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lunedì 10 luglio 2017

Monte Canin dalla Val Resia.

 
Monte Canin dalla val Resia.

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi giulie Occidentali- Gruppo del Canin.

Avvicinamento: Gemona- Statale Pontebbana-Resiutta-Val Resia-Stovizza-Coritis-Indicazioni per la Casera Coot-Parcheggio pochi prima del divieto di transito (Quota 1090 m).

Dislivello: 1600 m.

 Dislivello complessivo: 1700 m.

Distanza percorsa in Km: 18 km.

Quota minima partenza: 1090 m.

Quota massima raggiunta: 2587 m.

Tempi di percorrenza. 8 ore escluse le soste.

 In: Coppia.

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif E.E. A  I° Grado. F :  Escursionisti Esperti, con ottimo allenamento.

Segnavia:  CAI 642-Bolli rossi, ometti e sbiaditi segni dell’Alta Via Resiana.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: Si.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 027- Mappa IGM calibrata del Friuli.

Periodo consigliato: Luglio-Settembre

Condizioni del sentiero: Segnato, ma poco marcato.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Data: 06 luglio 2017.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

Il sette novembre 1877, Giovanni Marinelli, Antonio Siega, Federico Cantarutti e le sorelle Anita, Minetta e Angelina Grassi (Carniche di Tolmezzo) raggiungevano il Canin partendo dalla casera Berdo (Val resia). A leggere le storiche pagine dei primi pionieri dell’alpinismo in Friuli, mi sono emozionato, ed è stato naturale pensare ad un’escursione che ripercorresse le loro orme, piuttosto che fare il solito itinerario affollato e dotato di tutti i confort del progresso. Dal versante resiano salgono in pochi, sia per la lunghezza del percorso e sia per le difficoltà tecniche dovute al difficile orientamento e il notevole dislivello, insomma un’escursione per gli amanti del stakanovismo. Il mio primo tentativo lo effettuai il diciotto agosto del 2012, mi fermai impaurito davanti a una piccola cresta che collega le pendici occidentali del monte con il corpo principale del Canin. Ricordo, che quel dì partii da solo, e incontrai un resiano lungo il sentiero che andava in cima. Il vallegiano era esperto, perché da fanciullo aveva fatto il pastore nella zona. Ero, come si suol dire “in una botte di ferro,” avevo trovato pure la guida, ma la paura mi fermò; i soliti misteri della montagna, che quando non ti vuole ti incute paura. Dopo cinque anni, il desiderio non è svanito, nemmeno quando  ho raggiunto la vetta per ferrata (Julia). La settimana scorsa, guardando all’orizzonte, l’inconfondibile mole del Canin, sono andato indietro nei ricordi, risvegliando il desiderio di raggiungere la vetta dalla val Resia. Diversamente dalle mie abitudini, rinunciando all’egoistico istinto solitario, cerco un valido compagno di viaggio per questa bella avventura. Digitando sulla tastiera del computer invito l’amico Roberto, la risposta è immediata, positiva e carica di entusiasmo. L’appuntamento è prefissato al “Fungo” presso Gemona, luogo abituale per gli appuntamenti tra gli escursionisti. Al sorgere del sole, raggiungo il luogo prefissato dell’appuntamento, è la prima volta che incontro Roberto nel mondo reale. Ci salutiamo con un sorriso a 64 denti accompagnato da un forte e caloroso abbraccio, intenso come due vecchi commilitoni. Si va con la mia auto, Roberto trasborda il suo materiale, e si parte. Lungo la strada che ci separa dalla Val Resia, dialoghiamo, recuperando il tempo perduto, così arriviamo alla malga Coot carichi di entusiasmo. Zaino in spalle, e sogni al seguito, partiamo. Da subito notiamo che abbiamo lo stesso passo, ci fermiamo spesso ad ammirare la valle, le bellezze del luogo, intuisco che l’escursione sarà dionisiaca. Dopo la malga Coot seguiamo il sentiero CAI 642 che ci porta con leggera pendenza alla Casera Canin. Roberto mi precede, ne approfitto per dare profondità alle foto, la giornata è splendida, respiriamo aria di libertà. Il compagno di viaggio conosce bene la vegetazione, mi fa notare le ginestre in fiore, e il suo sguardo è rapito. Per sentiero ben marcato raggiungiamo la casera “Berdo di Sopra”, e proseguendo a settentrione costeggiamo il ripido pendio boscoso di Lasca di Plagna fino ad attraversare il secco impluvio del Rio Toudule, e con moderata salita raggiungiamo la casera Canin (ore 1 dalla partenza). Dal vecchio manufatto ammiriamo il paesaggio, il cielo terso promette un giorno da sogni, siamo euforici. La casera è disabitata, non entriamo dentro, lo faremo al ritorno, ci prepariamo per il tratto più impegnativo