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sabato 24 dicembre 2022

Anello del Monte Cuzzer, quando la neve rende il tutto più avventuroso.

Anello del Monte Cuzzer, quando la neve rende il tutto più avventuroso.

Sono passate appena tre settimane dall’ultimo tentativo sul monte Cuzzer, il pensiero è rimasto fisso sull’immaginaria cresta, e oggi spero in un esito positivo, apprestandomi ad un altro tentativo.

La mappa è la stessa, l’itinerario definitivo lo deciderò all’ultimo, e non ho preparato nessun piano B, voglio il Cuzzer e il Cuzzer sarà.

Giunge il sabato mattino, il meteo mette variabile, ma non è prevista la pioggia, approntato il materiale all’inseparabile amico a quattro zampe si parte in direzione Gemona. La strada che da Lestans porta a Gemona è una delle direttrici che percorro spesso per andare in montagna. Dopo la frazione di Pinzano transito sul Tagliamento tramite il famoso ponte storico, ed è un bel vedere: le acque azzurre disegnano fluide lingue  tra le bianche ghiaie e i monti in lontananza sono la giusta cornice. Attraverso in sequenza una serie di piccoli borghi, ammirando il sole nascente che lambisce con i suoi raggi gli antichi borghi di San Daniele, Osoppo, mentre in lontananza le Prealpi Giulie, dominate dall’inconfondibile mole del Chiampon specchiano la luce sulle cittadine sottostanti.

Benché sia desto sogno ad occhi aperti, sorrido e saluto tutte le cime nominandolo a una a una. Nello spettacolare caleidoscopio della magnifica annovero alcune elevazioni, tra cui riconosco il Chiampon, il Brancot, il San Simeone, l’Amariana, il Plauris, il Pisimoni e lo Zuc dal Bor, remote conquiste con vividi ricordi. Magritte come sempre durante il tragitto è silenzioso, chissà cosa pensa il mio compagno di viaggio? In settimana andando a ritroso nell’album dei ricordi e segnando le escursioni in sua compagnia, ho fatto la piacevole scoperta che ha raggiunto un numero considerevole di cime come conquiste. È tanto eroico quanto commovente il lupetto., il mio inseparabile amico, tanti sogni ed emozioni condivise assieme. Per entrambi la montagna è libertà, ne sentiamo il richiamo, è più forte di qualsiasi altra emozione, difficile da spiegare a lettere se non la si prova. Giungiamo nella Val Resia alle prime ore del mattino, mentre nel cielo azzurro si alternano le nuvole bianche giocando a nascondino con le cime dei monti. La prima immagine non è  scoraggiante anche sui versanti settentrionali persiste ancora molta neve. Mi spingo oltre la località di Tigo, risalendo la rotabile che si addentra nella valle di Uccea, per studiare meglio il monte Cuzzer dal versante meridionale. La visione mi conforta, la neve persiste solo a sprazzi e sulla cresta, il dado è tratto, si va in cima! Trovo parcheggio poco dopo il ponticello in località Tigo, indosso subito le ghette, zaino in spalle e Magritte al seguito, si parte.

Superata la simpatica passerella sul torrente Resia, si gira a sinistra seguendo le indicazioni per la località “Case Gost” sentiero CAI 707. Il piccolo sentiero perde quota rasentando il letto del torrente e dopo aver superato una colata detritica inizia a guadagnare quota dentro il boschetto fino a raggiungere la piccola località di Gost.

