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venerdì 16 dicembre 2022

Neve, neve, e tanta neve ancora…

Neve, neve, e tanta neve ancora…

 

Delle antipatiche nuvole si divertono ad apparire e svanire, svelando a volte un cielo azzurro di un blu intenso che contorna il paesaggio dove gli innevati colli ricordano un deserto dalle dune bianche.

Con lo sguardo e mappa alla mano scrutiamo il paesaggio tentando di intuire il nostro colle. <<È quello dietro? No, quell’altro di seguito ancora a destra! >><< Non si vede un (…) dai, andiamo avanti e valutiamo.>>

Usciamo dalla carrareccia mirando al primo colle rimanendo in quota, poi un secondo e un terzo ancora, così percorriamo le creste e la suggestione ha il sopravvento sulla fatica. Tra le dune riconosciamo i giochi di uno scialpinista, anch’egli si è diretto sulla nostra meta. Ci fermiamo spesso per fotografare, ogni scatto è pura magia. Immortalo John, lo immagino come il “Primo uomo sulla Luna”, la sua sagoma complementare al bianco avanza. Sparuti, eroici e solitari alberelli sfidano il silenzio, donando poesia al candido paesaggio. Mi emoziono osservando l’amico che ricerca il sogno. Siamo i viandanti, gli spiriti liberi per eccellenza, uomini che hanno lasciato a valle le famiglie, le abitudini, i pensieri, per inseguire una chimera, l’eterna illusione che noi chiamiamo Libertà.

Avvistiamo la nostra meta, un ometto di pietre sormontato da una piccola croce spartana legata con fil di ferro per concertina, ci siamo, percorriamo la cresta, rallentiamo, quasi ci fermiamo, è un istante magico. L’amico aspetta che io lo raggiunga, per un nobile accordo mai verbalizzato, quello di toccare la meta assieme e nel medesimo istante. Come i cavalieri medievali, conficchiamo le nostre spade (bastoncini telescopici) nella neve e poco sotto l’ometto; ci abbracciamo, togliamo i guantoni volgendo lo sguardo e il sorriso all’orizzonte.

Se fossimo vissuti nel Medio Evo, John e io, saremmo stati sicuramente due cavalieri dai nobili sentimenti, le nostre azioni nascono spontanee, spesso comunichiamo con il solo sguardo.

Mentre John apporta il nostro passaggio sul libro di vetta, io fotografo il paesaggio e infine eseguo l’autoscatto che immortala il magico momento. Finite le operazioni di prassi, ci abbandoniamo alla meditazione. La cima del Col di S’ciòs appare come un tumulo, simile a una tomba di un nobile guerriero, la stessa domina dall’alto il paesaggio, spaziando dalle vicine vette di Piancavallo alle lontane dolomiti friulane.

Dalla vetta avvistiamo in basso una malga, si tratta della casera di S’ciòs, che noi erroneamente scambiamo per Casera Busa Gravin (ce ne ravvediamo successivamente). Decidiamo di dirigerci alla casera, per poi proseguire per la carrareccia più a nord. In questo breve tratto di percorso ho avuto la sensazione di sognare: nel biancore della neve ho perso completamente la tridimensionalità dello spazio, sono stato immerso nella luce e le sporadiche velature della nebbia hanno amplificato tale sensazione. Raggiunta la carrareccia proseguiamo a meridione, ma qualcosa non ci convince, l’intento era quello di compiere l’anello ma il sentiero che porta a casera Costa Cervera è totalmente ricoperto di neve. Non ci sono segni sugli alberi, quindi, dietro front e proseguiamo per la casera Col dei S’ciòs, per poi riprendere le nostre tracce e rientrare a casera Busa Bernart.

La fatica inizia a farsi sentire e con essa anche la fame e le gambe reclamano potassio. E noi? Silenti e con spirito stoico procediamo. I folli presenti in questo altopiano non siamo solo noi, ne avvistiamo uno che scende dal colle adiacente a quello dei S’cios, per poi svanire nel nulla, un altro ci viene incontro per la carrareccia. Trattasi di un simpatico veneto, dal sorriso coinvolgente, e che con la sua mountain bike ha osato sfidare la neve. La sua bici ci appare come un ronzino che l’audace cavaliere conduce a piedi nella bianca valle. Ci salutiamo augurandoci un reciproco buon cammino e tanta fortuna.

Ritrovate le nostre orme, volgiamo lo sguardo indietro, rimanendo incantati da una magica visione. Da uno squarcio tra le nubi filtra un raggio di sole che illumina la meta odierna, essa appare di un bianco luminoso e spirituale che spicca contrastando con il paesaggio circostante, dove la bianca vetta si stacca dal grigio dei colli e l’azzurro del cielo. Ci fermiamo a contemplare quel miracolo, chiedendoci reciprocamente, l’uno con l’altro, la conferma di quello che intravediamo. Riprendiamo il cammino, le nostre impronte ci riconducono alla Casera Busa Bernart…

Malfa

 




















 

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