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lunedì 27 giugno 2016

Crep Nudo 2207 m. dall'Alpago.

 
Crep Nudo ( 2207 m.)  dall’Alpago.

Note tecniche.


Avvicinamento: Autostrada per Belluno- Uscita Fadalto-Lago di S. Croce- Farra d’Alpago- Puos d’Alpago- Lamosano- Funes-Saline- seguire indicazioni per casera Crosetta (ampio parcheggio quota) 1156 m.

 

Punto di Partenza:  Casera Crosetta (ampio parcheggio quota) 1156 m.

Dislivello: 1082 m.

Dislivello complessivo: 1170 m.

Distanza percorsa in Km: 9 km.

Quota minima partenza: 1156 m.

Quota massima raggiunta: 2207 m.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAII 933.

Tempo percorrenza totale: 5 ORE escludendo le soste. (3 ore in salita, 2 in discesa)

Fonti d’acqua: Solo alla partenza, una bellissima fonte.

Attrezzature : Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 012

Periodo consigliato: Tutto l’anno, visto che è un luogo amato anche dai chi professa lo sci-alpinismo.

Condizioni del sentiero: Ottimo e ben segnato.

Data: 25 giugno 2016.

 
Data: 25 giugno 2016.

 

Relazione.

Crep Nudo, storia di un sogno che si è avverato.

L’idea dell’escursione nasce così per caso. L’ho scelta tra le sessanta cime che ho programmato. Da tempo ammiro la sua bellissima mole, bianca, luminosa e poderosa, che domina a meridione la Val Cellina, impossibile superare il lago di Barcis senza rimanerne incantati. Le sue pareti appaiono accessibili solo ad alpinisti esperti. Come posso andare lassù? Semplice! Dall‘Alpago, in Veneto, meraviglioso territorio, dove le grandi cime sono più gentili e accessibili. Studiato il percorso decido di partire presto, molto prima rispetto al solito. Alle prime ore di luce sono in vista del Lago di Santa Croce, le barche immobili sull’acqua mi danno quel senso di pace, un invito a lasciarmi andare. Entro nel territorio dell’Alpago, popolato da piccoli paesini e borghi caratteristici. In lontananza scorgo il versante settentrionale della catena montuosa che da Cima Manera si spinge fino al Col Nudo. Attraverso le piccole frazioni, fino a imboccare la forestale che mi porta alla casera di Crosetta (cartelli indicatori lungo la strada).

 Giunto davanti al caratteristico edificio (chiuso) posteggio l’auto nell’ampio parcheggio, preparandomi per la nuova avventura. Sono emozionato, ed è la prima uscita annuale senza il fido Magritte, la temperatura altissima di queste giornate mi ha consigliato di proteggerlo. Zaino in spalle e sogni al seguito si parte.  Superata la piccola fonte adiacente la parete del casolare mi ritrovo davanti una carrareccia chiusa al transito da una sbarra. L’aggiro, soffermandomi davanti ad un cartello con indicazioni, tra cui il Crep Nudo. La vecchia carrareccia inerbita risale i primi metri di dislivello e dopo una serie di tornanti raggiunge l’ampio prato dominato dalle costruzioni in disuso della malga del Venal. L’ambiente è sontuoso, l’anfiteatro dolomitico mi incanta con le sue cime. Da sinistra a destra: il monte Teverone, le Rocce Bianche, il Crepon, dietro di esso nascosto il Crep Nudo e infine il monte Venal. Un’ampia conca selvaggia aspetta il mio passo, riprendo il cammino seguendo le indicazioni per il Crep Nudo. Superate le strutture della casera Venal, un piccolo sentiero ben battuto con pendenza moderata si inoltra nel bosco di larici. Dopo un centinaio di metri di dislivello, mi fermo davanti ad una felce, penso a quanto sia antica questa specie di pianta. Improvvisamente il mio pensiero vola dal passato remoto al passato recente. Dove ho lasciato il portafoglio? Mi è caduto durante il pagamento del pedaggio autostradale, oppure l’ho smarrito in auto? Al dubbio si risponde con la costatazione. Dopo aver controllato lo zaino, accertandomi che l’oggetto smarrito non era al seguito, procedo di corsa verso il punto di partenza. Per essere velocissimo lascio lo zaino dentro una fontana secca nei pressi della casera di Venal, quindi giù più veloce della luce. Lungo la discesa incontro escursionisti in salita. Saluto in corsa e penso. <<Vuoi vedere che dicono che sono uno skialper!?>>.

