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venerdì 30 dicembre 2022

Monte Dauda e il magico anello


Monte Dauda e il magico anello 

Le note di “Hotel California” degli Eagles, dolcemente escono risuonano all’interno dell’auto mentre percorro le prime curve tra i colli di Pinzano. Il sole nascente mi illumina il volto, abbasso il paraluce sognando una nuova avventura. Inebriato dalla musica non riesco a non amare i verdi prati di Flagogna e le abitazioni del borgo di Cornino, che meravigliosa visione mi dona il sole nascente. Mentre tinge di rosso le catene montuose friulane. Guido vegliato dai mille ricordi, Magritte dorme, manca ancora mezz’ora di strada prima dell’arrivo; non ho prescia, mi godo questo bellissimo inizio di vita, cercando di presagire da che quota incontrerò la prima neve.

Oggi l’oggetto del desiderio sarà il monte Dauda, non è un monte difficile da ricordare, ma la nevicata quest’anno lo ha reso quasi inespugnabile. Nella valle di Tolmezzo mi aspetta per il “ bundì” l’Amariana”,  la gran signora è sempre più bella, e la cima imbiancata le dona una superba regalità.  In lontananza scorgo il monte Tersadia che erroneamente a primo acchito scambio per il monte  Dauda,  ma le linee bianche delle mulattiere mi apparivano diverse da quelle del Dauda, dopo una attenta e acuta riflessione ho esclamo: <<. Zio… è il Tersadia.>>

 Giungo nei pressi di Zuglio, ma dove la meta mi dà il benvenuto, porgendomi  chiaramente un cordiale invito che educatamente non rifiuto. Dopo una serie di tornanti, giungo al centro del piccolo paese di Fielis, altra incantevole visione. Gli alberi già  in fiore, il campanile del borgo che svetta nell’azzurro,  è la primavera che canta, e io me ne sto lì, proprio al centro del crocevia, imbambolato come una statua.

Indossare gli scarponi è quasi un sacrilegio, il gesto interrompe la poesia del momento, ma devo se non voglio imitare i fachiri.  Indossa l’armatura,  ultimi controlli al materiale, parto! Magritte è già avanti, conosce bene la direzione, mi legge il pensiero e mi sa che mi spia anche le mappe; I suoi silenzi sono saggi e misteriosi,  sicuramente un giorno acquisterà il dono della parola e mi renderà edotto! Sono sicuro che quel dì oltre a chiamarmi  per nome, mi svelerà la sua  erudizione sulla fisica di Albert Einstein e che per rispetto della mia presunzione lo ha sempre taciuto per non umiliarmi.

I primi metri dell’escursione sono accompagnati da un “Mandi” scambiato con una simpatica signora, un sorriso reciproco  e via verso la selva. La strada è sempre la stessa di qualche settimana prima: una lunga carrareccia che risale il pendio boschivo (faggi) con una serie di tornanti che mi conduce dolcemente nella valletta dominata dalla malga di Dauda. Stavolta la neve è assente e il laghetto riflette il monte alle mie spalle, gioco  a immortalare con la macchina fotografica gli stupendi dipinti, la primavera è la divina tra le muse ispiratrici.

Il mio camminare è uno scoprire cosa celava sotto la neve, il sentierino porta alla malga, che ha perso la veste invernale. Mi guardo intorno e contemplo: il Sernio dorme ancora e non voglio destarlo. mi avvio silente per il versante settentrionale. La neve mi appare all’improvviso come se fossi tornato indietro nel tempo, è tanto compatta e poco profonda. Seguo la lunga scia mantenendomi sul  bordo destro, dove il passo è più sicuro.

