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domenica 28 novembre 2021

Stavoli Tamars, Colle del Zuccio e Monte Pedroc.

Stavoli Tamars, Colle del Zuccio e Monte Pedroc.

 

Localizzazione: Prealpi Carniche

 

Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Somp Cornino- Parcheggio poco prima del bivio che porta al borgo

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

 

Provincia di: UD

.

Dislivello: 910 m.

 

Dislivello complessivo: 910 m.


Distanza percorsa in Km: 14


Quota minima partenza: 156 m.

 

Quota massima raggiunta: 881 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: paesaggio naturalista bucolica

 

Difficoltà: turistico-escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: sentieri-troi-carrarecce- tratti senza tracce-

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI (segni CAI)

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: Istallata una rudimentale sul Colle del Zuccio

Ometto di vetta: si sul monte Pedroc

Libro di vetta: istallato barattolino sul Colle del Zuccio

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: tutto l’anno

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: 23 novembre 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

In una giornata all’insegna del sole, Monte Prat e le sue infinite varianti è la meta ideale.  Il monte non ha particolari difficoltà, un tempo era abitato da una nutrita comunità, lo testimoniano i numerosi stavoli sparsi in ogni dove e a qualsiasi quota della pur modesta altezza.

Sono anni che percorro i suoi remoti sentieri, e ogni qualvolta scopro sempre qualcosa di nuovo. Stavolta sono stato ispirato dallo spirito libero Giannino, ricordo che mesi fa pubblicò nel nostro gruppo la foto di una casera chiamata “Stavoli di Tamars”, ed è giunto il giorno che vi faccia una visita di cortesia.

Studio un anello, lo disegno sulla mappa, e ne mando copia a Luca. Nel frattempo, aspetto che passi la lunga notte di attesa, prima di veder nascere il giorno dell’escursione.

Alle prime ore del mattino con il mio cavallo grigio metallizzato transito per le strade di Flagogna, mentre re sole nasce infuocando di rosso i profili dei monti. Giungo alla periferia di Somp Cornino precedendo di poco Luca, mi assicuro che è per strada, e mi preparo per la partenza, calzando gli scarponi e controllando gli strumenti di navigazione. Durante questo breve lasso di tempo, vengo attratto e incuriosito da una ruota a pale in legno che gira grazie al fluire di un torrentello nella campagna friulana, a pochi metri scorgo un piccolo orto. Si avverte un’aria bucolica, che dona quella felicità indefinibile, manca soltanto il canto del gallo e il quadretto romantico è dipinto. Arriva Luca, posteggia l’auto, ci salutiamo. Gli presento il versante orientale del monte Prat ed esclamo: << Luca, ammira! Guarda quanta bellezza! La roccia è tinta dai colori caldi dovuti al sorgere del sole. Oggi cosa possiamo bramare di più?>>

