Monte
Rauchkofel e Monte Maderkopf
Una settimana intensa e piena di emozioni dedicate alla montagna: iniziata
con il Brentoni, continuata con Il Piper e i Due Pizzi e finita con un’altra
meraviglia, il monte Rauchkofel.
L’idea
dell’escursione mi è nata curiosando tra le mappe di confine. Desideravo da
tempo ritornare sulle Alpi carniche centrali e girovagare intorno al gruppo montuoso
dominato da sua maestà il Coglians. La mia attenzione cade su un monte
“Rachkofel”, dovrebbe trattarsi di quel monte che d’estate brilla di un vistoso
color verde e che si scorge dal rifugio
Lambertenghi-Romanin se si spazia con lo sguardo oltre il lago di Volaia.
L’altezza
della cima è discreta, ma visto che è esposta a sud spero di trovare il
versante sgombro da neve. Approntando lo zaino per l’escursione, lo preparo con
cura, non scartando nessuna evenienza,
quindi, ramponi e picca sono d’obbligo. Il giorno dell’escursione, malgrado la
sveglia sia fissata alle prime ore del mattino, mi alzo un po’ tardino (inizio
a patire la stanchezza arretrata). Confermo come compagno di ventura
l’inossidabile Magritte, che nella precedente uscita mi ha confermato di essere
un valente alpino. Caricato il materiale in auto si parte, destinazione
Tolmezzo , meraviglioso capoluogo carnico, e di seguito mi addentro nel cuore
della Carnia, fino a raggiungere il lontano borgo di Collina, dominato
dall’impressionante catena montuosa che dal Monte Volaia conduce sino alla
Creta di Collina. Ambivo a lasciare l’auto presso il rifugio Tolazzi, ma la
carreggiabile è resa impraticabile dal ghiaccio, quindi, posteggio in basso,
poco dopo le ultime abitazioni di Collina.
La temperatura all’esterno è molto fredda, mi copro benino, zaino in spalle e
Magritte e sogni al seguito, si parte. Raggiunto il rifugio Tolazzi (chiuso),
seguo la carrareccia, e dopo un paio di tornanti imbocco un sentiero nominato
la “scorciatoia”, esso è bollato con una scarpetta ginnica stilizzata di color giallo fosforescente. Il sentiero
rapidamente sale sul versante occidentale del Coglians, dentro il fitto bosco
di conifere. Dopo aver superato un secco impluvio incrocio il sentiero CAI 144
proveniente sempre dal Rifugio Tolazzi. Sono nei pressi del Passo di Volaia, alzo
lo sguardo per ammirare le bianche
pareti del Coglians e del Monte Capolago. Alla mia destra riconosco la
verticale roccia dove si sviluppa la ferrata “Spinotti”. Raggiunti i vecchi
baraccamenti risalenti alla Prima guerra mondiale ne seguo la comoda mulattiera
che solcando l’inerbito e ingiallito vallo, mi conduce al rifugio
Lambertenghi-Romanin, anch’esso chiuso. Pochi metri mi separano per raggiungere
il passo, la vetusta trincea limita la visuale, ma una volta raggiunta rimango
affascinato dal paesaggio che mi offre. L’ambiente è totalmente imbiancato: il lago
di Volaia è un’impressionante tavola di ghiaccio che incute timore solo a
guardarla, mentre la temperatura cala vistosamente redendo l’ambiente ancora più spettrale.
Viste le altezze dei rilievi constato
che i raggi solari non battono questo versante nelle prime ore del mattino. Mentre
percorro il margine del lago sto attento a non scivolare portandomi verso il
rifugio austriaco “Wolayersee H.” chiuso
anch’esso. Il paesaggio è stupendo, a
tratti surreale e allo stesso tempo agghiacciante. Dal versante austriaco
ammiro una cuspide di roccia, e poco vicino l’obelisco del rifugio, ma quelli
che stupiscono per maestosità sono il monte Capolago e il monte Coglians,
questi giganti di roccia naturali danno un tocco di magia e di potenza
all’ambiente. In lontananza a occidente seguo
la cresta del Volaia che svanisce verso i lontani Peralba e Fleons. Se fossi
un sommo poeta pari a Giuseppe Ungaretti scriverei “mi illumino di Immenso”, ma da
comune mortale scrivo “mi sto congelando”.
Poco dopo il
rifugio, ben oltre il confine inizia il suo corso il sentiero 438, parzialmente
coperto da neve, esso risale la dorsale che porta al RauchKofel, la neve nel
primo tratto non è compatta, scorgo delle orme umane e le seguo, e con
attenzione, tra zolle d’erba e roccette, raggiungo la cresta.
Stavolta la
neve è compatta, è giunto il momento di indossare i ramponi. Nel frattempo,
osservo Magritte felicissimo di giocare con la neve, lo osservo e mi riempio
l’animo della sua briosità; è proprio vero, i cani chiedono poco donando tanto. Il camminare
sulla neve ha i suoi vantaggi, ed essendo il sentiero ricoperto, mi invento una
direzione che spesso coincide con quella originale, questo procedere mi dà una sensazione di libertà. So bene
che la meta è lassù e mi attende, riesco a intravedere la cresta e la croce di
vetta, nel frattempo cavalco le dune di neve.
