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sabato 30 dicembre 2023

Monte Dauda e Il nostro libero sognare…

Monte Dauda e Il nostro libero sognare…

 

Le note di “Hotel California” degli Eagles, dolcemente escono dalle casse audio dell’auto, percorro le prime curve tra i colli di Pinzano. Il sole nascente mi illumina il volto, abbasso il paraluce sognando questa nuova meta. I verdi prati di Flagogna, il borgo di Cornino, che meravigliosa visione! I bei monti della pianura friulana, le mie adorate avventure! Guido vegliato da mille ricordi, Magritte dorme, manca ancora mezz’ora di strada, non ho fretta, mi godo questo bellissimo film, cercando di intuire dalla quota della neve cosa troverò. Oggi ho scelto monte Dauda, non è un monte difficile, ma la neve quest’anno lo ha reso inespugnabile. Nella valle di Tolmezzo mi aspetta la grande signora” L’Amariana”, con la cima imbiancata è sempre più bella. In lontananza scorgo il Tersadia che erroneamente lo scambio per il monte Dauda, le linee bianche delle mulattiere apparivano diverse da quelle del monte Dauda, dopo attenta e acuta riflessione ho esclamato: <<. Zio è il Tersadia.>>

 Giungo nei pressi di Zuglio, ora si che scorgo la meta, mi dà il benvenuto, porgendomi l’invito per una visita di cortesia, che educatamente non rifiuto. Dopo una serie di tornanti, giungo al centro del piccolo paese di Fielis, come si fa a resistere a una così bella visione. Gli alberi in fiore, il campanile, la primavera che canta, e io li al centro, imbambolato. Dover indossare gli scarponi diventa quasi un sacrilegio interrompere la grazia del momento ma devo.  Indossata l’armatura, si parte! Magritte è già avanti, conosce bene la direzione, come se avesse letto i miei desideri. I suoi silenzi sono sempre più misteriosi, un giorno forse mi parlerà! Ne sono certo, svelandomi che conosce la fisica meglio di Albert Einstein e che per rispetto della mia presunzione lo ha sempre taciuto. I primi tratti dell’escursioni sono accompagnati da un “Mandi” scambiato con una simpatica signora, un sorriso e via verso la selva. La strada è sempre la stessa, una lunga carrareccia che risale il pendio boschivo(faggi) con una serie di tornanti, portandomi dolcemente nella valletta dominata dalla malga di Dauda. Stavolta la neve è assente, il laghetto riflette il monte alle mie spalle, gioco con la macchina fotografica, la primavera è stata sempre la mia musa ispiratrice.

 

 

Il mio errare è un camminare e lo scoprire cosa si cela sotto la neve, il sentierino porta alla malga che ha perso da poco la veste invernale. Mi guardo intorno e contemplo: il monte Sernio dorme ancora e non voglio destarlo così mi avvio silente per il versante settentrionale del monte. La neve mi appare all’improvviso come se fossi tornato indietro nella stagione,  essa è tanto compatta e poco profonda. Seguo la lunga scia della pesta mantenendomi sul bordo destro, dove il passo è più sicuro.

Dopo un breve lasso di tempo il bianco candore mi avvolge, e  il cielo color lapislazzuli rende il tutto più gradevole. Mi perdo nella contemplazione del paesaggio, alla mia destra scorgo in lontananza le cime più altere della Carnia, e dalle loro forme gioco a indovinarne i nomi. Non sono solo e non mi riferisco a Magritte, che scodinzola due passi avanti, ma a lei ,la mitica Artemide. Mano nella mano passeggio assieme alla dea, e nel soffio di vento mi par di sentire la carezza dell’amore. Con ardente passione le venero i piedi ignudi e di color latte che incedono delicatamente, ella è la prima danzatrice di questo magnifico balletto in cui anch’io sono coinvolto. La carrareccia aggira il lato settentrionale del monte e in vicinanza dominano la scena le cime del monte Arvenis e del Tamai. Il lato occidentale del sentiero è sempre coperto da neve, ma più compatta. Cammino con attenzione sul bordo di una linea immaginaria, non lasciandomi distrarre dalla bellezza del paesaggio. La carrareccia con andamento circolare si collega con la forcella di Meleit, e non ho premura a raggiungerla, dal basso riesco a scorgere la croce della cima del Dauda. Tutto pare così vicino, ma è solo un’illusione ottica nato dal semplice desiderio di abbracciare tutto. Raggiunta la forcella, un altro ventaglio di emozioni mi rapisce lo spirito. Il paesaggio è seducente, tutto molto accattivante, la signora neve tinge di bianco un paesaggio incantevole e la voglia è di esplorare è intensa mira a tutte le direzioni. Scorgo un albero con un segno giallo, deve essere la traccia da seguire, intuisco che la carreggiata prosegue in direzione sud-est, guadagnando quota con dolcezza. Sfioro i ruderi di “Malga Chiass Alta”, e sul vecchio abbeveratoio è tinta una freccia gialla che mi invita a proseguire in quella direzione. Supero un laghetto, il sole malgrado la sua magnificenza oggi non scalda, ed io, viandante infreddolito, sempre per il bianco sentiero e i tagli trai i mughi raggiungo la mulattiera che sale da sud.