dell’escursione, ovvero il costone erboso di circa 600 metri di dislivello, ripidissimo e senza traccia, solo sparuti bolli da trovare, tra l’erba alta. Roberto è incredulo che proprio da sopra la casera inizi la nostra ascensione, ma dopo un paio di bolli se ne convince, e di seguito tira fuori le ali. Lo osservo divertito e ammirato. Roberto è un uomo che ha superato i sessanta anni, di media statura, magro, brizzolato, barbetta bianca e due occhi vispi color castano. Indossa una camicia a scacchi con gradazioni di grigio e bianco, porta uno zaino color giallo, ed è munito di un bastoncino telescopico. Si muove come uno scoiattolo sulle balze erbose, a scatti, e spesso si ferma come una marmotta ad osservare la situazione, il prosieguo e il cielo. È innamorato della montagna, lo si intuisce da come sorride, come se fosse in compagnia della fidanzata, che tratta con garbo. Il pendio è ripido e lungo, e il tempo sembra non passare, il nostro sguardo è proteso all’insù, a sperare di scorgere forme rocciose, mentre nuotiamo in salita in questo mare d’erba. La visione di alcune stelle alpine allevia la fatica, finché raggiungiamo il punto “clou”, ovvero quella cengia che cinque anni fa mi fermò (3 ore e 18 minuti dalla partenza, quota 2135 m.). Ne avevo parlato con Roberto, anche il Mazzilis la descrive come “esposta ed esile crestina”, sono emozionato, spero di superarla, ad un tratto essa mi appare, e rimango sbalordito. Esclamo:<<Ma va ffa …o!>> Quella che io temevo come crestina si rivela quasi un terrazzino, mi rendo conto di quanta esperienza ho fatto in cinque anni, ci scherzo su. Roberto ride, gli avevo messo apprensione. <<Sicuramente qualcuno sarà passato a spianarla!>> Esclamo! Rido, l’esperienza ti rimpicciolisce gli ostacoli e le paure. Al centro della cresta è posta una bella croce in metallo, e un contenitore di libro di via senza libro; se qualcuno volesse fare questo giro, sia misericordioso e ne porti uno. Ora comincia il bello dell’escursione, finito il pendio erboso inizia la sacra roccia, meravigliosa, da toccare e camminarci su. I raggi di sole filtrano illuminando i nostri volti, dopo alcune rampe rocciose e brevi passaggi su roccette, arriviamo alla base di un canalino, che bello! È un piacere risalirlo, esso ci porta al terrazzo d’erba da dove possiamo ammira le dirupate pareti della cresta occidentale del Canin, la visione è spettacolare, aumenta l’adrenalina dovuta alla grande emozione che stiamo vivendo. Pinnacoli e gradini rocciosi ci attendono, guidati da provvidenziali omini. Siamo sempre più vicini alla cresta, lo scoiattolo Roberto è quasi impaziente, lo vedo camminare lesto, più avanti a me, e sorrido, è immensamente emozionante vedere le proprie emozioni riflesse sugli altri. Finalmente raggiungiamo la cresta, che prende il nome di “Pod Kaninom” (2429 m. di quota, ore 4 dalla partenza) da essa ammiriamo lo stupefacente mondo lunare del versante orientale del Canin; e alla nostra destra la bellissima mole del monte Lasca Plagna. Sembra impossibile che l’Alta Via Resiana attraversi le strapiombanti pareti delle cime. La cresta a sinistra porta al Canin Basso. Effettuando una breve sosta, decido di lasciare lo zaino in sella e procedere con la mini sacca e lo stretto necessario. Percorriamo la bellissima cresta a settentrione alternandoci come scout, la dorsale è stracolma di fiorellini, la giornata si sta rivelando sempre più strabiliante, ci rendiamo conto di vivere in un sogno. Verso la parte superiore della cresta superiamo un breve salto con un passaggio di primo grado (Roberto lascia una fettuccia bicolore sotto un sasso), lasciandoci guidare dagli sbiaditi triangoli dell’Alta Via Resiana. Poco sotto la cima del Canin Basso, la cresta si fa impervia, noi seguendo i segni, dapprima l’aggiriamo spostandoci sul versante occidentale e risaliamo le bancate rocciose al margine di un tratto ghiaioso, stando attenti a non scivolare. Riconquistata la cresta per roccette sull’esposto passaggio, raggiungiamo la vetta del Canin Basso (2573 m. ore 4:50 dalla partenza), grande emozione! Al vertice troviamo lo scheletro in metallo di quella che fu una croce, e da essa finalmente avvistiamo la meta, la cima del Canin Alto. La prima istintiva espressione è:<<Come c…o saliamo lassù?