvede, mostrandosi arrendevole con le anime pure e matrigna con gli impuri.

Giunge in vetta la mia compagna, tira una forte corrente, capelli al vento, e tutto è felicità che colma il cuore.  Lei compila il libretto mentre io perfeziono l’opera, come se gli animali con il loro scavare avessero preparato il tutto per il nostro arrivo, e anche se questa storia non fosse vera ci piacerebbe immaginarlo. Tira tanto vento, troppo,  scendiamo di quota a nord, mirando alla stradina in basso, finché raggiunta una panca (Passo della Forcella), sopraggiunge una coppia in mountain bike. Siamo simili, lui brizzolato e lei rossa di capelli, deve essere l’ultima moda. Uomo maturo brizzolato con signora in rosso, l’ultimo richiamo degli amanti con la passione della montagna. Breve conversazione, e le nostre strade si dividono, loro sono di Udine e noi di Palermo, e ci siamo incontrati a 1900 metri di quota in Carnia. Per chi avesse dubbi che la montagna non unisce, questo è uno dei tanti esempi. Dal passo raggiungiamo la forchia, lambendo la casera omonima, e potremmo ritenerci soddisfatti dell’escursione, ma una barretta cadauno somministrata al passo ci ha dato nuova energia e fulgore.

Spiegate le vele al vento si continua, prossima meta? Il monte Losa, ideato come supplementare o piano B. Dalla forchia una carrareccia continua il suo corso, con dei saliscendi che aggiungono dislivello e il nostro acido lattico si accumula. Dopo una serie di curve il panorama si apre sulla meravigliosa catena montuosa che dal monte Losa si spinge fino a casera Razzo. A puntate abbiamo percorso parecchi chilometri  di questa meravigliosa catena montuosa, e ogni avventura ha scolpito nel nostro cuore ricordi indelebili. Ora scorgiamo la malga Losa dominata dall’omonima montagna dorata. Poco prima della Malga, notiamo un monumento edificato ai margini della strada, eretto in onore di un alpino morto in tempo di pace a causa di una valanga. Breve attimo di commozione, per poi proseguire da dietro il monumento, per il ripido pendio, senza seguire tracce e mirando alla cresta sovrastante. L’operazione è un po’ articolata, ma una volta raggiunta la cresta le nostre fatiche scemano, e camminiamo come funamboli  sull’immaginaria fune, e questo ci esalta.

Stavolta le crete della Val Pesarina sono le ammiratrici principali del nostro andare, e  anche di queste rimando a remoti ricordi. La vetta del Monte Losa è piccola, un ciuffo d’erba ingiallito, e nemmeno un sasso, solo una quota(1953 m.) che domina di pochi centimetri le adiacenti. Anche in questa quota tira vento, breve foto per i posteri, e subito via, giù per la cresta, sino a raggiungere un piccolo stagno in forcella, dove ci specchiamo prima di calarci a meridione seguendo le orme delle giovenche. Le vacche come quelle sacre di Poseidone gravitano pacifiche, ruminando e defecando, mentre il tempo scorre inesorabile e il genere umano sembra impazzire. Passo vicino a una di esse, posa per me mostrando una certa regalità. Ogni volta che sono in presenza di una mucca mi commuovo. Da piccino le disegnavo sugli album da disegno, alternandole ai soldatini inglesi con la nota giubba rossa. E ogni volta che un bove mi staziona davanti, in automatico partono le mie matite immaginarie, grafitando con segni un irreale album da disegno. Seguendo i solchi dei bovi si giunge in basso, alla malga Losa, dove il malgaro, solo nel suo operare, raccoglie con il forcone lo sterco delle nostre cornute amiche. Sogno a occhi aperti, il tempo si è fermato, e attraversiamo un'altra era come se fossimo fantasmi. Poco distante sono posti dei tavoli con panche, è ora di desinare. Il luogo è davvero speciale. Il pane con i semi di sesamo tipico siculo si sposa idealmente con la mortadella bolognese, e mentre ammiro la meravigliosa valle carnica, sorseggio come bevanda il chinotto bergamasco. La nostra mensa è sempre cosmopolita, la nostra libertà la si denota in tutto, anche nel contenuto del fagotto viveri.

Finita la sosta per il desinare, riprendiamo il cammino a ritroso. Ci attendono ben otto chilometri, ma la gioia provata con le cime conquistate nel meraviglioso regno del Col Gentile allevierà le nostre fatiche fino all’auto.

È stata una splendida escursione, e abbiamo ricaricato lo spirito. La montagna è anche questo, libero cammino in ambiente mistico.

Il forestiero Nomade.

Malfa.