Una fontanella è posta ai margini di una carrareccia che percorrerò solo per poche centinaia di metri. Una panchina in legno e un piccolo spiazzo inerbito sono l’inizio del sentiero che mi porterà sul Cuzzer. Abbandonata la carrareccia inizia il tratto faticoso. Dopo aver superato un piccolo impluvio continuiamo per il sentiero dedicato all’alpinista e finanziere “Claudio Vogric” dal gruppo “I Ghiri di Resia” (Targa commemorativa posta su un grande masso). La pendenza è sin da subito sostenuta e non dà tregua. Si risale il ripido pendio boschivo con un interminabile serie di tornanti. Breve sosta panoramica sulla piccola forcella  e lo sguardo vola alla catena montuosa dominata dal Zuc del Bor. Ripreso il cammino continuo per il ripido spallone raggiungendo il sito che tre settimane fa mi bloccò. Ora è sgombro da neve, osservandolo il tratto esposto mi rendo conto che la retroattiva scelta di rientrare fu azzeccata. Un’esile cengia supera due volte lo stesso impluvio (attrezzato con cavi malandati) e la stessa aggirando il costone sempre molto esposta risale fino alla faggeta (altri cavi e passamano). Re sole illumina il sentiero, che con piccole svolte solca la ripida faggeta fino ad arrivare sulla cresta, dove mi aspetta un paesaggio dissestato: alberi brulli, molti schianti,  proseguiamo seguendo le rade tracce risalendo la cresta boschiva. Dopo alcune centinaia di metri compare la prima neve, la sua visione oggi non mi è gradita. Il cammino diventa più articolato, seguo i segni sugli alberi e sui massi, ascendendo sul versante occidentale il lungo crestone che prende il nome di “Scarbina Grande”. Di tanto in tanto, in lontananza, affiora tra la fitta vegetazione la vetta del Cuzzer. Giunto poco sotto la cima, vengo tratto in inganno da un adrenalinico traverso su un ampio nevaio, dopo averlo superato e con qualche patema perdo la pista.  Non mi perdo d’animo, e passando dalla modalità escursionista a quella modalità di lupo,  conquisto una crestina aiutandomi con i mughi, scoprendo di aver la vetta del Cuzzer alle spalle. Non mi perdo d’animo, ritorno indietro ripercorrendo le mie orme, sino all’ultimo segno CAI  scorso in precedenza, per osservarmi intorno. Dopo alcuni istanti trovo la via d’uscita,  sopra  di me vi è un ripido ed esposto nevaio, in alto scorgo un segno biancorosso, assicuro bene a me Magritte tramite guinzaglio e sì procede. La neve ha del tutto  sepolto l’erto sentiero, devo assolutamente risalirlo, non vi sono altre soluzioni. A furia di colpi con le punte degli scarponi scavo degli incavi sulla parete verticale ghiacciata  fino a guadagnare il vertice del nevaio. L’adrenalina è costante, vista l’esposizione il cuore mi batte a mille, risalendo in modo alpinistico e con l’aiuto dei mughi  l’intero camminamento innevato mi porto sotto la cupoletta settentrionale del Cuzzer;  a quest’ultima mi collega un’esile e innevata cengia, esposta d’ambo i lati sui vertiginosi versanti. Il suo aspetto verticale m’incute timore, il sentiero è anche completamente sepolto dalla neve. Sfrutto i radi mughi e qualche spigolo roccioso per arrampicarmi sulla parete esposta a settentrione, evitando l’adiacente piano verticale, una scivolata mi sarebbe fatale.