Dopo pochi minuti dimentico il bianco che mi avvolge, il cielo azzurro rende tutto più gradevole, alla mia destra scorgo in lontananza le cime più altere della Carnia, e dalle loro forme gioco a indovinarne i nomi. Non sono solo, non mi riferisco a Magritte, che è due passi avanti, ma a lei , Artemide. Mano nella mano,  passeggio assieme alla dea, e nel vento mi par di sentire amore, mentre con ardente passione  le venero i piedi ignudi e di color latte che incedono delicatamente, come se ella fosse la prima ballerina di questo magnifico balletto in cui anch’io sono coinvolto.     La carrareccia aggira il lato settentrionale del monte e in vicinanza dominano la scena le cime del monte Arvenis e del Tamai. Il lato occidentale del sentiero è sempre coperto da neve, ma più compatta. Cammino con attenzione sul bordo di una linea immaginaria, non lasciandomi distrarre dalla bellezza del paesaggio. La carrareccia con andamento circolare si collega con la forcella di Meleit, non ho e non devo avere fretta a raggiungerla, dal basso riesco a scorgere la croce della cima del Dauda. Tutto pare così vicino, ma è solo un’illusione ottica oppure un semplice desiderio. Raggiunta la forcella, un altro ventaglio di emozioni mi cattura lo spirito. Il paesaggio è seducente, tutto molto bello, la neve tinge di bianco un paesaggio incantevole, la voglia è di esplorare è intensa e mira a tutte le direzioni. Noto un albero con un segno giallo, deve essere la traccia da seguire, intuisco che la carreggiata prosegue in direzione sud-est, guadagnando quota con dolcezza. Sfioro i ruderi di “Malga Chiass Alta”, e sul vecchio abbeveratoio una freccia gialla mi invita a proseguire in quella direzione. Supero un laghetto, malgrado il sole ancora gelato, e sempre  peri il bianco sentiero e di seguito tra i mughi raggiungo la mulattiera che sale da sud.

Nella neve leggo delle impronte di scarponi, per la cima la direzione è a destra risalendo la dolce cresta tra rocce e balze erbose. Il paradiso  odierno non è lontano, sento l’emozione degli ultimi passi, è  ogni volta è sempre la medesima trepidazione e con la stessa intensità. Il cielo azzurro è sempre più ampio, metro dopo metro, filo d’erba dopo filo d’erba, eccomi, sono in  vetta, un cumulo di sassi testimone del passaggio del viandante. E la croce? Vado più avanti, si lei è più in basso, un delicato nevaio la separa dalla quota più alta. Sgancio lo zaino dal corpo e lo depongo presso l’ometto di sassi, oggi si banchetta in vetta, così leggero mi avvio verso la croce.

Annessa alla croce trovo una cassettina metallica con un libretto di vetta colmo di firme, apporto  anche la mia su un fogliettino volante, e di seguito  ripongo il materiale per dedicarmi alla contemplazione del paesaggio. Sicuramente la croce è stata posta più in basso per avere più visibilità dalla pianura. Dopo aver effettuato alcune foto, ritorno sui miei passi, riguadagnando la cima principale. Da tempo sognavo di banchettare in cima e potermi di seguito lasciarmi baciare dal sole. Oggi tutto questo sarà possibile, mi inebrio, lasciandomi cullare dalle emozioni. Magritte, come è suo solito agire,  dopo aver pranzato dorme, lui sì che ha compreso la montagna il senso della vita, e come scriveva il grande “Kugy” : << Per conoscere la montagna bisogna dormirci sopra”. >> Effettuo altre foto, e dopo aver consumato lo spuntino raggiungo il mio compagno da Morfeo. Sono attimi che vorrei che durassero un’eternità, poggiando la testa sullo zaino osservo le creste in lontananza, il silenzio è la mia musica e mentre il sole mi scalda vengo rapito dal tepore viaggiando in un’altra dimensione. La mia giacca, umida di sudore, si asciuga, stesa dal sottoscritto sui bastoncini telescopici. Dopo un po’ e non ho quantificato il ” po’” come tempo,  mi desto, preparandomi per la discesa e il rientro. Durante le operazioni scorgo tra i sassi un sacchetto con immondizie andate a male, l’ho con cura e mentre lo aggancio con un moschettone allo zaino, sarcasticamente penso quanto distratti devono essere  stati questi escursionisti. Lo porterò a valle e lo conserverò in un contenitore di rifiuti,   nel caso che gli sbadati tornassero indietro a riprenderlo.

