Prima
nevicata sul monte Zouf presso Moggio Udinese.
Stupenda
escursione in uno
dei luoghi più pittoreschi della montagna friulana. Approfittando della prima
nevicata stagionale fremo per pestare la soffice neve, e puntualmente il primo
luogo che mi viene in mente è Moggio Udinese e le sue magnifiche montagne.
Adoro questa località da sempre, ancora prima che scoprirsi la montagna, e amo
ancora di più la sua gente. I moggesi, li ho sempre trovati ospitali e
propositivi, come se serbassero un segreto nello spirito che seduce il
viandante. Come itinerario ho scelto lo Zouf di Muez (nome preso dalla mappa
Tabacco) ideando un itinerario che dopo una breve ricerca sul Web ho trovato e
confermato. L’unica variante sarà che percorrerò l’intero anello il giorno dopo
la nevicata, quindi, le incognite del caso ci sono tutte. Il giorno
dell’escursione giungo nelle prime ore del mattino nella valle scavata dal
torrente Fella, quando di solito gli studenti si avviano a scuola. Lungo il
tragitto in auto mi ero fermato poco prima dello svincolo per Moggio, ad
ammirare la magnifica catena montuosa che la circonda. Ricordo ancora vivamente
quando per la prima volta vidi questo magico scenario e già sognavo di
conoscerne l’anima. Nel corso degli anni la Grande Signora mi ha donato di più
e mi ha permesso anche di coltivare delle belle amicizie. Dalla piazzola dove
mi ero fermato ho scrutato alle pendici del Pisimoni la vetta che ambisco a
visitare, tutta ricoperta di bianco, tale da fondersi con il paesaggio.
Valuterò sul posto se continuare l’escursione o declinare, malgrado mi sia
attrezzato per qualsiasi evenienza. Transito nella bella cittadina di Moggio,
mi avvio verso la periferia seguendo le indicazioni per la Val Aupa, finché un
cartello azzurro con una bella “P” in bianco, mi consiglia di sostare
l’automezzo e continuare con lo zaino. Mi attrezzo, indosso le ghette, giaccone
tecnico, foulard alla Malfa, e via con uno zaino colmo di sogni. Dalla
periferia di Moggio seguo una stradella che scende di quota e tramite un
ponticello oltrepasso sull’altra sponda del torrente Aupa. Continuando per la
carrareccia risalgo di quota trovandomi in una bella posizione panoramica, da
dove posso ammirare i tetti di Moggio ricoperti di neve fresca. Dopo la bella
visione sulla cittadina riprendo il passo, mentre una meravigliosa fanciulla con
un cane al seguito appare e procede in direzione opposta. Il cane, chiamato da
ella Lassie: mi si avvicina, mi annusa e scodinzola, ha riconosciuto nel
viandante il vecchio lupo grigio. Lei, la dolce donzella, si rassicura e
sorride. Rimango incantato dalle magnifiche sembianze della giovinetta: occhi
color verde smeraldo, capelli castano chiaro, alta e un’andatura fluttuante.
Vorrei chiederle di essere immortalata, ma stranamente sono timido, essa
sfugge, e a me rimane il rimpianto del gesto non fatto. Guardo avanti, e sul
manto nevoso stranamente non scorgo tracce umane e nemmeno del cane, ma solo di
capriolo. Di scatto mi volto indietro, la fanciulla è scomparsa e ho intuito
che non era una presenza umana ma divina, ella era la dea Artemide in deliziose
spoglie; l’ho intuito perché spesso si accompagna a un cane anche se
lascia solo le impronte di capriolo.