Nella neve leggo delle impronte di scarponi, per la cima la direzione è a destra risalendo la dolce cresta tra rocce e balze erbose. Il paradiso odierno non è lontano, sento l’emozione degli ultimi passi, è ogni volta è sempre la medesima trepidazione e con la stessa intensità. Il cielo luminoso è sempre più ampio, ed io, metro dopo metro, filo d’erba dopo filo d’erba, raggiungo la vetta, ossia un cumulo di sassi testimone del passaggio secolare dei viandanti. E la croce dov’è? Vado più avanti, si essa è più in basso, un delicato nevaio la separa dalla quota più alta. Sgancio lo zaino dal corpo e lo depongo presso l’ometto di sassi, ed accanto ad esso si adagia Magritte, cercando riparo dalle lievi folate di vento.  Stanchi, e un po’ esausti, ci meritiamo una lauta pausa, oggi si banchetta in vetta, e di seguito , rapiti da un sonno leggero sogniamo sotto la croce. Il rientro sarà lieve, scendendo dalla cresta proseguo in direzione sud lungo la mulattiera che sfiora dei surreali cocuzzoli e vien voglia di salirci sopra per giocare. Le prime fioriture bucano la neve, è una lotta tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che si rivela alla vita, in fondo questo è il senso della vita.

Una vecchia mulattiera, sicuramente di guerra, ci conduce nel versante meridionale dal color ocra, alcuni sparuti alberi fanno da sentinelle, indicando ai viandanti qual è la dovuta via. Un palo con un altro segno giallo mi invita ad abbandonare la mulattiera e intraprendere la scoscesa traccia lungo una cresta ripida e inerbita, la prudenza non è mai troppa.

La dolcezza e i colori primaverili rendono il tutto dolce, direi serafico. Poco prima di un cocuzzolo il sentiero vira bruscamente a oriente risalendo a settentrione. La traccia e ben battuta e segnata. Rientro nel bosco di faggi, superando sparuti nevai, fino raggiungere la malga Dauda, così chiudo l’anello. Un attimo di riflessione, uno sguardo lassù alla cima, alla croce, e via per il sentiero d’andata. Poco sopra la frazione di Fielis incontro un’amica con il suo compagno,  breve scambio di pensieri e di informazioni. Raggiunta l’auto, mi preparo per il “mondo civile”, mi avvio lungo la strada, accendo l’autoradio e gli Eagles intonano ” Hotel California”. Oggi rientro in beatitudine, domani sarà un altro sogno e un’altra cima.

Malfa. 






































 

sabato 23 dicembre 2023

Monte Rauchkofel 2460 m. e Monte Mahderrkopf 2155 m. da Collina.

Monte Rauchkofel 2460 m. e Monte Mahderrkopf 2155 m. da Collina.

 

Una settimana intensa, piena di emozioni, iniziata con il monte Brentoni, continuata con Il Piper e i Due Pizzi non poteva che finire con un’altra meraviglia, il monte Rauchkofel.

