Monte Buttignan e le magie del borgo Staligial.
In questa fase della mia esistenza è più
intenso il bisogno di vagare da solo per monti, come un lupo solitario, ne avverto
uno smisurato bisogno, l’allontanarmi
dalle trappole della presunta “vita normale” mi sarà benefico.
E per tutti coloro che avvertono questo primordiale bisogno, la Val Tramontina risponde
a queste esigenze, come un’amante che accoglie il suo uomo nel caldo talamo, e i luoghi selvaggi e incontaminati sono un sicuro
riparo e luogo di fuga.
Questa domenica mi trovavo in zona con la mia aquila, abbiamo fatto due voli a
Chievolis, svettando sulla passerella che porta al borgo di Muintà. Mentre mi
perdevo con lo sguardo nelle cime circostanti ho notato un pizzo di roccia,
confesso che in quel medesimo istante il desiderio di vagare sul monte era più intenso
di quello di perdermi tra gli stavoli del borgo. Così, rientrando a casa mi
sono messo da subito all’opera, schizzando sulla mappa del luogo annotando il
pizzo, Buttignan come futura meta!
Il giorno dell’escursione, mi annuncio alla valle
in compagnia di Aurora, che con il suo delicato pennello tinge di rosate
sfumature i profili dei monti, spegnendo a una a una le stelle del nitido cielo.
Vagando nella valle sono accarezzato da una splendente Selene, essa, seduttiva
più che mai , mi guida per le arterie mentre vanitosamente si specchia nel lago.
Superato il piccolo borgo di Chievolis,
risalgo i tortuosi ed adrenalinici tornanti, seguendo le chiare indicazioni per la località Selva, distratto
dalle dee vado un po’ troppo avanti, ritrovandomi con il ronzino grigio
metallizzato sulla diga, e nel manovrare bruscamente con lo stesso mezzo, per invertire la direzione, allarmo lo
stesso custode della diga. Dovevo svoltare a destra almeno due chilometri
prima, pazienza, invertita la direzione, imbocco il giusto bivio procedendo per
il piccolo borgo di Staligial. Giunto dinanzi alla scuola elementare dismessa
parcheggio nello spazio adiacente.
Dal basso dove mi trovo butto lo sguardo in alto e tra fronde degli alberi scorgo la cresta del Buttignan, mi stuzzica
con le provocanti e passionali luci che ammantano la sua roccia . Una volta
pronto parto, con il mio zaino carico di sogni, dirigendomi verso il borgo Staligial,
dopo pochi metri, sulla destra, un sentiero friabile conduce alla forcella
panoramica, un prima vista dall’alto sul lago di Selva che incanta.
Una panca derivata da un tronco d’albero è posta per il viandante sul pulpito
panoramico, un esplicito invito a meditare e spogliarsi del superfluo, lasciandolo
metaforicamente presso il rovo adiacente; invito che cortesemente accetto, e di
seguito mi dedico all’ascesa.
Sono così rapito, affronto un tratto di ghiaia instabile, nulla di impegnativo,
e dopo pochi metri su mi ritrovo su una traccia ben visibile, che in diagonale
percorre i declivi del monte.
Un cartello con le indicazioni per la vetta mi consiglia di svoltare a sinistra
per il tratto ripido tra le smeraldine conifere, alcuni schianti non sono di
intralcio, evidentemente una mano benevola armata si arnese è già passata da non molto, rendendo meno ostico
il sentiero.
l’escursione procede liscia come l’olio, una volta superato il boschetto e senza
eccessivi patemi, mi ritrovo sotto una bancata rocciosa. Transito su una
bellissima cengia, a volte esposta, che con una lunga diagonale taglia le
pendici del monte da occidente a oriente.
Nei brevi momenti in cui fermo il passo ammiro il paesaggio, e una delle caratteristiche
che mi accattivano l’animo è il versante assolato e sgombro da vegetazione, che
congiunto alla giornata radiosa giornata rasenta la meraviglia. Che dire? Dico
e scrivo che per l’emozione che sto provando il solo gioire è riduttivo.
I pensieri opposti che poche ore prima mi tormentavano, con l’incedere del lento
e cadenzato passo sono svaniti, rimasti giù a valle, oltre la panchina
panoramica e nei loro orrendi raccoglitori.
Ora sono un lupo, un lupo grigio e tra poco mi muterò in aquila per librarmi in
aria.
La bella cengia dopo un tratto esposto raggiunge la base di un canalino,
risalgo quest’ultimo con facilità, i bolli rossi, i miei unici compagni di
viaggio, mi assistono, premurosi e teneri, come sanno essere solo gli amici sicuri.
Dopo alcuni metri abbandono il canalino per spostarmi sulla destra dello stesso,
procedendo per brevi tratti erbosi fino a riattraversare il medesimo a
sinistra, sempre guidato dagli scrupolosi
ometti.
Una comoda rampa mi introduce all’ultima cengia, sicuramente la più aerea, essa
risale in diagonale la ripidissima parete, non è ardua, ma bisogna prestare sempre
attenzione per via dell’esposizione.
Raggiunta la morbida spalla panoramica del monte (a occidente) mi concedo dei momenti
di pausa contemplativa, sempre ammirando sottostante lago e le catene montuose
che spaziano dalla vicina Val Tramontina sino ai dirimpettai monti Dosaip e
Caserine, spettacolo allo stato puro!
Dal basso del crinale scorgo in alto la croce
luminosa della vetta, la cima è vicina, ancora circa 50 metri di dislivello da
percorrere, quindi, mi do una sistemata, stringo bene il foulard e disegno sul mio
volto da donare ad Artemide. Una chiara traccia di camoscio mi guida sulla Parte
terminale del dorso del monte ed eccomi in vetta.
