Monte Clapsavon e monte Bivera da Casera Razzo.
Voglia di
solitudine, di camminare, di montagna e di libertà e in mente mi viene il duo
Bivera-Clapsavon.
È prima
volta che mi avventuro nel magico luogo dove è custodita Casera di Razzo. Dopo
aver ammirato i piccoli borghi della val Pesarina, autentico gioiello della
Carnia, raggiungo la località ammirando Aurora che si veste di rosso. Dalle stalle della
casera odo dei rumori, i malgari sono già svegli, intenti a mungere le vacche
prima che vengano liberate per il pascolo giornaliero. Esterrefatto dall’atmosfera,
indosso gli scarponi, zaino in spalle e
parte per la nuova avventura. Passo dopo passo, mentre aggiusto le cinghie
dello zaino, ammiro il paesaggio circostante, davvero incantevole. Oltre le
stalle seguo le indicazioni per la casera di Chiansaveit, la lunghissima
carrareccia attraversa i verdi prati di sella Razzo sconfinando nell’infinito. Camminando,
e stando attento a non inciampare sto con il naso all’insu e con lo sguardo
rivolto alla mole del Tiarfin e dalle sue bianche e luminose rocce. La strada
di campagna con leggera pendenza costeggia le pendici del Col di San Giacomo, aprendo
la visuale agli inconfondibili profili del monte Clapsavon e del monte Bivera e
alla conca dove è posta la bucolica e incantevole casera di Chiansaveit.
Raggiunta quest’ultima, ispeziono i locali: essi sono curati in modo
eccellente, una fontana risalente al “Ventennio” è posta al centro della malga,
e nelle ex stalle è stato ricavato un ricovero. Entro all’interno del locale, e trovo un libro
per le firme di passaggio dei viandanti. Lascio a malincuore il bellissimo luogo, seguendo l’indicazione
che mi porta al monte Clapsavon. Una piccola traccia diparte alle spalle della
casera, e con una serie di piccoli tornanti risale il pendio erboso e faticoso a
causa del terreno umido e scivoloso. Il caldo afoso non aiuta il passo,
raggiungo la crestina erbosa che collega lo sperone del monte Clapsavon con il
monte Lagna. Mi fermo un attimo per recuperare le energie, concedendomi la
contemplazione ammirare delle Dolomiti. Il sentiero prosegue sulla sinistra
superando con attenzione una crestina erbosa che porta a risalire le pareti
occidentali del monte Calpsavon. L’esile traccia segnata da bollini blu scende
dal costone roccioso, lo supera incanalandosi nel lunghissimo e faticoso
sentiero che taglia in diagonale il vastissimo ghiaione, fioriture di luminosi papaveri
gialli rendono meno monotona l’ascesa. L’ultimo tratto prima della cima è
ripido e dirupato, e la traccia grazie a delle piccole anse raggiunge l’ampia cupola
sommitale. Wow, emozione! Mi avvicino alla croce di vetta con annessi campana e
contenitore libro per viandanti. Il paesaggio circostante è meraviglioso, a
360° si ammirano le dolomiti carniche e venete, e le vicine Prealpi. Mi fermo
alcuni minuti per godere della meritata sosta prima di affrontare il tratto più
difficile dell’escursione odierna, il monte Bivera. Ripreso lo zaino, scendo per
l’ampio crinale (seguendo i bolli blu e i rari ometti) del monte, esso mi conduce
all’affilata ed esposta cresta che sposa il monte Clapsavon al monte Bivera. A
prima vista appare complesso il superamento, con calma e passo sicuro seguendo supero passaggi più difficili, mi abbasso fino a
raggiungere il passaggio più delicato. E una parete affilata come una lama molto
esposta su entrambi i lati, seguendo i segni la supero sulla sinistra
sfruttando i molteplici appoggi e appigli e mantenendomi basso, almeno mezzo metro sotto la linea di
cresta. Superata l’ostico ostacolo in teoria, il più è fatto, la traccia che
sale al monte Bivera all’inizio del tratto non è di facile di intuizione, ma
con intuito riesco a individuare i bolli rossi, dopo si fa sempre più marcata,
e in pochi minuti mi porta alla piccola e panoramica cima: croce, campana e
libro di vetta. Il paesaggio è incantevole e posso godere di un’ampia visione
sul sottostante “Pian delle Streghe”, mentre a settentrione mi intimorisce con
il vertiginoso e dirupato versante. Brevissima sosta, mi ordino le cinghie dello zaino, stringo i lacci degli
scarponi e giù a ritroso per la via del ritorno. Supero forcella del monte Bivera
immettendomi nell’immenso catino di ghiaia sul versante settentrionale, posto alla
base delle due cime. Affrontando qualche passaggio di primo grado inf., seguo il sentiero tra le ghiaie fino alla
sommità del pendio erboso. Il sentiero ben marcato perde velocemente quota tra
balze erbose e roccette, l’ultimo tratto più comodo e popolato da un bosco di larici
si ricollega alla base del catino erboso, dove ritrovo la casera Chiansaveit. Senza
fermarmi dal ricovero proseguo fino alla casera Razzo. Mentre cammino felice e
baldanzoso, improvvisamente avverto dei rumori nell’aria, i capelli mi drizzano
improvvisamente e improvvisa scarica
elettrostatica (un fulmine ravvicinato) si scarica proprio alle mie spalle.
Tale avvenimento ha messo le ali al mio passo, anticipando di corsa come una
lepre il rientro alla Malga. Finisco l’escursione con una doverosa visita al
piccolo spaccio della Casera di Razzo, fraternizzato con il simpaticissimo
gestore dopo aver acquisito alcuni prodotti della casa.
Malfa.
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