 

L’idea dell’escursione mi è nata curiosando tra le mappe. Desideravo da tempo ritornare alle Alpi carniche centrali e girovagare intorno al gruppo di monti dominato da sua maestà “il Coglians”. L’attenzione cade su un monte “Rachkofel”. Dovrebbe trattarsi di quel monte color verde che si vede dal rifugio Lambertenghi-Romanin, se si guarda oltre il lago di Volaia. L’altezza della cima è discreta, ma visto che è esposto a sud penso di trovarlo sgombro da neve. Mi appronto lo zaino per l’escursione, non scartando nessuna evenienza, quindi ramponi e picca sono d’obbligo. Il giorno dell’escursione malgrado la sveglia sia fissata alle prime ore del mattino, mi alzo tardino, inizio a sentire la stanchezza arretrata. Confermato come sempre Magritte compagno di escursione, nella precedente si è dimostrato un valente alpino. Preso il materiale si parte, destinazione Tolmezzo, e dal capoluogo carnico mi inoltro dentro la Carnia, fino a raggiungere il lontano borgo di collina, dominato dall’impressionante mole del Coglians. Dovrei lasciare l’auto al rifugio Tolazzi, ma la carreggiabile è resa impraticabile dal gelo, posteggio in basso, poco dopo Collina. La temperatura è molto fredda, mi copro benino, zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito, si parte. Raggiunto il rifugio Tolazzi (chiuso), seguo la carrareccia, dopo un paio di tornanti trovo un sentiero nominato la “scorciatoia”, esso è segnato con una scarpetta ginnica stilizzata, color giallo fosforescente. Il sentiero rapidamente ascende sul versante occidentale del monte Coglians, all’interno di un bosco di conifere. Superato un secco impluvio si collega con il sentiero proveniente sempre dal Rifugio Tolazzi. Sono in vicinanza del Passo di Volaia, do uno sguardo alle bianche pareti del monte Coglians e del Monte Capolago. Riconosco alla mia destra la verticale roccia dove si sviluppa la ferrata “Spinotti”. Raggiunti i vecchi baraccamenti della Prima guerra mondiale seguo la comoda mulattiera che solcando l’inerbito e ingiallito vallo, mi porta al rifugio Lambertenghi-Romanin, anch’esso chiuso. Pochi metri mi separano per raggiungere il passo, la vecchia trincea limita la visuale, ma una volta superata rimango affascinato dal paesaggio. Il lago di Volaia, totalmente imbiancato, è un’impressionante tavola di ghiaccio. e la temperatura cala velocemente in un ambiente che appare spettrale. Intuisco che i raggi del sole non battono questo versante alle prime ore del mattino. Sto attento a non scivolare e mi porto verso il rifugio austriaco “Wolayersee H.” chiuso anche questo. Il paesaggio è stupendo, surreale, agghiacciante e allo stesso tempo meraviglioso. Mentre avanzo ammiro una cuspide di roccia, l’obelisco sopra il rifugio, monte Capolago e soprattutto il monte Coglians, questi elementi, insieme, danno un tocco di magia all’insieme. In lontananza a occidente scruto la cresta del Volaia che svanisce verso i lontani Peralba e Fleons. Vorrei esprimere un “mi illumino di Immenso”, ma mi limito a un “mi sto congelando”. Poco dietro il rifugio di oltre confine parte un sentiero parzialmente coperto da neve, esso risale la dorsale che porta al RauchKofel, la neve nel primo tratto non è dura, scorgo delle orme umane e le seguo, con attenzione tra zolle d’erba e rocce raggiungo la cresta. La neve è dura, è giunto il momento di indossare i ramponi. Magritte è felice di giocare, lo osservo e mi riempie di gioia la  sua briosità, è vero, gli animali danno tanto e chiedono poco. Camminare sulla neve ha i suoi vantaggi, essendo il sentiero coperto, mi invento una direzione, che spesso coincide con quella originale, tutto questo mi dà una sensazione di libertà. So che la meta è lassù, riesco a vedere la cresta con la croce, stoicamente cavalco le dune di neve. Nell’immensità del bianco della valle siamo un puntino rosso-nero e un puntino più piccolo nero che vagano nell’infinito e candido biancore. È meraviglioso, felicemente io e Magritte giochiamo con il candore luccicante. In breve, sono sotto la cresta, le ultime centinaia di metri le percorro nel catino innevato, e con una serie di zig-zag guadagno quota, intervallandolo con qualche traverso adrenalinico. Il pericolo oggettivo è dominato dall’attrazione esercitata dalla cima. Raggiunta la cresta seguo il suo filo, come spesso ho scritto nelle mie precedenti relazioni, adoro definirmi “il funambolo delle creste”, fermandomi spesso a guardare il versante settentrionale, erto e totalmente coperto di neve. Gli ultimi metri prima della vetta sono ardui, un cavo mi è di aiuto, e finalmente raggiungo il vertice. Sono emozionato, non dalla conquista ma dallo spettacolo che mi regalano le cime circostanti, sicuramente tra le più rinomate del Friuli. Mi trovo sopra un pulpito straordinario da dove posso ammirare le Chianevate e il monte Coglians, che da soli meritano tutta la fatica fin qui affrontata. E il resto del paesaggio? Sublime, eccezionale, che spazia all’infinito e lo sguardo incantato sorvola tutte le cime. Mi appresto a firmare il libro di vetta, c’è anche un timbro, ma in modo malagevole faccio cadere il tampone d’inchiostro, che rovina paurosamente sull’orlo del ripido e contemporaneamente dal mio libretto, dove apporto i timbri, scivola via una foto con me e Magritte, inghiottita dall’abisso. Penso: <<Non sarà un cattivo presagio? >> Magritte che ha seguito la scena, ha un’espressione terrorizzata, nasconde la zampetta anteriore destra tra quelle posteriori, facendo un leggero movimento, l’altra zampetta anteriore è saldata fortemente alla base metallica della croce. Anche questo mi sembra strano, non sapevo che fosse scaramantico. coraggiosamente mi calo a recuperare il tampone e trovo anche una penna, li rimetto dentro il contenitore. Distraendo la mente dal cattivo presagio mi appresto al ritorno. Seguendo le mie orme a ritroso raggiungendo in basso la sella, do un’occhiata all’ora, ho ancora tempo. In contemporanea noto un monte non lontano, studio la mappa, è “Monte MaderKopf.” Seguo una direzione immaginaria e mi porto a occidente fino a raggiungere il catino innevato, ne percorro la circonferenza sul margine alto guadagnando la cresta, che con dolce pendenza mi porta in cima. Il vertice è materializzato da due tondini in metallo color rosso, legati a croce. Doveva essere una postazione di osservazione militare nella Grande Guerra,  di essa rimangono i resti del manufatto. La cima è un ottimo punto di osservazione, dal Volaia alle grandi cime citate in precedenza, mi faccio rapire dalla meravigliosa visione. Sono soddisfatto, finalmente si rientra. Rinvio la consumazione del pasto, si è fatto tardi, do un’occhiata alla mappa, e spero di trovare un sentiero più corto per il ritorno; erroneamente ne seguo uno che mi allontana dall’obbiettivo facendomi perdere metri di quota e tempo. Improvvisando tramite una diagonale riguadagno quota, tagliando tra le dune di neve, fino a riconquistare la china del pendio che sovrasta il rifugio Woalyersee H. Sono quasi arrivato al passo di Volaia, se non fosse che i ramponi fanno i capricci con il terreno misto, un tratto di cammino l’ho percorso con uno indossato e l’altro in mano, evitando di scivolare sulla neve. Raggiunto il lago, lo percorro ai margini, raggiungendo velocemente il passo e successivamente il rifugio Lambertenghi-Romanin. Il cielo è di un colore rosso intenso, presto il sole calerà dietro i monti. Velocemente faccio mangiare Magritte, io prendo solo una banana. Riposti i ramponi nello zaino, da esso estraggo la torcia frontale che presto utilizzerò. Per la discesa seguo la carrareccia, più sicura anche se molto più lunga. Dopo una mezzoretta accendo la torcia, durante la discesa sopraggiunge la l’oscurità, e da molto lontano scorgo le luci di Collina. La montagna di notte indubbiamente ha il suo fascino, essa con il suo silenzio amplifica le emozioni. Assorto dall’ammirare le stelle e le sagome dei Larici raggiungo l’auto, spengo la torcia e ammiro il monte Coglians, illuminato solo da un fiabesco cielo stellato. Stanco, anzi stanchi e soddisfatti si rientra in pianura, felici e soddisfatti della bellissima avventura trascorsa nel meraviglioso ambiente  a nord del monte Coglians.

Malfa.