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mercoledì 27 marzo 2024

Il sogno dello spirito libero.

 Mi accorgo di essere eccitato, così eccitato che riesco a stento a tenere la matita in mano per quanto essa sia tremante. Credo sia l'eccitazione che solo un uomo libero può provare, un uomo che inizia un lungo viaggio la cui conclusione è sicuramente incerta. La paura ti rende prigioniero e la speranza può renderti libero. È proprio vero che alcuni uccelli non sono fatti per stare in gabbia, sono nati liberi e quando essi si alzano in volo ti si riempie il cuore di gioia. Sì, anche per non dimenticare che ci sono posti a questo mondo che non sono fatti solo di roccia e che essi  serbano  qualcosa dentro, qualcosa di te che nessuno ti può toccare, né cogliere  per portare via se tu non vuoi. Caro fratello, non è difficile immaginare questo, il segreto sta sempre nel mettere accanto una certezza ad un’incertezza, tutto qui,  ma questo non lo puoi condividere con l’alba e il tramonto , lo puoi solo vivere, immaginando che il tramonto e l’alba siano la stessa immagine ma che a volte la percepiamo rivolta, e tutto il resto è la vita. Tutto questo pensiero, un po’ astruso me lo ha confidato un anziano noce, dove un giorno mi ero appisolato durante uno dei miei vagabondaggi. Esso, l’antico e maestoso albero fu maestro di Vincenzo, quel viandante che vaga da millenni,  esso un giorno  mi venne in sogno, sicuramente anche tu lo conosci, visto che viene silente e in sogno agli spiriti liberi…

Malfa.













 

martedì 26 marzo 2024

Io , Magritte e il Monte Zérten, in un tempo non lontano.

Io , Magritte e il Monte Zérten, in un tempo non lontano.