Mi libero dello zaino, adagiandolo con cura accanto alla croce e alzando le braccia
al cielo mi concedo il meritato premio della conquista, la contemplazione.
Malgrado la montagna non sia di una altezza considerevole la visuale dal suo
pulpito è incantevole, da essa, grazie anche alla fortunata posizione topografica,
si gode un paesaggio pregevole al solo prezzo di una breve ascesa. Visto il notevole
tempo a disposizione mi posso concedo uno spazio anche il futile, non sempre si
ha la fortuna di godere di una giornata così clemente.
Dopo aver espletato le operazioni previste (firma del libro di vetta, fotografie,
ecc. ), dono la mia inseparabile bandana nera, annodandola alla croce.
Nei
giorni che hanno preceduto l’escursione mi ero messo spiritualmente in contatto con la montagna,
essa accondiscendo ai miei bramosi desideri mi ha chiesto esplicitamente il mio foulard nero come presente, e io, da
amante soddisfatto, non potevo e non ho voluto esimermi.
Ripreso lo zaino, a malincuore mi tocca lasciare la vetta, rientrando con
prudenza per il sentiero dell’andata, e visto che in discesa non ho avuto nessuna
difficoltà, ringrazio la montagna per la sua magnanimità. Raggiunto in basso il pulpito
panoramico con panca mi concedo, noto con gioia che i cattivi pensieri sono
svaniti, fugati nell’oblio. Visto che è meriggio mi regalo
una visita al piccolo borgo di Staligial. Da dove mi trovo diparte un vecchio
“troi”, pochi metri e sono al cospetto delle prime case del borgo.
Incedo lentamente, sto a curiosare su tutto, immaginando di rivivere attimi di
una remota vita montana mai vissuta. Osservo le case, alcune sono da restaurare,
altre no. Da uno slargo noto un passato ferro da stiro con dentro uno strano
sasso posto come ornamento; mi giro e odo il tipico scricchiolio dell’aprirsi
di una porta, da essa compare un simpatico vecchietto che indossa un bel
sorriso e con uno sguardo che fa trapelare un cuore grande quanto la montagna, mi saluta e cortesemente mi invita a visitare
la sua dimora.
Varcata la soglia della casa ne rimango incantato: i colori dell’arredo rustico
da soli scaldano l’ambiente e l’animo, mentre nel camino arde un tozzo di
faggio, odo la melodiosa armonia dello schioppettio del fuoco .
Oggetti svariati di un vissuto remoto e carichi di valori
simbolici sono sparsi dappertutto, e
soprattutto, quello che cattura la mia attenzione una vetusta cucina a legna ancora perfettamente
operativa. Mi soffermo a vedere cosa stia preparando di buono il simpatico
ometto: salsiccia in padella, e bruschette di pane affumicato accompagnate con
funghi porcini; mi chiede se voglio desinare assieme a lui, sorrido, gli rispondendo
che un bicchiere di vino lo gradisco volentieri.
Mentre versa nei bicchieri il nettare degli dei, sopraggiunge un suo amico; ci
fermiamo a conversare, naturalmente mi presento, citando tra le mie conoscenze
della valle il mio maestro, il compianto Vittorio, che a quanto pare, ma non ne
dubitavo, qui nella valle tutti lodano e ricordano con un affettuoso piacere.
Dopo la breve sosta davanti al camino per scaldarmi, vengo invitato a visitare le
soprastanti stanze, che il buon uomo ha messo a disposizione dei viandanti per solo
una manciata di grana. Ammirata la struttura residenziale ridiscendo al piano
inferiore, per continuare, con un altro
bicchiere di rosso la calorosa conversazione. Una volta che mi sono congedato dalla
magnifica ospitalità e ripreso lo zaino, mi avvio a far visita agli altri
vicoli del borgo. Ho il cuore stracolmo di gioia, e potrebbe scoppiarmi per le
intense emozioni che sto vivendo. Per il borgo incontro altri
simpatici arzilli ottuagenari, affermo senza dovere temere di essere
contradetto che il segreto della loro mirabile longevità è racchiuso nelle
pareti di questo borgo.
Una arcaica chiave di portone sta appesa a un chiodo, l’accarezzo con un tocco
soffice, percependo nel medesimo istante lo spirito di chi l’ha adoperata in
passato. E mentre avverto queste sensazioni, una mano delicata, femminile,
sfiora la mia, avvertendone il calore intenso del grembo. Lunghi capelli neri
sfiorano il mio volto, scaldandomi l’animo con un rapimento passionale, ne sento
il respiro, silenzioso e bramoso, e nell’ombra della stanza un filo di luce disegna
il bel profilo e la minuta corporatura della presenza, e mentre sto per… sottraggo
la mano dalla chiave, come se avessi avuto paura di osare ancora, e di seguito la
ripongo cura dove l’ho trovata…
Lascio il borgo con un velo di tristezza, provando una strana sensazione di
malinconia, come se il sole fosse svanito dietro le ombre del vissuto dell’antica
gente delle abitazioni. Raggiunta l’auto mi preparo con calma al rientro, non
ho nessuna premura, di rientrare, ho ancora tantissimo tempo, tutto quello
necessario per continuare a sognare nella poetica Val Tramontina.
Ti amo valle, vi amo fratelli e sorelle, il vostro sorriso da sempre mi stringe
d’affetto. Tramonti per me esprime “tra le braccia”, cullato dall’amore della
laboriosa gente e della natura che la protegge.
Malfa.
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