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mercoledì 28 luglio 2021

Anello Monte Pieltinis dalla Val Pesarina.

Anello Monte Pieltinis dalla Val Pesarina.

 

 

Localizzazione: Super gruppo: Alpi Tolmezzine Occidentali- Dolomiti Pesarine- Monti di Sauris- Dorsale Rioda Novarza.

 

Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Cornino-Cavazzo Carnico-Tolmezzo- Villa Santina-Ovaro- Bivio per la Val Pesarina -Percorrere la strada che raggiunta Pesariis porta a Pradibosco, circa cento metri oltre i resti di una segheria, si tiene la sinistra per portarsi sulla destra orografica del torrente Pesarina (ponticello); dopo circa un chilometro e mezzo, in località Cuesta di Sotto lasciare l’auto presso degli stavoli.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia-

Località: Carnia

 

Provincia di: Udine

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Dislivello: 1200 m.

 

Dislivello complessivo: 1300 m.


Distanza percorsa in Km: 22 km.


Quota minima partenza: 900 m.

 

Quota massima raggiunta: 2027 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 7 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: Panoramica - escursionistica

 

Difficoltà: Escursionistiche turistiche sino alle malghe- Escursionistica la cresta in condizioni normali- con la nebbia, come l’abbiamo effettuata noi, per esperti.

 

Tipologia sentiero o cammino: Carrareccia di servizio alle malghe-sentiero CAI - lungo le creste solo labile traccia senza segni.

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI 204-218-206.

 

Fonti d’acqua: si

 

Impegno fisico: alto

 

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no, solo cartello esplicativo con le vette circostanti.

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: Si, istallato contenitore spiriti liberi

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 02
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: giugno-ottobre

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: La carrareccia è percorribile, anche cementata, il sentiero CAI 218 richiede una manutenzione (segni quasi assenti e percorso da curare).


Consigliati: Ramponcini da erba sulle creste in caso di bagnato.

 

Data: 24 luglio 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

Questo mese di luglio mi ricorda quelli trascorsi sul finire degli anni Ottanta in Friuli. La mattina era sempre bello e il pomeriggio arrivavano puntuali pioggia e nubifragi. All’epoca ero solo un giovane sergente, molto impegnato nelle operazioni militari, che impiegava il raro tempo libero concesso nelle dune di sabbia o le pizzerie della località di Lignano e paesi limitrofi. Ignoravo del tutto la montagna, anche se dalla finestra del mio alloggio (nella caserma di Vacile) parevano vicine. Passano gli anni e nasce la passione per il trekking,  e osservando il cielo ho imparato a leggere l’evolversi dei fenomeni atmosferici. In questa ultima uscita sono stato indeciso fino all’ultimo su quale meta scegliere. L’unica certezza è che vagheremo in Carnia. Partiamo fiduciosi da Lestans, fino a Ovaro il cielo è sgombro, e proprio dopo la nota località carnica, al bivio per la Val Pesarina mi assalgono i dubbi. Sono indeciso se proseguire per la valle o cambiare meta, andando dritto per Sappada. La meta più ambita sarebbe la Creta Forata, ma convinto che le nubi la faranno da padrona, decido di inoltrarmi nella Val Pesarina, scegliendo come destinazione il monte Pieltinis.

Superato il magico campanile pendente di Prato Carnico, proseguiamo per la meravigliosa vallata. Pare strano che bisogna attraversare con l’auto il centro abitato di Pesaris con le caratteristiche abitazioni dai tetti molto spioventi, ma è così. Guidare diventa pericoloso, per la bellezza ci si distrae facilmente. Fermo l’auto poco dopo Pesaris, do una sbirciata alla mappa, il luogo d’arrivo è Cuesta di Sotto, che raggiungiamo tramite il superamento di un ponticello (Ponte Arceons) edificato sul torrente Pesarina.                     Pervenuti agli stavoli della località Cuesta di Sotto, lasciamo l’auto presso uno spiazzo inerbito. Per i non osservanti del divieto di transito non ci sono problemi, si può arrivare con l’auto fin sotto la lunga cresta. Una volta scesi dall’auto ci approntiamo, siamo alle pendici del versante settentrionale del monte, quindi, ci aspetta un fitto bosco di conifere, e di sicuro soffriremo meno il caldo. Il percorso segnato CAI 204 è una lunghissima strada forestale, che tramite una serie di tornanti conduce alla località denominata Plan D’Aiar, ove la strada di servizio si biforca.                                                     Noi seguitiamo a destra, seguendo il tracciato con lo stesso numero CAI, il 204. La carrareccia, parzialmente asfaltata, conduce alla casera Vinadia Grande, mentre quella a sinistra, numerata 218, procede sino alla casera Ielma di sopra. Entrambe le stradine di servizio, una volta pervenute alle malghe, proseguono, valicando la cresta montuosa per poi scendere sul versante che domina Sauris.  Noi proseguiamo per la chilometrica via d’accesso alla cresta, il passo è lento e costante, come quello degli alpini, e ci dilettiamo ad ammirare e fotografare la fantastica fioritura estiva.                  Lo scroscio del Rio Vinadia accompagna il nostro incedere, piccoli ruscelli zampillanti di fresca acqua confluiscono nello stesso, creando una delicata melodia che armonizza il nostro pellegrinare. Verso quota 1500 metri la visuale si apre sul vallone, da dove possiamo scorgere le massime elevazioni: alla nostra sinistra il monte Vinadia, a destra l’ombroso Colle San Pietro, mentre al centro della conca, ma ancora lontanissima, scorgiamo la cresta che ci condurrà al monte Pieltinis. Ora il tratto è dolce, quasi pianeggiante. Un fattore con il suo automezzo va su e giù per la valle, alla ricerca di legna da ardere nel camino. Da lontano giungono voci, e si scorgono le sagome degli edifici della fattoria, che avvicineremo tramite la carrareccia. Presso la malga incontriamo un vitello, e più in alto di quota sta a pascolare il resto della mandria. Pochi metri ancora ed eccoci a ridosso della Casera Vinadia, i fattori sono all’opera, chiediamo dell’acqua e siamo gentilmente serviti.                                                 Poco sopra la struttura, nel prato che la sovrasta, decidiamo di fare la prima sosta. Abbiamo compiuto un bel po' di chilometri e più di 800 metri di dislivello. La carrareccia che continua a monte, taglia in diagonale, da ovest a est il versante settentrionale del Monte Pieltinis, sino a raggiungere la forcella. Ripreso il cammino, in pochi minuti siamo a ridosso della cresta (quota 1881 m.) Nel frattempo le nubi si sono notevolmente abbassate, non minacciano pioggia ma oscurano la visione del panorama. Le indicazioni CAI sono inconfutabili, si continua a occidente, seguendo la chiara traccia, prima per cresta e successivamente sul versante meridionale. Adoro tutti i fenomeni atmosferici, la nebbia in particolare con i suoi grigi è creativa, e le immagini degli uomini che si muovono e svaniscono al suo interno, paiono struggenti dipinti ottocenteschi. La mia compagna mi segue, dalle espressioni denoto felicità. Cavalcare le creste è sempre stato divino, per tutti gli esseri viventi, in qualsiasi era. Poco sotto il cupolone del monte Pieltinis, perveniamo a un bivio, noi seguiamo quello a destra che conduce alla vetta. La nebbia è sempre più fitta, concedo alla mia compagna l’onore della conquista, si spera di essere soli, ma troviamo una folla di bipedi sproporzionata per la piccola estremità. La cima (quota 2027 m.) è un fazzoletto di terra, dove si nota un trabiccolo con su la foto panoramica delle cime circostanti e i relativi nomi. Ai piedi dello stesso due lumini, posti sicuramente da una madre pietosa in ricordo del figlio, anch’egli amante della montagna. Cerchiamo spazio nel piccolo cocuzzolo, spostandoci in quello adiacente, ma è troppo inerbito, allora si ritorna sui propri passi, ed ecco che una coppia di teutonici lascia vetta, cedendoci lo spazio vitale. Mentre ci approntiamo per la pausa, anche gli altri presenti, un trio di giovani pordenonesi, abbandona la vetta, lasciandoci in totale solitudine a godere del paesaggio, ovvero il nulla. Effettuiamo una breve sosta, il tempo di recuperare le energie, e decidiamo di rientrare. Presso la forcella precedente incrociamo una giovane coppia, lui di origini sicule e lei carniche. Breve scambio di informazioni, mi chiedono delle dritte, e malgrado la nebbia riesco a esaudire le loro richieste. Per il ritorno ho in mente di rientrare per la valle adiacente a quella da dove siamo ascesi, esattamente lo scenario alpino che conduce alla casera Ielma di Sopra. Studiando la mappa, le possibilità sono due: la prima consiste nello scendere di quota nel versante meridionale, passare per Casera Pieltinis e risalire alla forcella che precede il monte Torondon; la seconda è quella di procedere per la crestina inerbita per poi scendere nel vallone. Decidiamo per la seconda ipotesi e sicuri della scelta, partiamo, iniziando il bel crinale. Una labile traccia ci guida, con diversi saliscendi, sino al cupolone terminale, dove decidiamo di deviare per il pendio che ci guida sino al colle San Pietro. Alcuni passaggi sono resi insidiosi dall’erba alta e inumidita, soprattutto, un avventuroso traverso, ma raggiunta la linea di cresta, la discesa diventa meno impegnativa grazie ad una traccia di cacciatori. Dove il crinale si abbassa prima di riprendere quota per il Colle San Pietro, vado alla ricerca (a oriente), di passaggi comodi, e li trovo! In breve, tra l’alta vegetazione che sa di Amazzonia, raggiungiamo la carrareccia che conduce alla Casera Ielma di sopra. Fatta! Anche la frazione avventurosa è stata superata con successo, e la nebbia con la sua poeticità ci ha galvanizzato.        In alcuni passaggi delicati ammiravamo gli strapiombi che svanivano nella bruma, in altri meno impegnativi ridevamo, ironizzando: che è noto e risaputo che per noi palermitani la nebbia è di casa.  Stranamente, malgrado le nubi basse e l’esposizione della cresta, abbiamo avvertito un’intensa umidità sulla pelle che ci ha fatto sudare più dell’abituale. Infatti, una volta fuori dalla selva, ci cambiamo le canottiere e ci prepariamo al rientro.

Raggiunta la bella casera di Ielma di Sopra, adornata da due laghetti artificiali, ne visitiamo gli ambienti. L’edificio è affascinante e ben tenuto, e per quanto notiamo, anche molto frequentato. Un originale camino attira la nostra attenzione, le imposte sono di remota fattura, incise dai numerosi viandanti di passaggio, questi segni paiono geroglifici, riesco a decifrare una frase che trascrivo”” Un solitario in montagna non è mai solo, ha come compagni le meravigliose creature dell’universo, una di queste sono i fiori. Variopinti dalle mille forge, li si trova quasi a tutte le quote. Essi ti osservano, ti guidano, scherzano e ti incitano nei momenti più delicati. Basta solo prestar attenzione nel non pestarli, una vita merita sempre rispetto.

Il vostro Forestiero Nomade.

Malfa””

Giochiamo con la luce che filtra tramite l’anta dall’esterno, essa accarezza i nostri profili, adombrandone un lato per metterne in rilievo l’atro. Riprendiamo il cammino, sempre in discesa, e dopo una serie di tornanti avvistiamo un'altra fattoria, la casera Ielma di Sotto. Pare che ci sia del movimento all’interno del recinto, una volta vicini rimaniamo estasiati dalla visione. Per noi (Giovanna e io) che abbiamo vissuto l’infanzia in una metropoli di mare, il fantastico mondo montano di Heidi lo vedevamo solo in televisione, nei cartoni animati. Di recente, grazie alle nostre frequentazioni montane questo universo è diventato parte della nostra vita, ma mai e poi mai, avremmo pensato di incontrare le riproduzioni del nonno di Heidi e di Peter. Per la prima volta questa visione si materializza, pittorica quanto un’opera di Hieronymus Bosch e commovente come il fantastico mondo bucolico di Heidi. Scatto a mitraglia una serie di foto, il malgaro se ne accorge, e facendo finta di nulla posa per il mio reportage, continuando a eseguire le abituali operazioni lavorative. Le caprette sostano intorno a lui, alcune sono state munte, altre attendono diligentemente il loro turno, come se fosse un rito magico o una funzione pubblica da compiere. I giovani pastori, in ossequioso silenzio imparano dal maestro l’arte manuale, mentre i secchi di alluminio si riempiono del dolce nettare bianco. Non scambiamo nessun verbo con i pastori ma sguardi benevoli, i nostri di gioia e i loro di gaudente ospitalità. Giriamo le spalle alla fattoria e proseguiamo il nostro cammino, convinti di aver vissuto un sogno.  Poco dopo transitiamo davanti la Casera Palabona, c’è un notevole flusso di automezzi e di gente, che poco hanno a che fare con la silente poesia che abbiamo vissuto fino a pochi istanti prima. È un tipo di montagna e di vivere che non amo ma non critico, semplicemente, per quanto posso, lo evito. Leggo ancora la mappa, dovremmo trovare il sentiero 218 che ci permette di abbreviare di molto il cammino. Infatti, nella macchia verde, a pochi metri dal selciato, poco sotto, noto un’evidente traccia che imbocchiamo. In poco tempo, ci permette di scendere velocemente, tagliando in più punti la carrareccia che con i lunghi tornanti scende in basso. Il meteo è clemente con noi, malgrado il cielo sia chiuso dalle nubi non piove, nemmeno una goccia, e questo ci permette di raggiungere con serenità gli stavoli di Cuesta di Sotto, dove abbiamo lasciato l’auto. E ‘stata una lunga escursione, potevamo farla più breve, ma non saremmo stati noi. È stato un viaggio poetico, abbiamo incontrato gente eterogenea e una svariata fioritura. Felicemente abbiamo solcato le creste come i viandanti fuggiaschi che si nascondono nelle oscurità. È stato tutto meraviglioso, un viaggio nel cuore di una montagna da fiaba, simile a quella che ammiravamo stupiti nei cartoni animati o nei film. E’ stato un meraviglioso sogno che abbiamo percorso con le nostre gambe.

Il Forestiero Nomade.

Malfa