L’idea anche se ardita si rivela la più sicura e vincente, preso dalla delicata operazione raggiungo con il batticuore la cresta sommitale, percorrendo con cautela  gli ultimi tratti di sentiero che mi separano dall’enorme croce in ferro,  prima di raggiungere il vertice mi fermo alcuni istanti per rifiatare e scaricare la tensione. Improvvisamente giungono gelate folate di vento  non mi faccio mancare nulla), mi copro  velocemente a dovere e così raggiungo  e tocco la croce di ferro, fatta! Metà impresa è fatta, prima di pensare alla discesa  scatto molteplici foto, compresa la rituale di vetta. Dal pulpito  panoramico il paesaggio è stupefacente. A meridione ammiro il versante settentrionale della catena dei Musi. Riconosco tutte le cime, dal Cadin allo Zaiavor,  e sono tanti i ricordi e le emozioni che mi richiamano alla mente. A oriente osservo il regale Canin avvolto dalle nuvole e parzialmente innevato. Il cielo si va oscurando, mi affretto per il rientro, la complessa  e articolata cresta del Cuzzer mi aspetta. Scendo dalla cima principale percorrendo il sentiero sul versante meridionale, percorso agevole malgrado l’esposizione a sud. Aggiro una cima intermedia fino a raggiungere l’ante-cima, dove mi aspetta un passaggio di primo grado con l’ausilio di un cavo in metallo. Sorrido, osservando che il tratto descritto come il più rischioso da molte relazioni, per il sottoscritto si rivela il più facile. Superato quest’ultimo sembrava che le fatiche possano dichiararsi finite, invece e inaspettata una cattiva sorpresa mi attende. Dietro l’angolo mi ritrovo un insormontabile  muro di neve che rasentava il ciglio della cengia, lasciandomi solo un paio di centimetri per fluire, per poi immettersi in un grande nevaio esposto a nord e assai ripidissimo. Ho un attimo di panico, mi fermo a riflettere: << Indietro non torno di sicuro, mi studio l’ostacolo.>> Penso dapprima di calzare i ramponi, tirare fuori la picca e continuare di traverso, ma riflettendoci la neve fradicia non reggerebbe una mia caduta, allora passo a una azione estrema. Risalgo il muro di neve, aiutandomi con i mughi che adopero come corde, camminando sopra il muro di neve, e sfruttando gli spazi vuoti tra la roccia e la neve per rifiatare. L’idea, benché sia ardita, funziona! Avanzo per un centinaio di metri sul nevaio, fino a intravedere il catino noto, esposto sì ma non più pericoloso. E Magritte? Era rimasto indietro, inforcando occhiali da sole e godendosi il paesaggio, un mio fischio imperativo e perentorio lo ha ricondotto al suo ruolo di fedele e indivisibile paggio.  Mentre sfilo per un attimo i guanti, e studiare  il successivo percorso, una dolce e lieve voce  femminile mi sussurra: << Ciao Malfa, bentornato, come stai? Rivelo che sei il solito caparbio, non molli mai! Bello quel paio di guanti, me lo regali?>> Un po’ nervosetto, ma poi con un sorrisetto malizioso  le rispondo. <<Buongiorno, signora Artemide, sto bene anche se surgelato. Come ha ben visto, non mi sono arreso, ma ti diverti così tanto a crearmi ostacoli? Sai bene che trovo il lato positivo in tutto, anche in quest’ultima esperienza. Non mollo, mi conosci bene, e come cantava John Lennon” non ci sono problemi, ma solo soluzioni”, quindi, proseguo. I guanti? Mah, oggi non li meriteresti, ma come si fa a dire di no ad una bella signora, anche se bella e capricciosa. Va bene , te li lascio sulla roccia, proprio sopra i due segni Cai. A presto!>>  Tra me penso, che la montagna è risaputo, che a volte da e a volte prende e oggi mi tocca pagare pegno. Congedatomi dalla dea prosegui, anche perché il meteo tende ad un peggioramento. <<A presto mia signora!;>> Cosi dicendo mi congedo dalla montagna, affrontando il catino innevato e raggiugendo la cupoletta sommitale dell’ante-cima. Effettuo una breve sosta, mi riprendo dallo stress, e mi gusto il paesaggio. Il mio caro amico riposa un attimo, dormendo sopra una piazzola d’erba. Magritte è stanco ma beato, chissà se ha sentito la voce della montagna? Trascorsa la breve ma salutare sosta riprendo lo zaino per affrontare la seconda parte dell’escursione. Una lieve traccia scende a meridione attraversando  il bosco di faggi  e di seguito raggiungendo la forca di Tasacuzzer, materializzata da cartelli divelti, con indicazioni CAI. La mia meta è a oriente, seguo il sentiero 707 con indicazioni per il borgo Lischiazze. Dalla forca mi calo nel canalone, un ripido sentiero che nel primo tratto percorre il letto innevato di un secco impluvio, e successivamente perdendo quota guadagna la base di un costone. Ambiente selvaggio, unico in cui perdersi per sentirsi per una volta liberi e primordiali. Di fronte mi fanno compagnie le verticali pareti settentrionali dei Musi  che paiono sempre più vicine e con il naso all’insù  proseguo per un’esile cengia  che taglia parallelamente le dirupati pareti meridionali del Cuzzer,  e di seguito,  transitando attraversando un tratto di macereto, per poi rientrare nel fitto bosco. Ora il sentiero è comodo e adombrato dalle foglie dei faggi, continuo la discesa per il versante, innestandosi sul sentiero proveniente da destra con numerazione 703. I colori del bosco sono intensi, la traccia è ben marcata, in breve dopo aver superato un tratto di vegetazione con affioramenti carsici, guado un secco impluvio, ritrovandomi sulla vecchia carrareccia che si innesta dopo poche centinaia di metri sulla rotabile che dalla val Resia porta alla Valle dell’Uccea. Procedo con un passo lento,  spesso ammirando le cime e il piccolo borgo di Lischiazze. Un latrare di cani e lo sguardo di alcuni vallegiani scandisce il tempo  del nostro passaggio. Le fatiche volgono al fine, e ripensandoci, non abbiamo ancora desinato. Deviando per una diramazione, dopo alcuni saliscendi, raggiungiamo il borgo di “Case Gost”,  dove ci aspetta una panchina che adibiamo a refettorio. Io e il mio compagno siamo esausti, ci accomodiamo sulla panca. Estraggo dallo zaino la sacca con i viveri. Do la precedenza al lupacchiotto. Penso: << Ho effettuato questo enorme giro soltanto con un fico secco nello stomaco, e  Magritte nemmeno quello.>> Breve pausa,  e dopo esserci rifocillati, si riprende il cammino per l’ultimo quarto d’ora di cammino che ci separa dall’auto. Nel frattempo, incrociamo un anziano boscaiolo, intento a spaccare legna, lo saluto, ricambia. Mi riconosce, è lo stesso di alcune settimane fa, mi chiede se ho raggiunto la cima! Gli rispondo di sì e che l’escursione meritava. Gli chiedo quanti anni ha. Mi risponde:  << Quanti me ne dà?>> Provo a indovinare, e sparo 85 anni, sperando di compiacerlo. Non l’avessi mai detto! Il Suo volto si contorce in una smorfia di dolore, mi risponde che ne ha solo 70, mentre l’ascia che impugna rotea pericolosamente nella mia direzione. Mi congedo dal non “tanto anziano” boscaiolo, sperando che dimentica in fretta la mia gaffe. Questo episodio mi serva da lezione:  come con le gentil signore, spesso e per compiacerle, convien sparare c…. ed essere degli adulatori nell’abbassare gli anni, più tosto che rischiare la vita pronunciando la  cruda e nuda verità. Percorrevo gli ultimi metri di sentiero, attraversando il ponticello sul torrente Resia da vincitore, in egual modo Giulio Cesare  e le sue legioni entravano da vincitori ad Alesia, e come gli antichi romani, immagino che la struttura sia un arco di trionfo, percependo, chissà come delle trombe che intonano l’ouverture dell’Aida. Anche oggi io e il mio prode abbiamo vissuto una nuova avventura, e una storia da raccontare.

Malfa

 





























































 

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