Ci sono amori che nascono a prima vista passionali, così intensi che non ti lasciano un attimo di respiro, ti coinvolgono fino all’inverosimile. Tutto nasce così per caso, uno sguardo verso l’infinito, un cielo azzurro, la vedi per la prima volta, bellissima come non mai. Il suo mantello color smeraldo, il suo capo ornato da una corona, rimani fermo immobile ad ammirarla, vorresti incontrarla subito, ma l’ora è tarda e rinvii a un prossimo dì, sperando che quel giorno sia il più vicino possibile. Non sto scrivendo di una donna, anche se lo può sembrare, ma di una bellissima e sconosciuta montagna: monte Zèrten o Cèrten, che domina come un tempio ellenistico la valle del Vajont.
Mi questa meravigliosa elevazione mi  ha colpito sin da subito la cresta color oro, culminante con una corona di rocce frastagliate e avvolta da un fitto mantello di smeraldo. Come non potevo rimanere stregato!
Giovandomi delle mie buone capacità topografiche ne individuai la posizione e il nome sulle mappe. Nella nota guida alpinistica del C.A.I “Guida dei monti d’Italia –Dolomiti Orientali vol. II del Berti” il monte viene citato con un laconico scritto, cito: << Monte Zérten o Cérten 1883m.- Ottima isolata specola sulle valli Mezas- Vaiont- Zemola, Tuara. Pauroso a picco a Est verso la forra del Vaiont. Interessantissima formazione geologica.>> Questo breve trafiletto mi ha convinto ad esplorarla, cercando informazioni sul web e chiedendo agli amici Spiriti Liberi. In breve tempo ho raccolto una valida documentazione tale da rendermi impaziente fino al giorno dell’escursione. Il fatidico dì giunge accompagnato da innalzamento della temperatura e del tasso di umidità, questo mi ha consigliato di raddoppiare le risorse idriche nello zaino. L’aria è afosa e umida, si parte per la valle del Vaiont. Giungo nella vallata di Erto quando il sole inizia a filtrare la nebbia, rendendo tutto magico. Una mano divina dipinge color pastello il paesaggio. La mia meta è oltre il borgo di Erto, prendendo la rotabile alla sinistra della statale con indicazioni per Pineda.
Devo attraversare il remoto letto del lago occupato dalla valanga che terribili lutti inflisse sessantuno anni fa. Questa visione rende terribile e mistico il passaggio da un versante all’altro. Osservo le pareti del monte Toc con le ferite e da un’angolazione ravvicinata, tanto da aver timore, e per un attimo immagino di rivivere il triste evento. Il buio è giunto all’improvviso, sento la terra tremare e le urla strazianti provenire dai borghi. Percorro questo breve tratto con una strana sensazione, raggiungo nel versante opposto la località di Pineda.
Il sole è riapparso nel mio cuore. Nel borgo la vita prosegue, i vallegiani già svegli si adoperano nelle molteplici attività e i canti di galli accompagnano il mio breve passaggio. Mi inoltro fin sotto le pendici dello Zèrten, superando una paurosa forra attraverso una strada scavata dentro la roccia. Che dire!?! Affascinante prologo di un’avventura e il bello deve ancora venire. Giunto nella località di Prada, noto con piacere che non è un borgo disabitato, ma vivo, gente che passeggia, animali domestici a chiosa. Suoni di una vita bucolica, che ti fanno gridare in cuore: << La vita è bella e io la voglio vivere fino in fondo”.>> Lascio l’auto in uno spiazzo sull’erba che oserei dire apposito, mi preparo. Zaino in spalle e il fido Magritte al seguito, si parte. Il sentiero inizia dal borgo, nessuna indicazione ma solo una strada asfaltata con un cartello con divieto di transito. La carrareccia si inoltra a sud-est nella piccola valle, superando delle graziose case da fiaba, degne dei racconti di Lewis Carroll, abitate sicuramente da soggetti creativi. Da asfaltata la carrareccia diviene lastronata, salendo sempre con dolce pendenza fino all’argine di un torrente (a destra); il sentiero prosegue a sinistra risalendo la vecchia carrareccia. Pochi metri dopo supero un manufatto abitato, il sentiero risale il pendio boschivo settentrionale del monte fino a raggiungere un bivio (bollo rosso e indicazioni su un albero). Seguo quella che a destra indica “Par Ochi”, scorgendo tra gli alberi un sasso con iscrizione, mi fermo a leggerla: << L’Artigiano è quell’uomo che trasforma con le mani la materia in sentimento. tua.>> Questa terra è frequentata da spiriti liberi, artisti e poeti. Dopo un paio di tornanti un altro bivio, seguo la direzione a destra che in breve mi porta nell’ampia radura dove fa bella mostra la casera di Cuare, splendido pulpito panoramico sulla valle del Vajont.
Mirando a settentrione dietro la casetta in legno color mogano parte il sentiero per lo Zèrten. L’Itinerario è selvaggio, risalgo tra i ruderi di vecchi stavoli e accompagnato da radi ometti e bolli rossi giungo fino a sotto le pareti rocciose; da quest’ultimo tratto disegnando una lunga diagonale il sentiero costeggia il versante settentrionale del monte. In alcuni tratti il percorso è scavato nella roccia, aggirando i bastioni rocciosi e offrendo piccole piazzole panoramiche. I passaggi esposti sono radi, qualche tratto di sentiero è eroso e gli ometti mi sono di grande aiuto.
Così giungo alla base del ripidissimo canalone inerbito che mi porterà in cresta. Da questo tratto in poi il prosieguo si fa più avventuroso, sia per la pendenza che per la mancanza di segni e tracce. Nel primo tratto riesco a identificare il percorso dalle zolle di terra alzate recentemente da escursionisti, fino a raggiungere un larice con bollo rosso. Il prosieguo si biforca, degli ometti mi invitano a salite a destra per brevi tratti di traccia che mi portano alla base del catino erboso. Qui mi fermo a ragionare, la traccia si perde tra i rovi e i ciuffi d’erba. Davanti a me una parete rocciosa, vengo attirato da una paretina sul lato destro, mi sembra abbordabile e scorgo segni di passaggio. La risalgo a fatica a causa del terreno marcio, così guadagno il vertice superiore (bolli rossi) dove scorgo una labile traccia. La seguo, poi si perde di nuovo, ma la cresta è vicina. Sono a pochi metri dalla forcella: alla mia sinistra il monte dell’Ardot, a destra le rocce della cresta del monte Zèrten.
Ho la sensazione di essere un “apache”, adesso solo l’istinto mi guida, la mia bandana sventola, aleggiandomi sul volto la brezza della libertà.
Ora il percorso è intuitivo e sempre guidato dall’istinto. Punto alla cresta della forcella, raggiunta la base di quest’ultima mi dirigo a sinistra verso gli affioramenti rocciosi, risalendoli con piccoli passaggi di I grado fino a portarmi presso la cima (altra alternativa era di scendere sul ripido erboso e aggirarlo, cosa che farò in discesa). In prossimità della sommità avvisto un gruppo di camosci, graditissimo omaggio di benvenuto della Montagna. Magritte è felice, squittisce dalla gioia. Osservo gli amici a quattro zampe, ci salutiamo. Loro ci cedono la vetta, con riverenza ringraziamo. La meta è prossima, superate le ultime strane conformità rocciose, raggiungiamo l’ometto di vertice, che ospita il caratteristico ramo rinsecchito, il famoso simbolo dello Zérten. Fatta!
Zaino a terra, la soddisfazione è tanta, mi guardo intorno cercando di sbollire l’estasi. Dopo essermi ripreso dalla felicità osservo il mondo circostante, ovvero il condizionale è d’obbligo, mi sarebbe piaciuto ammirare il paesaggio. Alcune nuvole coprono il Col Nudo e il monte Toc, altre fanno da cappello al Monte Borgà e al monte Palazza. Non riesco a scorgere nemmeno il tratto terminale della cresta.
Mi fermo a curiosare tra i sassi dell’ometto di vetta, cercando il libro delle firme, eccolo! Il sacro libretto è ben custodito dentro un barattolo di vetro. Sfamo l’amico, lo disseto, dopo di ché consumando un frutto mi dedico alla lettura degli escursionisti che hanno visitato la cima. Che meraviglia! Riccardo Cassin?!? Come non emozionarmi nel leggere la sua dedica. Il solo avere in mano questa reliquia vale la fatica affrontata. E poi gli amici di montagna, tra i quali Paolo Pozzati, Stefano Morasutto e per ultimo Gino dal Vià, che ha l’unico difetto di essere milanista, beh! Nessuno a questo mondo è perfetto. Che dire, questa cima è un covo di “Spiriti Liberi”! Mi piace, mi glorifica e gratifica, mi dà autostima, come una medaglia da appuntare sul petto quando sarò veterano. Ripongo il prezioso diario di cima nel suo scrigno, concedendomi alcuni minuti di riposo. La voglia matta di montagna non diminuisce, vivrei in eterno in questo ambiente e sogno, ma le nuvole in lontananza mi invitano a pensare al ritorno; si sa in montagna il meteo cambia all’improvviso. Per la discesa del primo tratto seguo un altro percorso, notando dall’alto alcune deboli tracce, così aggiro a sinistra il tratto esposto sopra il catino erboso. Con molta calma e con movimento da bradipo, guadagno la base del canalone. Avevo avuto la mezza idea di salire anche sull’Ardot, di qualche metro più basso rispetto allo Zérten, ma in confidenza non ne avevo voglia, e non mi sono chiesto nemmeno il perché. Lungo il sentiero di ritorno (lo stesso dell’andata), pensavo alle emozioni provate, nel frattempo la giornata volge al meglio, le nuvole diradandosi abbandonavano la valle, i colori sono più intensi e luminosi, e quella strana sensazione di felicità si impossessa dello spirito. Raggiunta la casera di Cuare, consumo lo spuntino, lasciandomi cullare dalla splendida visione, per poi riprendere il cammino e raggiungere il punto di partenza. Mi aspetta un ambiente bucolico, il canto dei galli, la melodia della vita quotidiana, e un bel gattone bianco appisolato sotto l’auto. Tutte queste emozioni catturano il mio spirito in un lungo e candido torpore. La medesima estasi che prova l’avventuroso viandante quando percorre nuove terre. Rientro alla civiltà udendo il rombo delle moto e la musica della vita quotidiana. Scrutando le cime (futuri amori) abbandono la valle del Vajont, consapevole che la natura nel suo eterno divenire ha mutato la morte in amore.

Malfa e Magritte.