Nell’immensità
del bianco della valle, io e Magritte siamo due puntini uno rosso e l’altro,
quello più piccolo, nero. Vaghiamo, ed è meraviglioso, giocare con il morbido
candore luccicante. Presto siamo sotto la cresta, solo le ultime centinaia di
metri per attraversare il catino
innevato. Zizzaghiamo per guadagnare con
meno fatica la quota, intervallandolo con qualche traverso adrenalinico. Il
pericolo oggettivo è dominato dall’attrazione fatale esercitata dalla cima.
Raggiunta la cresta seguiamo il suo filo, nel ruolo che più adoriamo, quello
di “funamboli delle creste”, fermandoci spesso a mirare
il versante settentrionale, sempre più ripido e totalmente coperto di neve. Gli
ultimi metri che ci separano dalla vetta sono ripidissimi, un cavo mi è di
aiuto, e finalmente raggiungiamo il vertice.
Sono
emozionato, più che dalla conquista dallo spettacolo che mi offrono le cime
circostanti, sicuramente tra le più sublimi del Friuli. Presiedo un pulpito
straordinario da dove posso ammirare le Chianevate e il Coglians, che da soli come
visione mi gratificano per tutta la fatica fin qui affrontata. E il resto del
paesaggio? Sublime, eccezionale, che spazia all’infinito e lo sguardo tocca miriadi
di catene montuose. Mi appresto a firmare il libro di vetta, c’è anche un
timbro, in modo malagevole accidentalmente faccio cadere il tampone
d’inchiostro, che rovina paurosamente sull’orlo del ripido e contemporaneamente
dal mio libretto, dove apporto i timbri, scivola via e svolazza nell’aria una
foto con me e Magritte, che svanisce nell’abisso. Penso: <<Non sarà un
cattivo presagio? >> Magritte che ha seguito la scena, ha un’espressione
terrorizzata, nasconde la zampetta anteriore destra tra quelle posteriori,
facendo un leggero movimento, mentre l’altra zampetta, quella anteriore, è rigidamente
saldata alla base metallica della croce. Anche questo suo agire mi è parso strano, non lo facevo scaramantico.
Coraggiosamente mi calo a recuperare il tampone e trovo anche la penna, li
rimetto dentro il contenitore. Distraendo la mente con pensieri gioiosi mi
distraggo dal cattivo presagio, e dopo la breve pausa contemplativa mi appresto
al ritorno. Seguendo le orme a ritroso raggiungo in basso la sella, dando anche
un’occhiata all’ora, ho ancora tempo per permanere il loco. In contemporanea
noto un monte non lontano, studio la mappa che ho al seguito e ne scopro il
nome, è il Monte MaderKopf. Armati di
nuove energie, io e il mio prode amico,
seguiamo una direzione immaginaria ci dirigiamo a occidente fino a
raggiungere il catino innevato, ne percorriamo la circonferenza sul margine
alto guadagnando la cresta, che con dolce pendenza conduce in cima. Il vertice
è materializzato da due tondini in metallo color rosso, legati a croce; un
tempo era una postazione militare adibita all’osservazione, oggi rimangono solo
i ruderi del manufatto. La cima è un
ottimo punto di vista sul Volaia e le
altre grandi elevazioni citate in
precedenza. Sono soddisfatto, ora si rientra definitivamente al campo base.
Rinvio la consumazione del pasto, si è fatto tardi, do un’occhiata alla mappa,
e spero di trovare un sentiero più breve per il ritorno; purtroppo, erroneamente
ne seguo uno che mi allontana dall’obbiettivo prefissato, facendomi perdere
metri di quota e tanto tempo.
Improvvisando una diagonale riguadagno quota, tagliando tra le dune di neve,
fino a riconquistare la china del pendio che sovrasta il rifugio Woalyersee H.
Sono quasi
arrivato al passo di Volaia, se non fosse che uno dei ramponi fa i capricci;
con il un terreno misto a neve e ghiaccio, un tratto di cammino l’ho percorro
con uno indossato e l’altro in mano, evitando di scivolare sulla neve
ghiacciata che mi sarebbe fatale. Raggiunto il lago, lo percorro ai margini,
raggiungendo velocemente il passo e successivamente il rifugio
Lambertenghi-Romanin. Nel frattempo, il cielo si è tinto di rosso, presto il
sole si celerà dietro i monti. Velocemente faccio desinare Magritte, io prendo
solo una banana. Riposti i ramponi nello zaino, dallo stesso estraggo la torcia
frontale che ben presto mi sarà utile. Per la discesa seguo la carrareccia, più
sicura anche se lunga. Dopo una mezzoretta accendo la torcia, e mentre cammino dolcemente sopraggiunge la
notte che accende nella volta nera le
stelle. Camminando al buio si amplificano le emozioni, da lontano scorgo le luci di Collina. La
montagna immersa nell’oscurità ha il suo fascino, stimolando i sensi di
fantasie e sogni che di giorno paiono banali . Assorto dall’ammirare le stelle che
sbucano tra le sagome dei Larici, con passo flemmatico, assieme all’amico, raggiungiamo
Collina e di seguito l’auto. Spengo la torcia, e nel buio totale scruto in alto
individuando il Coglians illuminato solo dalle stelle. Stanco, anzi, stanchi e
soddisfatti si rientra con prudenza in pianura, felici e soddisfatti della
bellissima giornata passata a nord di sua Maestà il Coglians.
Nessun commento:
Posta un commento