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giovedì 22 dicembre 2022

Monte Rauchkofel e Monte Maderkopf

Monte Rauchkofel  e Monte Maderkopf

 

 Una settimana intensa  e piena di emozioni dedicate alla montagna: iniziata con il Brentoni, continuata con Il Piper e i Due Pizzi e finita con un’altra meraviglia, il monte Rauchkofel.

L’idea dell’escursione mi è nata curiosando tra le mappe di confine. Desideravo da tempo ritornare sulle Alpi carniche centrali e girovagare intorno al gruppo montuoso dominato da sua maestà il Coglians. La mia attenzione cade su un monte “Rachkofel”, dovrebbe trattarsi di quel monte che d’estate brilla di un vistoso color verde e che  si scorge dal rifugio Lambertenghi-Romanin se si spazia con lo sguardo oltre il lago di Volaia.

L’altezza della cima è discreta, ma visto che è esposta a sud spero di trovare il versante sgombro da neve. Approntando lo zaino per l’escursione, lo preparo con cura,  non scartando nessuna evenienza, quindi, ramponi e picca sono d’obbligo. Il giorno dell’escursione, malgrado la sveglia sia fissata alle prime ore del mattino, mi alzo un po’ tardino (inizio a patire la stanchezza arretrata). Confermo come compagno di ventura l’inossidabile Magritte, che nella precedente uscita mi ha confermato di essere un valente alpino. Caricato il materiale in auto si parte, destinazione Tolmezzo , meraviglioso capoluogo carnico, e di seguito mi addentro nel cuore della Carnia, fino a raggiungere il lontano borgo di Collina, dominato dall’impressionante catena montuosa che dal Monte Volaia conduce sino alla Creta di Collina. Ambivo a lasciare l’auto presso il rifugio Tolazzi, ma la carreggiabile è resa impraticabile dal ghiaccio, quindi, posteggio in basso, poco dopo  le ultime abitazioni di Collina. La temperatura all’esterno è molto fredda, mi copro benino, zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito, si parte. Raggiunto il rifugio Tolazzi (chiuso), seguo la carrareccia, e dopo un paio di tornanti imbocco un sentiero nominato la “scorciatoia”, esso è bollato con una scarpetta ginnica stilizzata di  color giallo fosforescente. Il sentiero rapidamente sale sul versante occidentale del Coglians, dentro il fitto bosco di conifere. Dopo aver superato un secco impluvio incrocio il sentiero CAI 144 proveniente sempre dal Rifugio Tolazzi. Sono nei pressi del Passo di Volaia, alzo lo sguardo  per ammirare le bianche pareti del Coglians e del Monte Capolago. Alla mia destra riconosco la verticale roccia dove si sviluppa la ferrata “Spinotti”. Raggiunti i vecchi baraccamenti risalenti alla Prima guerra mondiale ne seguo la comoda mulattiera che solcando l’inerbito e ingiallito vallo, mi conduce al rifugio Lambertenghi-Romanin, anch’esso chiuso. Pochi metri mi separano per raggiungere il passo, la vetusta trincea limita la visuale, ma una volta raggiunta rimango affascinato dal paesaggio che mi  offre.  L’ambiente è totalmente imbiancato: il lago di Volaia è un’impressionante tavola di ghiaccio che incute timore solo a guardarla, mentre la temperatura cala vistosamente  redendo l’ambiente ancora più spettrale. Viste le altezze dei rilievi  constato che i raggi solari non battono questo versante nelle prime ore del mattino. Mentre percorro il margine del lago sto attento a non scivolare portandomi verso il rifugio austriaco “Wolayersee H.”  chiuso anch’esso. Il paesaggio è stupendo,  a tratti surreale e allo stesso tempo agghiacciante. Dal versante austriaco ammiro una cuspide di roccia, e poco vicino l’obelisco del rifugio, ma quelli che stupiscono per maestosità sono il monte Capolago e il monte Coglians, questi giganti di roccia naturali danno un tocco di magia e di potenza

 all’ambiente. In lontananza a occidente seguo la cresta del Volaia che svanisce verso i lontani Peralba e Fleons. Se fossi un  sommo poeta  pari a Giuseppe Ungaretti  scriverei “mi illumino di Immenso”, ma da comune mortale scrivo “mi sto congelando”.

Poco dopo il rifugio, ben oltre il confine inizia il suo corso il sentiero 438, parzialmente coperto da neve, esso risale la dorsale che porta al RauchKofel, la neve nel primo tratto non è compatta, scorgo delle orme umane e le seguo, e con attenzione, tra zolle d’erba e roccette, raggiungo la cresta.

Stavolta la neve è compatta, è giunto il momento di indossare i ramponi. Nel frattempo, osservo Magritte felicissimo di giocare con la neve, lo osservo e mi riempio l’animo della sua briosità; è proprio  vero, i cani chiedono poco donando tanto. Il camminare sulla neve ha i suoi vantaggi, ed essendo il sentiero ricoperto, mi invento una direzione che spesso coincide con quella originale, questo  procedere mi dà una sensazione di libertà. So bene che la meta è lassù e mi attende, riesco a intravedere la cresta e la croce di vetta, nel frattempo cavalco le dune di neve.