Entrambi siamo avversi da tempo nell’ascendere le classiche cime o nel rincorrere i record a tutti i costi, tipo segnare più vette e chilometri per dimostrare qualcosa, ma poi a chi? Questa competizione o complesso di inferiorità, sa di contadini in gara tra loro per raccogliere più mele per ossequiare il padrone. A noi, Luca e io, questo spirito agonistico non appartiene, siamo Spiriti Liberi e gioiamo anche del microcosmo che ci sfoggia la meravigliosa Signora.  L’affascinante teatro granitico sopra Somp Cornino, sorvolato dai mattutini grifoni, ci pare un miracolo. Iniziamo il cammino con i nostri zaini pieni di sogni attraverso il borgo appena citato. Percorriamo le viuzze, scoprendo angoli caratteristici che pochi illustrano, particolari che pochi cantano e il tutto cadenzato da un passo lieve per non disturbare, nemmeno con un sussurro, il silenzio del tempo che scorre. Poco fuori dalla frazione, a occidente, si cerca e si trova un inizio sentiero, è distinto con gli stessi colori del CAI, purezza e passione. Seguiamo i segni del marcato sentiero, scopriamo una antica mulattiera e iniziamo l’ascesa. Spesso ci fermiamo per ammirare e immortalare in fugaci scatti la landa friulana, posando per primo lo sguardo sul dormiente gigante Monte Ragogna. Con una serie di tornanti la vecchia strada di montagna ci guida a ridosso delle pendici, scaliamo il monte sul versante meridionale, fino a raggiungere un intaglio panoramico, dove i devoti hanno eretto un’edicola multifunzionale; poco sopra è posta una croce in metallo, chiara dimostrazione del forte ascendente mistico del sito sulla popolazione limitrofa. Dopo l’intaglio incrociamo una stradina asfaltata proveniente dal monte Prat, la percorriamo per breve tratto in ascesa. Dopo pochi metri di asfalto appaiono i meravigliosi Stavoli Ledrania. D’estate solitamente sono abitati dai simpatici e operosi locali, ora gli stavoli, sono silenti, come se la presenza umana si fosse dissolta nei ricordi. Mentre Luca accomoda lo zaino, io mi allontano perlustrando le abitazioni, alla ricerca e contemplazione del singolo oggetto per arricchire il mio sapere e colmare le mie lacune. Ma come Narciso, il bellissimo ragazzo ellenico, che si trova così attraente da innamorarsi del proprio riflesso, io scopro uno specchio appeso a una parete esterna e in esso riflesso il mio volto. Preso da impulso irrefrenabile mi lascio andare all’auto-contemplazione con una serie di scatti fotografici. Il mio egocentrismo è inguaribile, mi diverte riflettere il colore del cielo nell’iride; per fortuna, Luca, non vede questo mio momento di perdizione. Dopo essermi amato abbastanza mi allontano dal dannato oggetto e mi avvicino all’amico, che nel frattempo ha finito le operazioni. Riprendiamo il cammino, seguendo il sentiero che dagli stavoli, bai-passando la strada asfaltata, sale fino agli stavoli di sopra (senza nome). Un colle adiacente alle abitazioni attira la mia attenzione, attraente e seducente come la magia che si respira nell’aria. Davvero meraviglioso l’ambiente. Lo conosco abbastanza bene, tra il serio e il faceto descrivo a Luca cosa ci aspetta. Battezzo il sentiero odierno” Cammino Afrodisiaco” per le emozioni che riesce a suscitare : <<Credimi caro Luca, chiunque porta la sua bella in questa luogo ne rapisce il cuore.>> Poco prima di un tornante troviamo un cartello con le informazioni per il Ciuc dà la Pale, sentiero n° 817, seguiamo le indicazioni tramite una bella traccia che taglia il monte sul versante sud-orientale, finché scorgiamo nella vegetazione una tabella con la scritta Bivacco Tamars. Ci siamo! La diramazione si inoltra e risale il ripido pendio, aggirando il colle quota 802, fino a percorrere una carrareccia. Dapprima visitiamo un bel stavolo con enormi querce poste di guardia, e una strana struttura esterna a forma di arco (forse un magazzino); successivamente continuiamo per il ricovero Tamars, addentrandoci nella vegetazione, finché scorgiamo l’edificio dall’alto. Procedendo per un vecchio troi perveniamo al noto bivacco, dall’aspetto surreale e fiabesco.  Lasciamo gli zaini all’esterno della magica struttura e ne ispezioniamo l’anima. Pare abitata dai nanetti di Biancaneve, e in fondo noi adulti, ora pensionati, siamo sempre alla ricerca del fanciullo che abbiamo abbandonato per vivere la cosiddetta” vita normale”.  Tanti oggetti (riposti con cura all’interno della vetrinetta) attraggono la nostra attenzione.  Abbiamo premura dell’ambiente, vorremmo fare un caffè, ma ci par di disturbare. Estraggo dallo zaino un libro dal titolo Cent’anni di Solitudine, il celebre romanzo di Gabriel Garcia Marquez, scrivo una semplice dedica nel frontespizio del tomo” Leggere e camminare rende liberi”.  Pongo lo stesso sul tavolo, e scrivo di seguito il segno del nostro passaggio nel registro dei visitatori.

È una bella casera, sicuramente ritornerò, mi ha letteralmente incantato. Lasciamo il locale, chiudiamo la porta e ci sporgiamo dalla balaustra, foto con autoscatto, ripresa dal basso, chissà perché in mente mi è venuta la copertina di Please Please Me, noto album dei Beatles.  Il sole ci bacia e dona energia, proseguiamo il cammino seguendo delle strane indicazioni, finché raggiungiamo una comoda carrareccia che ci accompagna sino alla stradina asfaltata percorsa in precedenza e con un divieto di accesso. Un occhio alla mappa, continuiamo a occidente per un breve tratto, e poi viriamo per un altro sentiero che porta agli Stavoli di Forchia. Raggiunti quest’ultimi ci lasciamo rapire dai segni del tempo e dalle recenti presenze: una scatola di biscotti datata e mezza arrugginita e cuori ovunque. Mi commuove la vista di due innaffiatoi in alluminio, sembrano disegnati a matita, mi sdraio per terra per coglierne il lato romantico. Si continua a sognare, fotografiamo particolari, non abbiamo premura, inseguiamo i sogni con la fantasia. Lasciamo il sentiero e miriamo dietro agli stavoli, direzione nord, alla ricerca della via di accesso alla selvaggia cresta. Ascendiamo il malagevole pendio con le mille difficoltà dovute alla numerosa flora che ostacola il cammino. Il colle del Zuccio ha un’anima, la percepiamo, passo dopo passo la vetta sembra allontanarsi, finché il cielo azzurro appare basso, la massima elevazione stavolta è vicina.

Ci siamo! Scorgo due gruppi di massi, uno è poco più alto dell’altro. Lasciamo gli zaini poco distanti e iniziamo la nostra opera, ovvero, la creazione di un simbolo di vetta. Per questa operazione ci serviamo di un robusto tronco, che riduciamo facendo leva con le rocce. Trovate le due componenti, la lunga e verticale e la corta orizzontale, leghiamo i due elementi con una corda da serranda a rullo. All’asse verticale alleghiamo un barattolo con il simbolo del gruppo. Fatto!  È vero, in montagna riscopriamo la nostra infanzia, quando ci bastava poco per giocare ed essere felici. Eseguite le foto di rito, decidiamo di desinare, abbiamo prenotato un tavolo presso gli Stavoli Larghis posti poco più in basso.

Raggiunti gli edifici, ci accomodiamo su due blocchi di pietra posti all’esterno, iniziando l’attimo ludico dedicato al recupero delle energie. La temperatura mite, il sole, e il cielo di un bellissimo colore che varia tra il turchese e il cobalto (chiederò simpaticamente i diritti d’autore a un’amica per la citazione) emozionano e allo stesso tempo caricano di energia vitale lo spirito. Il tempo scorre, siamo rapiti dalla bellezza del luogo. Il colle che abbiamo da poco conquistato è adombrato dalla controluce. È ancora presto per rientrare ma tardi per rimanere. Ci alziamo e iniziamo il rientro, poco più avanti superiamo un cancello, e siamo su una carrareccia che ci conduce presso un bivio. Avevo accennato di mattina a Luca del monte Pedroc, e visto che abbiamo ancora due ore prima che il sole tramonti, invertiamo direzione e ci dirigiamo tramite una strada forestale a nord, alla volta degli stavoli di Val di Sotto e del sovrastante Monte Pedroc. Vado a memoria, finché trovo la stradina che ci guida agli stavoli, e pochi metri sopra una pesta conduce alla cresta del monte. Superato un altro rudimentale cancello siamo presso la vetta goniometrica, simbolizzata da una pietra messa verticale sopra un ometto. Tra i sassi cerco un barattolino che avevo messo non molto tempo fa, non c’è, almeno chi lo ha sottratto lo avesse sostituito con un altro. È proprio vero che la madre degli stupidi è sempre incinta, e intuisco che opera spesso parti plurigemellari. Non rispettare il lavoro degli altri è sinonimo di un medioevo mentale, per molti il rinascimento non è mai sorto, sono rimasti al tempo della pietra. Rientriamo definitivamente, il sole sta per calare e i colori si fanno più accesi, mentre l’oscurità che avanza tinge con intensi e vellutati chiaroscuri il paesaggio. L’ultima foto l’ho fatta a Luca mentre dall’intaglio sopra Somp Cornino traguarda il tramonto con la sua reflex. Il resto è la notte che sopraggiunge. Finiremo la serata in un bar-trattoria posto tra Majano e Rivoli di Osoppo, in un locale pieno di anime munite del rosso nettare. Siamo lontani dal nostro ambiente preferito, siamo come anime perse fuori dal tempo, e la luna, fuori dalla finestra, scrive la parola fine alla splendida escursione svolta in una delle località più caratteristiche della montagna friulana.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.