Monte Palis,
la scoperta del colle perduto.
La ricerca interiore mi
pone delle domande a cui voglio rispondere viaggiando in solitudine, per tale
missione mi aggiro con amore in una terra che da anni che la sento mia, nonostante
il sottoscritto sia nativo di un’isola lontana.
La natura del luogo
non mi ha mai fatto sentire forestiero, la
montagna friulana, come quella veneta, sicula, afghana, marchigiana, sarda, di
altri paesi e regioni mi ha sempre accolto con amore, sicuramente stranieri e
viandanti lo siamo tutti, anche se vestiamo abiti ricamati con i preconcetti e dipinti
dall’ignoranza.
Se vagassimo nudi, con
la curiosità e l’innocenza di un bimbo, tutto l’universo si aprirebbe rivelandosi
chiaro e luminoso. Cosciente di questo
concetto, vivo intensamente i piaceri dell’esistenza, e non chiedetemi quale
montagna o borgo mi abbia più rispetto alle altre conquistato, risponderei
semplicemente : <<quella che devo ancora conoscere”.>>
Quest’ultima avventura
sul monte Palis è stata una continua sorpresa, dal primo all’ultimo metro di
territorio percorso.
La località è ben nota,
è sita presso Moggio Udinese, località dove amo tutto: dagli abitanti ai monti.
Come spesso ho citato, Moggio è la mia isola, dove in solitaria trascorso
numerosi giorni della mia esistenza, percorrendone i sentieri, e non ho ancora
finito il curioso indagare nel meraviglioso territorio, incastonato come una
gemma nel cuore del Friuli montano.
Del monte Palis non avendo chiara la condizione
della sentieristica, ho lasciato l’auto presso Moggio Alta, nel parcheggio per
turisti con cartello e mappa esplicativa. Una volta pronto, mi sono avvio a
sud, presso un maneggio, e come in una favola, è venuto fuori dal nulla un
cavaliere con il suo destriero. Chiedo all’uomo a cavallo informazioni e
conferme sulla pista che sto seguendo, egli mi rende edotto che c’è una traccia che
conduce in alto, ma per l’anello che intendo servirmi non sa dirmi se troverò
il continuo per via di probabili schianti. Ci salutiamo con cordialità, e di
seguito inizio l’ascesa alla piccola elevazione, percorrendo un’ampia strada
battuta che si esaurisce in uno slargo, da dove proseguo per il sentiero vero e
proprio.
L’ascesa è ripidissima
spesso esposta a sud sul ripido versante che si aggetta sul torrente Fella.
Percorro una traccia esposta anche se ben battuta (protetto dai fusti dei pini)e
segnata e tratteggiata in nero sulla mappa. Dal basso inizio a scorgere il
biancore della neve, e poco dopo anche a pestarla, divenendo più corposa con l’aumentare
della quota. Spesso, quando perdo la traccia, mi lascio guidare dall’istinto, cavalcando
per sicurezza la cresta, finché raggiungo il cupolone sommitale dove all’interno della fitta una vegetazione un arbusto
materializza la massima quota. Purtroppo, la visione è occultata dalle fronde,
quindi, posso solo immaginare le vette attigue.
Fa tanto freddo,
quindi mi sbrigo nell’attivarmi, lasciando un segno del passaggio viandante, e
di seguito, sempre per istinto e dopo una rapida consultazione della mappa,
decido di proseguire a nord, calandomi per un ripido sentiero, stavolta guidato
dalle opportune e immancabili impronte dell’amica dea. Sì, proprio lei, Artemide,
la divinità protettrice della natura, che spesso mi appare sotto le sembianze
di alcuni animali selvatici, tra cui la riconosco nel capriolo, lupo, cane, aquila
e grifone. Le impronte che seguo oggi sono quelle di un cervide, esse mi guidano
nella direzione che ho individuato sulla mappa, finché, mi ritrovo sopra una
pesta che si addestra tra le ripide e perpendicolari pareti rocciose del Palis,
che dominano il vallone da Moggio sino alle frazioni delle Moggesse. Man mano
che scendo di quota la neve è meno persistente, divenendo un bianco e candido
velo. L’ambiente è meraviglioso e selvatico, peccato che questo sentiero non
sia segnato dal CAI, è davvero stupendo, specie per alcuni passaggi sulla
roccia e di alcuni scorci panoramici. La montagna, come sempre mi è benevole, e
di questo sentimento non ho mai dubitato, è un impulso reciproco che provo con
la massima intensità. Dai pulpiti panoramici ammiro le elevazioni intorno a
monte di Moggio e tra di esse spicca per maestosità il selvaggio monte Pisimoni,
e la stessa cittadina imbiancata, è sublime più che mai. La pesta mi conduce al
sentiero 418, che imbocco, mentre sono intento a togliere i ramponi, passa un viandante
che indossa un volto dolce e sorridente, breve e sincero reciproco saluto,
Moggio è anche questo, natura e cortesia.
Ripreso
il cammino, stavolta ritorno a valle, e una volta che sono fuori dall’oscuro e
freddo ambiente mi dirigo con passi lentie felpati verso i luminosi prati periferici di Moggio, posti
poco più in alto dei tetti stessi delle periferiche abitazioni. Il mio intento
è di consumare il pasto, cerco un fazzoletto di erba ancora assolato per
adempiere al proposito. Re sole si orienta a sorgere in un altro luogo, elargendomi
i suoi ultimi raggi infuocati, e io, seduto sullo zaino, ne ammiro il miracoloso crepuscolo, accompagnandone con lo
sguardo la lenta discesa del cerchio rosso nella volta celeste, che svanendo veste
di tinte di fuoco l’ambiente circostante. Ripreso il cammino, mi aggiro per Moggio Alta, alla
ricerca di quel meraviglioso cartello “Ancje voi us dis bondì”
(Anche oggi vi dico buongiorno!) con cui ho iniziato l’escursione. Trovato il
mirabile cartello, eseguo un doveroso saluto chinando il capo, e pochi metri
dopo scorgo anche l’auto. Felice e inebriato del poetico canto poetico del
borgo, scrivo la parola fine a questa splendida avventura sul monte Palis, il magnifico
colle del magico Friuli, riponendo i ricordi più vividi del vissuto nel libro
dei ricordi, che serbo gelosamente nello spirito.
Malfa.
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