In pochi minuti raggiungo l’auto, costato che avevo dimenticato l’oggetto sul sedile anteriore, lo prendo  e ritorno di nuovo sul sentiero! Per fortuna sono giovane, pensa se avevo superato i cinquanta anni! Il passo in risalita anche se lesto è affaticato, ci vorrebbe una flebo, cadenzo i passi e recupero il fiato. Presto raggiungo lo zaino abbandonato, mi rimetto in marcia. L’operazione del recupero mi è costata una mezz’oretta di ritardo sulla tabella di marcia, pensavo peggio. Non aumento il passo, procedendo con calma. Tra i larici il sentiero si biforca. A sinistra prosegue per il Crep Nudo (sentiero CAI numerato 933), a destra (sentiero CAI numerato 934) conduce alla forcella del Venal. Proseguo per il 933, risalendo un erboso pendio e il successivo ghiaione che rasenta le dirupate pareti del Capel Piccolo. In breve ritrovo al disopra di un salto, l’ambiente appare sempre più selvaggio, popolato da grossi massi. Tra i mughi e zolle erbose raggiungo la base di un ghiaione che risalgo per labili tracce fino alla sommità. Nel frattempo le nuvole si sono abbassate, una fitta nebbia nasconde la sommità del Crep Nudo. I segni Cai mi portano alla destra del catino sommitale, severo ambiente carsico. Mi fermo, distratto da qualcosa che si muove tra le nebbie, ombre? no! Sono uomini, i due escursionisti incontrati in precedenza. Non so se scendono o salgono, sì, salgono, per poi sparire avvolti dalle nuvole. Seguo diligentemente i segni: percorso tortuoso tra doline e inghiottitoi, dove ancora persistono piccoli nevai. La traccia con andamento circolare supera alcune asperità raggiugendo il tratto terminale sotto le bancate rocciose del Crep. Adagiato alla parete è posto il cartello CAI con indicazioni e i segni blu dell’alta via numero 7. A destra si prosegue per la forcella del Venal, a sinistra per il monte Crepon, la mia meta è meridione. Senza fatica con delicati passaggi tra le rocce risalgo gli ultimi strati che mi dividono dalla cima. Pochi metri prima di raggiungere la vetta il cielo si apre, e come spesso mi accade, la montagna mi dà il suo benvenuto. Sembra una fantasia quella che ho appena descritto, ma le foto lo possono testimoniare. Tutto questo mi commuove. Come se lei (la montagna) mi dicesse << Vedi Beppe, non mollare mai, non aver paura, e tutto ti sarà ricompensato.>>

Pochi metri ancora di attesa, il sole illumina le bianche rocce, finalmente intravedo una croce, e sì, ora sono in vetta, una macchia rossa, anzi due, sono i due escursionisti incontrati in precedenza. Li saluto, mi presento. Ascolto il loro chiaro accento veneto, chiedo la provenienza, sono veneziani. Sorrido: un palermitano e due veneziani, gente nata vicino al mare dove si potevano incontrare? Su in cima! Sulle dolomiti. E questo è il paradossale senso della libertà, la magia della montagna che non ha confini alcuni. In breve istauriamo un lungo dialogo, come se fossimo amici da tanto tempo, spaziando di argomentazioni: politica, fotografia, montagna. Aspettando che il cielo si riapra, durante la conversazione consumo il pasto, recuperando energie. Come avevo immaginato i nuovi amici al primo incontro presso la casera Venal, mi avevano scambiato per uno skialper. Visto come correvo hanno temuto per i miei menischi. Spiegando l’accaduto, ci siamo fatti una risata. Dopo una decina di minuti il cielo si apriva, svelando i tesori della valle del Cellino e dell’Alpago. Lo sguardo incantato volava lontano fino al Duranno, oltre le nuvole non concedevano. Mi preparavo al rientro, stavolta in compagnia. Scendendo di tanto in tanto ci si fermava, perché la montagna si divertiva a far la dispettosa. Stavolta il cielo era sgombro di nuvole, e lei vanitosa (la grande signora) si divertiva a posare per noi. La temperatura aumentava velocemente, rendendo l’ambiente afoso. Si scendeva per il sentiero dell’andata, distratti dalla chiacchera che toccava vari argomenti, tra i quali cito “gli usi e i costumi dei popoli incontrati nella nostra vita”. Raggiunta la casera di Venal ci si complimentava per la riuscita dell’escursione. Togliendo la sosta avevamo impiegato meno di cinque ore, mezz‘ora meno del previsto; forse siamo stati favoriti dalla temperatura mite dalla mattinata. Si proseguiva per l’ultimo tratto dell’escursione con la soddisfazione di chi ha raggiunto la meta. La fonte d’acqua davanti il casolare appariva ora lussureggiante come un ‘oasi. Ad essa ci abbandonavamo, dissetandoci e rinfrescandoci. Raggiunta l’auto si procedeva allo scambio di mail e ad un arrivederci affidato al caso. Per il rientro cambiavo itinerario, decidendo di prendere la statale che passando da Longarone mi porta alla valle del Vajont, e successivamente alla valle del Cellino e infine a casa. Un giro lunghetto, ma paradisiaco, che stracolma il cuore di emozioni. Chilometro dopo chilometro, cima dopo cima, borgo dopo borgo, rivivendo vecchie e recenti esperienze. Ma soprattutto amando fino all’ultimo respiro la montagna, il mio Dio.

Il vostro “Forestiero Nomade.

Malfa.