>>, lo scopriremo camminando, e quindi si prosegue. Appena scendiamo dalla cima il percorso diventa evidente, percorriamo una simpatica crestina, fino a scendere a un intaglio, e da esso risaliamo, con cautela, sul versante occidentale del monte. Io inforco una rampa che mi porta fuori sentiero, Roberto si rende immediatamente conto dell’errore (i radi segni portano su) e mi guida a risalire tra le rocce sulla crestina, da qui proseguiamo per placche inclinate fino alla meta. Ci fermiamo per un istante prima di lanciarci come kamikaze sulla meta. La vetta la raggiungiamo con un sorriso luminoso e un passo baldanzoso (2587 m., ore 5 dalla partenza). La cima è affollata come una spiaggia, tale che Roberto si sente in imbarazzo per non aver portato al seguito il costume da bagno. Sono tutti sloveni e qualche rado austriaco. Intorno alla croce, cioè a quello che ne rimane, c’è un capannello di escursionisti, abbarbicati come se fossero su una scialuppa di salvataggio. Peccato, tanta fatica per ritrovarsi in mezzo alla folla. Dal confine sloveno vediamo salire ondate di escursionisti, evidentemente la funivia è attiva, ci consoliamo ammirando le bellezze naturali, e soprattutto per una volta dalla cima del Canin guardiamo la pianura. Sostiamo una mezzoretta, mi accorgo, dopo aver firmato il registro di vetta, che tra lo stretto necessario ho dimenticato di portare il necessario, cioè l’acqua, imperdonabile, quindi mi limito nel mangiare il panino per non aumentare la sete. Roberto è pronto a sacrificare la sua di pozione, lo ringrazio, tutto questo mi servirà da lezione. Dopo la meritata pausa, riprendiamo la via del ritorno, sbalorditamene più facile dell’andata. Una coppia di giovani ci segue a distanza, ci preoccupiamo, gli chiediamo di stare attenti, e li avvertiamo che la nostra via porta in Val Resia. Sono austriaci, lei parla un po’ di italiano, ci spiegano, che vogliono raggiungere il Canin Basso per allontanarsi dal Canin Beach. Ottengono il nostro plauso e tutta la nostra comprensione, gli lasciamo la cima bassa del Canin, mentre noi proseguiamo per il ritorno. In breve raggiungiamo la sella del Pod Kaninom, recupero lo zaino e mi disseto. Un ultimo sguardo a questo paradiso perduto, e via in picchiata per la Val Resia. Il primo tratto nella roccia è divertente, nel canalino ci rinfreschiamo accarezzando le pareti, ma una volta raggiunta l’ex crestina da brivido, comincia la nostra “via crucis”. Due ore di stress nell’assolato pomeriggio di luglio, filo d’erba dopo filo d’erba, raggiungiamo la casera Canin, i nostri piedi ci chiedono pietà, ma devono soffrire come tutto il resto del corpo. Mentre Roberto si avvia a ispezionare i locali del vecchio edificio, io mi apparto nel retro del locale per espletare un piccolo problema fisiologico, e da lì, come un’oasi nel deserto, noto un lavandino con annesso rubinetto. Mi accerto subito che non sia una visione, apro il rubinetto ed esce un liquido trasparente e fresco che i comuni mortali chiamano acqua. Richiudo il marchingegno, mi spoglio dello zaino e della bandana e riapro il rubinetto, rinfrescandomi, che libidine! Finita l’operazione mi presento da Roberto, con un aspetto fresco e rilassato. Notando il mio sorrisetto e la chioma bagnata, l’amico mi chiede dove avessi trovato tale fonte. Lo indirizzo verso l’oasi, mentre stavolta procedo io ad ispezionare i locali, e mi do una sistemata. Roberto, ringalluzzito dalla fonte, entra nel locale, apporta la firma sul libro dei visitatori, notando che non tutti quelli che passano dalla casera sono rispettosi dei materiali in essa contenuti. Ripresoci nell’aspetto e riacquistate le sembianze umane, ci apprestiamo ad affrontare l’ultimo tratto di sentiero, fino all’agognata bevuta nella Malga Coot. In meno di quaranta minuti la raggiungiamo, trovando il personale di servizio pronto a deliziarci. Entrati dentro il locale ci concediamo la meritata sosta, dialogando con il gestore. Dopo una mezzoretta, riprendiamo il cammino verso l’auto, sempre deliziati dal sole, che oggi ci ha regalato un cielo totalmente sgombro da nuvole. Il rientro alla pianura è dolce, vista la stanchezza, si va giù piano. Raggiunto il punto di incontro presso il Fungo di Gemona, io e l’amico Roberto ci accomiatiamo, con un forte abbraccio. Oggi è stato un grande giorno, ho conquistato una grande cima, e soprattutto ho incontrato una gran bella persona.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 








































































































1 commento:

  1. Ciao, grazie per l'accurata guida che hai scritto. Stavo cercando un percorso proprio come questo per arrivare sul Canin senza dover fare ferrate. Ottimo resoconto, molto ben dettagliato anche con le fotografie. Mi auguro che dopo un anno abbiano un po' rimarcato i segnali altrimenti davvero sbiaditi. Ciao.

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