Monte Canin
dalla val Resia.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi giulie Occidentali- Gruppo del Canin.
Avvicinamento:
Gemona- Statale Pontebbana-Resiutta-Val Resia-Stovizza-Coritis-Indicazioni per
la Casera Coot-Parcheggio pochi prima del divieto di transito (Quota 1090 m).
Dislivello:
1600 m.
Dislivello complessivo: 1700 m.
Distanza
percorsa in Km: 18 km.
Quota minima
partenza: 1090 m.
Quota
massima raggiunta: 2587 m.
Tempi di
percorrenza. 8 ore escluse le soste.
In: Coppia.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: E.E. A I° Grado. F
: Escursionisti Esperti, con ottimo
allenamento.
Segnavia: CAI 642-Bolli rossi, ometti e sbiaditi segni
dell’Alta Via Resiana.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Si.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 027- Mappa IGM calibrata del Friuli.
Periodo
consigliato: Luglio-Settembre
Condizioni
del sentiero: Segnato, ma poco marcato.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Data: 06
luglio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Il sette novembre
1877, Giovanni Marinelli, Antonio Siega, Federico Cantarutti e le sorelle Anita,
Minetta e Angelina Grassi (Carniche di Tolmezzo) raggiungevano il Canin
partendo dalla casera Berdo (Val resia). A leggere le storiche pagine dei primi
pionieri dell’alpinismo in Friuli, mi sono emozionato, ed è stato naturale
pensare ad un’escursione che ripercorresse le loro orme, piuttosto che fare il
solito itinerario affollato e dotato di tutti i confort del progresso. Dal
versante resiano salgono in pochi, sia per la lunghezza del percorso e sia per
le difficoltà tecniche dovute al difficile orientamento e il notevole
dislivello, insomma un’escursione per gli amanti del stakanovismo. Il mio primo
tentativo lo effettuai il diciotto agosto del 2012, mi fermai impaurito davanti
a una piccola cresta che collega le pendici occidentali del monte con il corpo
principale del Canin. Ricordo, che quel dì partii da solo, e incontrai un
resiano lungo il sentiero che andava in cima. Il vallegiano era esperto, perché
da fanciullo aveva fatto il pastore nella zona. Ero, come si suol dire “in una
botte di ferro,” avevo trovato pure la guida, ma la paura mi fermò; i soliti
misteri della montagna, che quando non ti vuole ti incute paura. Dopo cinque
anni, il desiderio non è svanito, nemmeno quando ho raggiunto la vetta per ferrata (Julia). La
settimana scorsa, guardando all’orizzonte, l’inconfondibile mole del Canin, sono
andato indietro nei ricordi, risvegliando il desiderio di raggiungere la vetta
dalla val Resia. Diversamente dalle mie abitudini, rinunciando all’egoistico
istinto solitario, cerco un valido compagno di viaggio per questa bella
avventura. Digitando sulla tastiera del computer invito l’amico Roberto, la
risposta è immediata, positiva e carica di entusiasmo. L’appuntamento è
prefissato al “Fungo” presso Gemona, luogo abituale per gli appuntamenti tra gli
escursionisti. Al sorgere del sole, raggiungo il luogo prefissato dell’appuntamento,
è la prima volta che incontro Roberto nel mondo reale. Ci salutiamo con un sorriso
a 64 denti accompagnato da un forte e caloroso abbraccio, intenso come due
vecchi commilitoni. Si va con la mia auto, Roberto trasborda il suo materiale,
e si parte. Lungo la strada che ci separa dalla Val Resia, dialoghiamo,
recuperando il tempo perduto, così arriviamo alla malga Coot carichi di
entusiasmo. Zaino in spalle, e sogni al seguito, partiamo. Da subito notiamo
che abbiamo lo stesso passo, ci fermiamo spesso ad ammirare la valle, le
bellezze del luogo, intuisco che l’escursione sarà dionisiaca. Dopo la malga
Coot seguiamo il sentiero CAI 642 che ci porta con leggera pendenza alla Casera
Canin. Roberto mi precede, ne approfitto per dare profondità alle foto, la
giornata è splendida, respiriamo aria di libertà. Il compagno di viaggio conosce
bene la vegetazione, mi fa notare le ginestre in fiore, e il suo sguardo è
rapito. Per sentiero ben marcato raggiungiamo la casera “Berdo di Sopra”, e
proseguendo a settentrione costeggiamo il ripido pendio boscoso di Lasca di Plagna
fino ad attraversare il secco impluvio del Rio Toudule, e con moderata salita
raggiungiamo la casera Canin (ore 1 dalla partenza). Dal vecchio manufatto
ammiriamo il paesaggio, il cielo terso promette un giorno da sogni, siamo
euforici. La casera è disabitata, non entriamo dentro, lo faremo al ritorno, ci
prepariamo per il tratto più impegnativo dell’escursione, ovvero il costone
erboso di circa 600 metri di dislivello, ripidissimo e senza traccia, solo
sparuti bolli da trovare, tra l’erba alta. Roberto è incredulo che proprio da
sopra la casera inizi la nostra ascensione, ma dopo un paio di bolli se ne
convince, e di seguito tira fuori le ali. Lo osservo divertito e ammirato.