Riprendo il cammino, la carrareccia con dolce pendenza si inoltra nel bosco
latteo di neve immacolata, e seguo le orme della dea. Non mi aspettavo di
trovare un comodo sentiero, man mano che guadagno quota ammiro alcune delle
meravigliose signore della Val Aupa: le Crete da la Mont, il Monticello, e poco
dopo appare la regina delle montagne friulane, meravigliosa e tinta di un
bianco luminoso come se fosse una sposa. Si, è proprio lei, la regale Creta
Grauzaria. Mi fermo incantato ad ammirarla, tra le fronde innevate, e dopo,
dalla balaustra che cinge in un punto esposto la carrareccia. Una visione
fantastica, che basta da sola per giustificare la levataccia. Proseguo per il
comodo cammino che ascende a nord-est verso la forcellina posta tra il crinale
discendente dal Monte Masereit e la continuazione che sale al monte Zouf di
Muez. Non mi aspettavo che l’ascesa fosse così rigenerante, l’antica via di comunicazione
portava la gente di Moggio all’interno della Val Alba. Raggiunta la
forcelletta, inverto direzione di marcia, stavolta da nord a sud, percorrendo
per tempo un tratto di carrozzabile. La nevicata del giorno precedente ha ben
ricoperto la vegetazione, ma il sentiero è ancora intuibile grazie alle fronde
delle conifere che hanno fatto da ombrello. Percorro la meravigliosa cresta
molto esposta a oriente, il sentiero è marcato e delizioso. Per sicurezza:
indosso le ghette e calzo i ramponi a 12 punte, forse ho esagerato, ma ora
procedo con tutta la tranquillità necessaria per potermi distrarre ad ammirare
l’ambiente. Il manto nevoso non è mai duro grazie alla temperatura leggermente
sopra lo zero, e lo stesso spessore nel primo strato del crinale non supera i
venti centimetri. A volte la cresta si dirama, altre è molto affilata, ma il
sentiero mantiene il suo fascino. Una serie di tornantini mi aiutano a
raggiungere la cresta più in alto con comodità, in modo da evitare una traccia
ripida. Altre diramazioni sono presenti lungo il cammino, ma quello che segna
la cresta è il più evidente. Spesso mi fermo a fotografare gli ammassi di neve
condensati sui rami delle conifere o il cielo che è di un blu cobalto, mentre
l’imponente figura del monte Pisimoni domina la scena con le sue temibili e
strapiombanti pareti meridionali. Penso agli anni passati, quando ascendevo le
grandi cime come il Pisimoni, ignorando le piccole elevazione come questa che
oggi sto percorrendo. La maturità ti fa scoprire valori diversi. Serbo un
bellissimo e vivido ricordo della maestosa montagna che adesso domina la
visuale. La cresta è lunga e raggiunta la quota più alta procedo di un
centinaio di metri finché la stessa si apre in un prato dove al centro spicca
un’originale croce che sovrasta un masso. La neve copre alcuni particolari
della costruzione, osservando meglio scoprirò che l’opera è stata dedicata
all’ufficiale degli alpini Oscar Umberto Clemente, morto tragicamente sulla
cima che sto precorrendo nel 1959. Dal prato coperto di neve scorgo in
lontananza la bella figura a forma di conoide dell’Amariana, la vetta
totalmente imbiancata di neve la rende simile al vulcano giapponese Fuji.
L’oceano bianco è sovrastato dall’azzurro, e il mio cuore si irradia di poesia
e felicità. Sono davvero appagato di aver percorso in solitudine questo bel
sentiero, mi ha donato tana energia positiva e fatto amare ancora di più la
vita. Dopo una breve pausa proseguo per il rientro, scendendo per una ripida
pesta a sud, ma vista l’esposizione al sole è meno coperta di neve, quindi,
anche meno insidiosa. La lunga discesa mi porta a seguire una pista di amanti
di mountain bike, che mi conduce sull’argine del torrente Aupa. Presso una
cappella votiva mi fermo, ho davanti la struttura di un ponte in costruzione,
per fortuna, benché non sia ultimato, lo si può attraversare a piedi. Tolgo i
ramponi, e supero il cavalcavia, entrando nella periferia orientale di Moggio.
Preferisco percorrere la stradina interna, lambendo per prima la casa di un
pittore, a cui è stata apposta anche una targa sovrastata da un murale. Di
seguito raggiungo una via (con lapide commemorativa) intitolata all’eroico
maresciallo dei carabinieri Luigi Di Bernardo, morto tragicamente durante
l’adempimento del suo dovere. Maresciallo e pittore, grado e aggettivo che mi
suonano familiari, scorgendo tutti simbolismi possibili con la mia sensibilità.
Giungo presso un ampio prato periferico, mi spingo al centro di esso, trovando
il punto sosta ove desinare sopra un emergente pozzetto di cemento. Dopo aver
estratto il sacco viveri dallo zaino lo adopero come cuscino, e volgo le spalle
a occidente ammirando a oriente la cresta del monte Zouf di Muez da dove sono
disceso. Il sole che tramonta scalda, consumo il panino mentre laggiù, nel
prato, un’anziana signora con un girello ortopedico fa su e giù lungo la
stradina posta ai margini del campo stesso. Forse la vecchina ha problemi nel
deambulare, e questo mi fa apprezzare ciò che ho: due buone gambe e tanta
libertà di movimento. Finita la pausa raggiungo l’auto, felicissimo e
soddisfatto della prima uscita in chiave invernale. Con un chiaro messaggio,
per essere liberi ci vogliono: un paio di scarponi, uno zaino, e un cuore
grande quanto la montagna.
Camminare è
libertà!
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento