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domenica 23 maggio 2021

Anello del Monte Agarial da San Francesco (Val d’Arzino).

Anello del Monte Agarial da San Francesco (Val d’Arzino).

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Alpi orientali-Prealpi Carniche- Catena Valcalda Verzegnis- Dorsale del Valcalda.

 

Avvicinamento: Lestans-Pinzano. Anduins- Strada provinciale per la Val d’Arzino- San Francesco- Lasciare l’automezzo in località Galants- Spiazzo in cemento (quadrato con fontana) quota 380 m.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

 

Provincia di: Pordenone

.

Dislivello: 850 m.

 

Dislivello complessivo: 1120 m.


Distanza percorsa in Km: 13 km


Quota minima partenza: 380 m.

 

Quota massima raggiunta: 1189 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore.

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: naturalista in ambiente selvaggio

 

Difficoltà: Escursioni esperti idonei ad agire in ambiente selvaggio privo di tracce e segni.

 

Tipologia sentiero o cammino: Sentiero- carrareccia-pesta per camosci o di cacciatori.

 

Ferrata-

 

Segnavia: Bolli Giallo-veri. Rossi- e Bianco-Rossi del CAI.

 

Fonti d’acqua: si, molteplici.

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: medio-alta

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si, trovato un barattolino in vetro con penna e notes con le firme dei segni di passaggio dei Viandanti, sostituito il barattolino con uno più capiente e lasciata una penna funzionante.

Libro di vetta: piccolo notes istallato nel 2018

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno.

3)                

4)               Da evitare da farsi in: Con sentiero di salita umido o ghiacciato.


Consigliati: Ramponi solo in caso di terreno umido presenza di ghiaccio, specie il sentiero fatto in salita.

Data: 20 maggio 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Andar da soli in montagna è maledettamente eccitante, manifesto un amore intenso per la natura che riesco a condividere solo pochi.

Quando vago in solitaria entro in simbiosi con gli animali selvatici e gli elementi naturali. Spesso mi par di essere cinghiale, orso, lupo, albero, acqua di sorgente, scoprendo delle emozioni che vivo con intense vibrazioni e le chiamo libertà…

La montagna a volte ti chiama, ti invita a evadere dal mondo reale, ti fornisce anche delle indicazioni che paiono sogni, nomi, località e disegni di rilievi che sta a me decifrare. Per l’escursione sul monte Agarial, (un rilievo che ho adocchiato da un po’ tempo), è stato tutto casuale, non era la meta prescelta. Il meteo bizzarro e il rischio di piovaschi mi consiglia percorsi che terminino nelle prime ore del pomeriggio. Declino la scelta primaria che era il monte Plauris ed estraggo dal cassetto dei sogni il monte Agarial, quindi, mi avventuro nella Val d’Arzino, sino alla frazione di San francesco.

La giornata è splendida, un cielo terso e primaverile mi dà il benvenuto, una leggera bruma evapora dalla valle ma svanirà nel giro di poche ore, l’esalazione dell’umidità è dovuta alla pioggia notturna che con lo scaldarsi ai primi raggi solari, vela l’atmosfera della magica frazione. Raggiunto San Francesco, tramite una stradina di servizio, transito verso l’argine del torrente Arzino, e arresto l’automezzo presso uno spiazzo (quadrangolare in cemento con piccola fontana). Sono così impaziente di partire, che sono uscito da casa direttamente con gli scarponcini, la breve distanza me lo permette, ma ho al seguito il borsone con gli indumenti di ricambio. 

Spente le luci e chiuso l’automezzo, zaino in spalle, parto, dirigendomi al ponticello che a nord guada il torrente, ma un cartello posto poco dopo lo stesso mi illumina.