Roberto è un uomo che ha superato i sessanta anni, di media statura, magro, brizzolato,
barbetta bianca e due occhi vispi color castano. Indossa una camicia a scacchi
con gradazioni di grigio e bianco, porta uno zaino color giallo, ed è munito di
un bastoncino telescopico. Si muove come uno scoiattolo sulle balze erbose, a
scatti, e spesso si ferma come una marmotta ad osservare la situazione, il
prosieguo e il cielo. È innamorato della montagna, lo si intuisce da come
sorride, come se fosse in compagnia della fidanzata, che tratta con garbo. Il
pendio è ripido e lungo, e il tempo sembra non passare, il nostro sguardo è
proteso all’insù, a sperare di scorgere forme rocciose, mentre nuotiamo in
salita in questo mare d’erba. La visione di alcune stelle alpine allevia la
fatica, finché raggiungiamo il punto “clou”, ovvero quella cengia che cinque
anni fa mi fermò (3 ore e 18 minuti dalla partenza, quota 2135 m.). Ne avevo
parlato con Roberto, anche il Mazzilis la descrive come “esposta ed esile
crestina”, sono emozionato, spero di superarla, ad un tratto essa mi appare, e
rimango sbalordito. Esclamo:<<Ma va ffa …o!>> Quella che io temevo
come crestina si rivela quasi un terrazzino, mi rendo conto di quanta
esperienza ho fatto in cinque anni, ci scherzo su. Roberto ride, gli avevo
messo apprensione. <<Sicuramente qualcuno sarà passato a spianarla!>>
Esclamo! Rido, l’esperienza ti rimpicciolisce gli ostacoli e le paure. Al
centro della cresta è posta una bella croce in metallo, e un contenitore di
libro di via senza libro; se qualcuno volesse fare questo giro, sia
misericordioso e ne porti uno. Ora comincia il bello dell’escursione, finito il
pendio erboso inizia la sacra roccia, meravigliosa, da toccare e camminarci su.
I raggi di sole filtrano illuminando i nostri volti, dopo alcune rampe rocciose
e brevi passaggi su roccette, arriviamo alla base di un canalino, che bello! È
un piacere risalirlo, esso ci porta al terrazzo d’erba da dove possiamo ammira le
dirupate pareti della cresta occidentale del Canin, la visione è spettacolare,
aumenta l’adrenalina dovuta alla grande emozione che stiamo vivendo. Pinnacoli e
gradini rocciosi ci attendono, guidati da provvidenziali omini. Siamo sempre
più vicini alla cresta, lo scoiattolo Roberto è quasi impaziente, lo vedo
camminare lesto, più avanti a me, e sorrido, è immensamente emozionante vedere
le proprie emozioni riflesse sugli altri. Finalmente raggiungiamo la cresta, che
prende il nome di “Pod Kaninom” (2429 m. di quota, ore 4 dalla partenza) da
essa ammiriamo lo stupefacente mondo lunare del versante orientale del Canin; e
alla nostra destra la bellissima mole del monte Lasca Plagna. Sembra
impossibile che l’Alta Via Resiana attraversi le strapiombanti pareti delle
cime. La cresta a sinistra porta al Canin Basso. Effettuando una breve sosta,
decido di lasciare lo zaino in sella e procedere con la mini sacca e lo stretto
necessario. Percorriamo la bellissima cresta a settentrione alternandoci come
scout, la dorsale è stracolma di fiorellini, la giornata si sta rivelando
sempre più strabiliante, ci rendiamo conto di vivere in un sogno. Verso la
parte superiore della cresta superiamo un breve salto con un passaggio di primo
grado (Roberto lascia una fettuccia bicolore sotto un sasso), lasciandoci
guidare dagli sbiaditi triangoli dell’Alta Via Resiana. Poco sotto la cima del
Canin Basso, la cresta si fa impervia, noi seguendo i segni, dapprima
l’aggiriamo spostandoci sul versante occidentale e risaliamo le bancate
rocciose al margine di un tratto ghiaioso, stando attenti a non scivolare. Riconquistata
la cresta per roccette sull’esposto passaggio, raggiungiamo la vetta del Canin
Basso (2573 m. ore 4:50 dalla partenza), grande emozione! Al vertice troviamo
lo scheletro in metallo di quella che fu una croce, e da essa finalmente
avvistiamo la meta, la cima del Canin Alto. La prima istintiva espressione
è:<<Come c…o saliamo lassù?>>, lo scopriremo camminando, e quindi
si prosegue. Appena scendiamo dalla cima il percorso diventa evidente,
percorriamo una simpatica crestina, fino a scendere a un intaglio, e da esso risaliamo,
con cautela, sul versante occidentale del monte. Io inforco una rampa che mi
porta fuori sentiero, Roberto si rende immediatamente conto dell’errore (i radi
segni portano su) e mi guida a risalire tra le rocce sulla crestina, da qui
proseguiamo per placche inclinate fino alla meta. Ci fermiamo per un istante
prima di lanciarci come kamikaze sulla meta. La vetta la raggiungiamo con un
sorriso luminoso e un passo baldanzoso (2587 m., ore 5 dalla partenza). La cima
è affollata come una spiaggia, tale che Roberto si sente in imbarazzo per non
aver portato al seguito il costume da bagno. Sono tutti sloveni e qualche rado
austriaco. Intorno alla croce, cioè a quello che ne rimane, c’è un capannello
di escursionisti, abbarbicati come se fossero su una scialuppa di salvataggio.