Il rientro è lieve, scendendo dalla cresta proseguo in direzione sud lungo la mulattiera che sfiora dei surreali cocuzzoli, vien voglia di salirci sopra per giocare. Le prime fioriture bucano la neve, è una lotta tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che si rivela alla vita, in fondo questo è il senso della vita.

La remota mulattiera, sicuramente di guerra, mi conduce per versante il  meridionale color ocra, alcuni sparuti aceri fanno da sentinelle, indicando ai viandanti qual è via. Un’asta con un segno giallo mi invita ad abbandonare la mulattiera e intraprendere la scoscesa traccia per una cresta ripida e inerbita,  procedo piano, la prudenza non è mai troppa.

La dolcezza e i colori primaverili rendono il ritorno al borgo serafico. Poco prima di un cocuzzolo il sentiero vira bruscamente a oriente, risalendo di quota a settentrione, la traccia e sempre ben battuta e segnata. Rientro nel bosco di faggi, superando gli sparuti nevai, fino raggiungere la malga Dauda, così chiudo l’anello. Mi fermo un attimo, breve riflessione mentre con lo sguardo  mirò lassù, alla cima e alla croce. Poco prima della frazione di Fielis incontro un’amica con il suo fidanzato, breve  e intenso di scambio di pensieri e informazioni che volano lassù nella volta assieme ai ricordi. Raggiunta l’auto, mi preparo per il  rientro nel “mondo civile”. Metto in moto l’auto,  mi avvio lungo la strada, e mentre transito per i tornanti  accendo l’autoradio, un attimo di silenzio, mentre  Glenn Frey, il menestrello degli  Eagles intona” Hotel California. Domani sarà un altro sogno e un’altra esperienza da raccontare…

Malfa.

 














































 

domenica 25 dicembre 2022

Monte Palis, la scoperta del colle perduto.

Monte Palis,

la scoperta del colle perduto.

 

La ricerca interiore mi pone delle domande a cui voglio rispondere viaggiando in solitudine, per tale missione mi aggiro con amore in una terra che da anni che la sento mia, nonostante il sottoscritto sia nativo di un’isola lontana.

La natura del luogo non mi ha mai fatto sentire forestiero,  la montagna friulana, come quella veneta, sicula, afghana, marchigiana, sarda, di altri paesi e regioni mi ha sempre accolto con amore, sicuramente stranieri e viandanti lo siamo tutti, anche se vestiamo abiti ricamati con i preconcetti e dipinti dall’ignoranza.

Se vagassimo nudi, con la curiosità e l’innocenza di un bimbo, tutto l’universo si aprirebbe rivelandosi  chiaro e luminoso. Cosciente di questo concetto, vivo intensamente i piaceri dell’esistenza, e non chiedetemi quale montagna o borgo mi abbia più rispetto alle altre conquistato, risponderei semplicemente : <<quella che devo ancora conoscere”.>>

Quest’ultima avventura sul monte Palis è stata una continua sorpresa, dal primo all’ultimo metro di territorio percorso.

La località è ben nota, è sita presso Moggio Udinese, località dove amo tutto: dagli abitanti ai monti. Come spesso ho citato, Moggio è la mia isola, dove in solitaria trascorso numerosi giorni della mia esistenza, percorrendone i sentieri, e non ho ancora finito il curioso indagare nel meraviglioso territorio, incastonato come una gemma nel cuore del Friuli montano.

Del  monte Palis non avendo chiara la condizione della sentieristica, ho lasciato l’auto presso Moggio Alta, nel parcheggio per turisti con cartello e mappa esplicativa. Una volta pronto, mi sono avvio a sud, presso un maneggio, e come in una favola, è venuto fuori dal nulla un cavaliere con il suo destriero. Chiedo all’uomo a cavallo informazioni e conferme sulla pista che sto seguendo, egli  mi rende edotto che c’è una traccia che conduce in alto, ma per l’anello che intendo servirmi non sa dirmi se troverò il continuo per via di probabili schianti. Ci salutiamo con cordialità, e di seguito inizio l’ascesa alla piccola elevazione, percorrendo un’ampia strada battuta che si esaurisce in uno slargo, da dove proseguo per il sentiero vero e proprio.