Nell’immensità del bianco della valle, io e Magritte siamo due puntini uno rosso e l’altro, quello più piccolo, nero. Vaghiamo, ed è meraviglioso, giocare con il morbido candore luccicante. Presto siamo sotto la cresta, solo le ultime centinaia di metri per  attraversare il catino innevato. Zizzaghiamo  per guadagnare con meno fatica la quota, intervallandolo con qualche traverso adrenalinico. Il pericolo oggettivo è dominato dall’attrazione fatale esercitata dalla cima. Raggiunta la cresta seguiamo il suo filo, nel ruolo che più adoriamo, quello di   “funamboli delle creste”, fermandoci spesso a mirare il versante settentrionale, sempre più ripido e totalmente coperto di neve. Gli ultimi metri che ci separano dalla vetta sono ripidissimi, un cavo mi è di aiuto, e finalmente raggiungiamo il vertice.

Sono emozionato, più che dalla conquista dallo spettacolo che mi offrono le cime circostanti, sicuramente tra le più sublimi del Friuli. Presiedo un pulpito straordinario da dove posso ammirare le Chianevate e il Coglians, che da soli come visione mi gratificano per tutta la fatica fin qui affrontata. E il resto del paesaggio? Sublime, eccezionale, che spazia all’infinito e lo sguardo tocca miriadi di catene montuose. Mi appresto a firmare il libro di vetta, c’è anche un timbro, in modo malagevole accidentalmente faccio cadere il tampone d’inchiostro, che rovina paurosamente sull’orlo del ripido e contemporaneamente dal mio libretto, dove apporto i timbri, scivola via e svolazza nell’aria una foto con me e Magritte, che svanisce nell’abisso. Penso: <<Non sarà un cattivo presagio? >> Magritte che ha seguito la scena, ha un’espressione terrorizzata, nasconde la zampetta anteriore destra tra quelle posteriori, facendo un leggero movimento, mentre l’altra zampetta, quella anteriore, è rigidamente saldata alla base metallica della croce. Anche questo suo agire mi è parso  strano, non lo facevo scaramantico. Coraggiosamente mi calo a recuperare il tampone e trovo anche la penna, li rimetto dentro il contenitore. Distraendo la mente con pensieri gioiosi mi distraggo dal cattivo presagio, e dopo la breve pausa contemplativa mi appresto al ritorno. Seguendo le orme a ritroso raggiungo in basso la sella, dando anche un’occhiata all’ora, ho ancora tempo per permanere il loco. In contemporanea noto un monte non lontano, studio la mappa che ho al seguito e ne scopro il nome, è  il Monte MaderKopf. Armati di nuove energie, io e il mio prode amico,  seguiamo una direzione immaginaria ci dirigiamo a occidente fino a raggiungere il catino innevato, ne percorriamo la circonferenza sul margine alto guadagnando la cresta, che con dolce pendenza conduce in cima. Il vertice è materializzato da due tondini in metallo color rosso, legati a croce; un tempo era una postazione militare adibita all’osservazione, oggi rimangono solo i ruderi  del manufatto. La cima è un ottimo punto di vista sul Volaia e le  altre grandi elevazioni  citate in precedenza. Sono soddisfatto, ora si rientra definitivamente al campo base. Rinvio la consumazione del pasto, si è fatto tardi, do un’occhiata alla mappa, e spero di trovare un sentiero più breve per il ritorno; purtroppo, erroneamente ne seguo uno che mi allontana dall’obbiettivo prefissato, facendomi perdere metri di quota e  tanto tempo. Improvvisando una diagonale riguadagno quota, tagliando tra le dune di neve, fino a riconquistare la china del pendio che sovrasta il rifugio Woalyersee H.

Sono quasi arrivato al passo di Volaia, se non fosse che uno dei ramponi fa i capricci; con il un terreno misto a neve e ghiaccio, un tratto di cammino l’ho percorro con uno indossato e l’altro in mano, evitando di scivolare sulla neve ghiacciata che mi sarebbe fatale. Raggiunto il lago, lo percorro ai margini, raggiungendo velocemente il passo e successivamente il rifugio Lambertenghi-Romanin. Nel frattempo, il cielo si è tinto di rosso, presto il sole si celerà dietro i monti. Velocemente faccio desinare Magritte, io prendo solo una banana. Riposti i ramponi nello zaino, dallo stesso estraggo la torcia frontale che ben presto mi sarà utile. Per la discesa seguo la carrareccia, più sicura anche se lunga. Dopo una mezzoretta accendo la torcia, e  mentre cammino dolcemente sopraggiunge la notte che accende  nella volta nera le stelle. Camminando al buio si amplificano le emozioni,  da lontano scorgo le luci di Collina. La montagna immersa nell’oscurità ha il suo fascino, stimolando i sensi di fantasie e sogni che di giorno paiono banali . Assorto dall’ammirare le stelle che sbucano tra le sagome dei Larici, con passo flemmatico, assieme all’amico, raggiungiamo Collina e di seguito l’auto. Spengo la torcia, e nel buio totale scruto in alto individuando il Coglians illuminato solo dalle stelle. Stanco, anzi, stanchi e soddisfatti si rientra con prudenza in pianura, felici e soddisfatti della bellissima giornata passata a nord di sua Maestà il Coglians.

Malfa.

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