Peccato, tanta fatica per ritrovarsi in mezzo alla folla. Dal confine sloveno
vediamo salire ondate di escursionisti, evidentemente la funivia è attiva, ci
consoliamo ammirando le bellezze naturali, e soprattutto per una volta dalla
cima del Canin guardiamo la pianura. Sostiamo una mezzoretta, mi accorgo, dopo
aver firmato il registro di vetta, che tra lo stretto necessario ho dimenticato
di portare il necessario, cioè l’acqua, imperdonabile, quindi mi limito nel
mangiare il panino per non aumentare la sete. Roberto è pronto a sacrificare la
sua di pozione, lo ringrazio, tutto questo mi servirà da lezione. Dopo la
meritata pausa, riprendiamo la via del ritorno, sbalorditamene più facile dell’andata.
Una coppia di giovani ci segue a distanza, ci preoccupiamo, gli chiediamo di
stare attenti, e li avvertiamo che la nostra via porta in Val Resia. Sono
austriaci, lei parla un po’ di italiano, ci spiegano, che vogliono raggiungere
il Canin Basso per allontanarsi dal Canin Beach. Ottengono il nostro plauso e
tutta la nostra comprensione, gli lasciamo la cima bassa del Canin, mentre noi proseguiamo
per il ritorno. In breve raggiungiamo la sella del Pod Kaninom, recupero lo
zaino e mi disseto. Un ultimo sguardo a questo paradiso perduto, e via in
picchiata per la Val Resia. Il primo tratto nella roccia è divertente, nel
canalino ci rinfreschiamo accarezzando le pareti, ma una volta raggiunta l’ex
crestina da brivido, comincia la nostra “via crucis”. Due ore di stress
nell’assolato pomeriggio di luglio, filo d’erba dopo filo d’erba, raggiungiamo
la casera Canin, i nostri piedi ci chiedono pietà, ma devono soffrire come
tutto il resto del corpo. Mentre Roberto si avvia a ispezionare i locali del
vecchio edificio, io mi apparto nel retro del locale per espletare un piccolo
problema fisiologico, e da lì, come un’oasi nel deserto, noto un lavandino con
annesso rubinetto. Mi accerto subito che non sia una visione, apro il rubinetto
ed esce un liquido trasparente e fresco che i comuni mortali chiamano acqua.
Richiudo il marchingegno, mi spoglio dello zaino e della bandana e riapro il
rubinetto, rinfrescandomi, che libidine! Finita l’operazione mi presento da
Roberto, con un aspetto fresco e rilassato. Notando il mio sorrisetto e la
chioma bagnata, l’amico mi chiede dove avessi trovato tale fonte. Lo indirizzo
verso l’oasi, mentre stavolta procedo io ad ispezionare i locali, e mi do una
sistemata. Roberto, ringalluzzito dalla fonte, entra nel locale, apporta la
firma sul libro dei visitatori, notando che non tutti quelli che passano dalla
casera sono rispettosi dei materiali in essa contenuti. Ripresoci nell’aspetto
e riacquistate le sembianze umane, ci apprestiamo ad affrontare l’ultimo tratto
di sentiero, fino all’agognata bevuta nella Malga Coot. In meno di quaranta
minuti la raggiungiamo, trovando il personale di servizio pronto a deliziarci.
Entrati dentro il locale ci concediamo la meritata sosta, dialogando con il gestore.
Dopo una mezzoretta, riprendiamo il cammino verso l’auto, sempre deliziati dal
sole, che oggi ci ha regalato un cielo totalmente sgombro da nuvole. Il rientro
alla pianura è dolce, vista la stanchezza, si va giù piano. Raggiunto il punto
di incontro presso il Fungo di Gemona, io e l’amico Roberto ci accomiatiamo,
con un forte abbraccio. Oggi è stato un grande giorno, ho conquistato una
grande cima, e soprattutto ho incontrato una gran bella persona.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Ciao, grazie per l'accurata guida che hai scritto. Stavo cercando un percorso proprio come questo per arrivare sul Canin senza dover fare ferrate. Ottimo resoconto, molto ben dettagliato anche con le fotografie. Mi auguro che dopo un anno abbiano un po' rimarcato i segnali altrimenti davvero sbiaditi. Ciao.
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