Nelle indicazioni esplicative sulla nuova sentieristica (non CAI) sono segnate delle località, e la mia meta è una di quelle indicate come sentiero selvaggio. Rifletto sul da farsi, è una variante che avevo in mente e studiato sulla mappa dell’Istituto Geografico Militare, cioè, quella di ascendere sino alla Forchiazza che precede il Monte Agarial, tramite un sentiero remoto e segnato a trattini neri sulla mappa topografica. Dalle curve di livello ho dedotto che trattasi di una variante breve come chilometraggio ma molto verticale, essa, si inerpica sul ripido versante orientale della dorsale, dopo aver guadato il Rio Fosata (affluente del torrente Arzino). Scruto di nuovo il cielo, è ancora più cobalto e luminoso, quindi mi autoconvinco e cambio itinerario per l’ascesa al monte Agarial. La lunga carrareccia segnata CAI 810ª, che scende dalla sella di Giaf sarà l’itinerario del rientro. Eccitato e carico di vibranti emozioni, inizio con il primo passo l’avventura, dirigendomi a nord. Costeggio l’argine dell’Arzino, sino a guadare il rio Spissul, proseguo per una mulattiera, che piuttosto che guadagnare quota la perde, e le indicazioni che scorgo non mi sono d’aiuto. Do un’ulteriore occhiata alla mappa, valuto e riparto. Dopo aver guadato il Rio Fosata, inizio a scalare il ripido costone adiacente, cercando, dove fosse possibile, tracce di passaggio di cacciatori o di animali selvatici. Percepisco che con il salire di quota e con il mantenermi in cresta al crinale che prima o poi qualche sentiero lo incontro, e quindi, fortificato da tanta forza di volontà, procedo, confortato dal continuo guadagno di quota. L’esplorazione selvaggia è un tipo di attività che adoro, coinvolge nello sforzo tutte le membra. Mi isso spesso tramite la presa delle mani, adoperando i piccoli tronchi e le radici resistenti come corde o appigli, assicurandomi a ogni movimento della loro integrità, e cercando nella selva la direzione più opportuna. A volte percorro tracce ingannevoli, forse create da animali alla ricerca di abbeveraggio, e di seguito mi convinco che la scelta più saggia è quella di non allontanarsi molto dalla schiena del crinale. Infatti, come speravo, la tenacia e l’intuito sono premiati. Scorgo tra gli arbusti una chiara pesta, felicissimo della scoperta, la percorro in direzione sud-ovest, speranzoso che sia quella che bramavo. Passo dopo passo, metro di quota dopo metro di quota, le mie speranze divengono certezze, e alcuni scarni ometti di sassi confermano che sono sulla pista valida. Il sentiero è davvero stupendo, mai esposto e ripido, tramite una lunga diagonale valica la Val dei Roris e si spinge verso la Forchiazza. In alcuni tratti è sublime come un sogno, soprattutto quando guada i rivoli in secca, dove lo sguardo spazia sulla valle dell’Arzino e sul monte Giaf.