L’ascesa è ripidissima spesso esposta a sud sul ripido versante che si aggetta sul torrente Fella. Percorro una traccia esposta anche se ben battuta (protetto dai fusti dei pini)e segnata e tratteggiata in nero sulla mappa. Dal basso inizio a scorgere il biancore della neve, e poco dopo anche a pestarla, divenendo più corposa con l’aumentare della quota. Spesso, quando perdo la traccia, mi lascio guidare dall’istinto, cavalcando per sicurezza la cresta, finché raggiungo il cupolone sommitale dove all’interno  della fitta una vegetazione un arbusto materializza la massima quota. Purtroppo, la visione è occultata dalle fronde, quindi, posso solo immaginare le vette attigue.

Fa tanto freddo, quindi mi sbrigo nell’attivarmi, lasciando un segno del passaggio viandante, e di seguito, sempre per istinto e dopo una rapida consultazione della mappa, decido di proseguire a nord, calandomi per un ripido sentiero, stavolta guidato dalle opportune e immancabili impronte dell’amica dea. Sì, proprio lei, Artemide, la divinità protettrice della natura, che spesso mi appare sotto le sembianze di alcuni animali selvatici, tra cui la riconosco nel capriolo, lupo, cane, aquila e grifone. Le impronte che seguo oggi sono quelle di un cervide, esse mi guidano nella direzione che ho individuato sulla mappa, finché, mi ritrovo sopra una pesta che si addestra tra le ripide e perpendicolari pareti rocciose del Palis, che dominano il vallone da Moggio sino alle frazioni delle Moggesse. Man mano che scendo di quota la neve è meno persistente, divenendo un bianco e candido velo. L’ambiente è meraviglioso e selvatico, peccato che questo sentiero non sia segnato dal CAI, è davvero stupendo, specie per alcuni passaggi sulla roccia e di alcuni scorci panoramici. La montagna, come sempre mi è benevole, e di questo sentimento non ho mai dubitato, è un impulso reciproco che provo con la massima intensità. Dai pulpiti panoramici ammiro le elevazioni intorno a monte di Moggio e tra di esse spicca per maestosità il selvaggio monte Pisimoni, e la stessa cittadina imbiancata, è sublime più che mai. La pesta mi conduce al sentiero 418, che imbocco, mentre sono intento a togliere i ramponi, passa un viandante che indossa un volto dolce e sorridente, breve e sincero reciproco saluto, Moggio è anche questo, natura e cortesia.

Ripreso il cammino, stavolta ritorno a valle, e una volta che sono fuori dall’oscuro e freddo ambiente mi dirigo con passi lentie felpati  verso i luminosi prati periferici di Moggio, posti poco più in alto dei tetti stessi delle periferiche abitazioni. Il mio intento è di consumare il pasto, cerco un fazzoletto di erba ancora assolato per adempiere al proposito. Re sole si orienta a sorgere in un altro luogo, elargendomi i suoi ultimi raggi infuocati, e io, seduto sullo zaino, ne ammiro il  miracoloso crepuscolo, accompagnandone con lo sguardo la lenta discesa del cerchio rosso nella volta celeste, che svanendo veste di tinte di fuoco l’ambiente circostante. Ripreso il cammino, mi aggiro per Moggio Alta, alla ricerca di quel meraviglioso cartello “Ancje voi us dis bondì”  
(Anche oggi vi dico buongiorno!) con cui ho iniziato l’escursione. Trovato il mirabile cartello, eseguo un doveroso saluto chinando il capo, e pochi metri dopo scorgo anche l’auto. Felice e inebriato del poetico canto poetico del borgo, scrivo la parola fine a questa splendida avventura sul monte Palis, il magnifico colle del magico Friuli, riponendo i ricordi più vividi del vissuto nel libro dei ricordi, che serbo gelosamente nello spirito.

Malfa.