L’improvvisa comparsa di un ramarro orientale dona la classica ciliegina sulla torta a questa splendida escursione. lo sguardo del sauro è dolce e curioso, evidenziando una classe ed eleganza non comuni, in esso riconosco un messo della dea Artemide che mi assicura e mi annuncia la sua presenza. Saluto con riverente rispetto il rettile ambasciatore, e continuo il cammino. Come nell’Agerola, la terra degli dèi, ora mi accolgono straripanti torrenti d’ acqua, essi sono il segno manifesto che la dea della natura mi fa la corte, e cosa potrei desiderare di più, di sicuro non resisto e cedo senza indugi alle lusinghe. Il tratto che precede la Forchiazza è caratterizzato dalla silente presenza dei regali faggi che donano ombra e ristoro al viandante. La sella è avvistata, gli ultimi trasversi con lieve pendenza leniscono la fatica, raggiunta quest’ultima, noto molteplici segni di svariati colori sulle cortecce di alcuni faggi. Fatta! La Forchiazza è adombrata dalla vegetazione, la visibilità si limita alla cresta. Durante l’ascesa ho patito il peso dello zaino, e visto che ho l’abitudine di serbare il materiale al seguito all’interno di un sacco, decido di procedere all’arrembaggio della vetta dell’Agarial, privandomi provvisoriamente di alcuni oggetti. Estraggo il sacco bianco dallo zaino, e lo riempio di tutto quello di cui non avrò bisogno nell’ascesa al limitrofo monte, quindi, prendo il fardello e lo occulto presso un faggio.  Effettuo una breve sosta per riprendere energie, e dopodiché procedo all’arrembaggio della meta odierna. A nord della forchia seguo una traccia, prima per il comodo pendio di cresta, e di seguito le tracce e i segni dell’Alta Via (giallo -blu), che si spostano sul versante occidentale del monte, guadagnando velocemente quota, sino a portarsi a nord dello stesso, raggiungibile attraverso un tratto molto ripido e verticale. Dalla cresta nord del Agarial si procede, per un breve tratto, sempre ripido a oriente, sino a conseguire la cresta sommitale. Da quest’ultima, dopo essere passato sotto lo schianto di una betulla, procedo a meridione della cresta, e dopo un centinaio di metri conquisto la vetta, materializzata da un sasso al centro di una selvatica vegetazione. Fatta anche questa, cima conquistata! Sul masso di vertice è eretto un piccolo ometto, dove tra i sassi spicca il tappo color cielo di un barattolo di vetro. Sono emozionato, apro con un po’ di difficoltà lo scrigno ed estraggo dall’interno un piccolo blocco note con delle firme apposte. È stato istallato nel 2018, riconosco alcuni amici e alcuni “conoscenti” nel mucchio selvaggio, alcuni sono ascesi in coppia, altri in gruppo, ma nessuno in solitaria. Avverto un brivido, come di una forte gioia mista a intensa paura, difficile da spiegare dovuta a questo procedere in solitudine. Solitari non si nasce, ma a volte lo si diventa per necessità e a tal proposito scriveva il divino Walter Bonatti: << Alla solitudine, che è isolamento, io do un valore grandissimo, perché acutizza la sensibilità e amplifica le emozioni. La solitudine, inoltre, ci mette di fronte a una dimensione divenuta ormai rara, quasi sconosciuta all’uomo moderno. Infatti, oggi più che mai l’uomo ha paura di affrontarsi nella solitudine, teme quasi di doversi riconoscere, di doversi riconquistare.>>                                         Dalla cima il paesaggio è quasi del tutto celato dalla vegetazione, giro intorno alla ricerca di strappi nella stessa per ammirare quel poco che la vetta conceda. È un rilievo che domina la pittoresca frazione di San Francesco, tutto intorno è circondato dai noti rilievi del Piombada, Schiara, Cuar, e i rilievi minori, tra cui riconosco il tricorno del monte Gran Pala. Tutta questa visione di colli dalle sfavillanti velature verdi mi commuove. Decido di rientrare, ripercorro a ritroso il sentiero, sino ad andare fuori traccia presso la Forchiazza, ma rimedio subito all’errore ed eccomi al cospetto del sacco bianco da risistemare dentro lo zaino. Una volta pronto, proseguo verso la Casera di Giaf, il percorso è obbligato, cioè, quello di attraversare la cresta transitando per il monte Giaf (fatto ben due volte in passato), e di seguito raggiungere la caratteristica sella che ospita il riparo.  Questo breve ma affascinante cresta comporta la somma di altri 120 metri di dislivello, che sommati ai precedenti fanno più di mille metri. Gran parte dell’escursione è fatta, mi rilasso a salire e scendere sull’affilato crinale. Passo a volo dalla cima del Monte Giaf, dando solo una fugace sbirciata alla nervosa figura del faggio che materializza la vetta, e giù veloce, per il ripido pendio sino alla casera di Giaf. Effettuo una breve visita al locale, lo conosco fin troppo bene. Percepisco la presenza dei topini, ne individuo le ombre, a uno di essi sorrido. Decido di fare una breve pausa, ho fame, ora posso sfogare l’adrenalina che ho accumulato. Firmo il libro dei visitatori, e mentre mi preparo il panino, lascio cadere di proposito delle briciole, per i miei simpatici amici roditori che mi stanno spiando. Stranamente dentro la casera avverto freddo, è umida, quindi, dopo aver chiuso accuratamente il locale, mi sposto definitivamente per pranzare, presso una catasta di legna posta sul prato e illuminata e scaldata dal sol leone.  È meriggio, e ho tanta fame, consumo con voracità il cibo che mi sono portato al seguito. Il cielo par che voglia chiudersi, solo una gocciolina di pioggia mi accarezza, poi d’incanto la volta celeste si apre, cambiando orizzonti alle pessimistiche previsioni meteo. Ripreso il cammino per il rientro, mi avvio per l’ampia carrareccia nominata dal CAI 810a, è molto lunga, comoda e noiosa, in breve mi guida alla frazione di San Francesco. Superato il ponticello che precede il parcheggio, constato   la presenza di un paio di signore provenienti da Zanets, e un'altra dama provenire dal torrente, entrambe tengono in mano un mazzolino di fiori selvatici, raccolti sicuramente per ornare i vasi che allietano le loro dimore. Il sempre più lucente cielo azzurro riceve la visita di luminose nuvole tinte di un bianco niveo, esse non sono minacciose, anzi, sembrano briose e allegre come seducenti signore rapite dall’ebrezza del vino.  Ammiro con un sorriso lo svanire delle sagome delle muliebri dentro le rispettive abitazioni, rievocandomi la strofa iniziale di una nota poesia del Leopardi: “Il sabato del villaggio”

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. (…)

Con il cuore colmo di serena felicità mi avvio, inserisco la chiave nel blocchetto d'accensione, leggero giro in senso orario e avvio il motore. Abbasso il vetro del finestrino del guidatore, scruto un cielo sempre più azzurro, ammiro il campanile del paese e penso:<<Malfa, non smettete mai di sognare…>>. Inserisco la marcia, e lievemente lascio la frizione e con essa la meravigliosa Val d’Arzino…

Il Forestiero Nomade.

Malfa.