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martedì 13 dicembre 2022

All’ombra della Grauzaria.

 

All’ombra della Grauzaria.

Astinenza da cima? Sì! Da tempo mi mancava stare sul punto più alto, quasi pensavo di andare sul tetto di casa per respirare quell’essenza, quella magnificenza, di non avere per un attimo nulla al di sopra dei capelli. Avevo in mente altri itinerari, ho studiato diverse mappe il venerdì sera, tutto era pronto, ma all’improvviso ho cambiato idea e itinerario. Mi è venuto in mente il  monte Cimadors, aggiorno i dati e preparo la mappa, tutto pronto, l’indomani si parte.

Giunge il sabato mattino, scruto il cielo, è leggermente velato. Bene! Sarà una bella escursione. Si parte in compagnia del fido Magritte. Da Lestans in poco tempo mi ritrovo sulla statale Pontebbana, percorsa sin dal mattino dalla laboriosa gente del Friuli. In vista del monte Pisimoni, svolto per Moggio Udinese e successivamente seguo le indicazioni per la Val Apua. Mi addentro nel vallone fino alla diramazione che mi indica la frazione di Grauzaria. Sempre in auto continuo a seguire le indicazioni, stavolta per  Monticello. Prima del ponticello, posteggio sulla destra (quota 525) e mi appronto.

 Zaino in spalle e Magritte al seguito, si parte.

Davanti ho il torrente del Forchia, sull’altra sponda del torrente scorgo un sentiero, dopo una rapida lettura alla mappa  lo guado, seguendo i radi ometti e risalendo la pesta (segnavia CAI 418). La vecchia mulattiera ascende la pineta, fino a raggiungere una rotabile asfaltata, che dopo una serie di tornanti mi porta al primo borgo “Badiuz” posto a quota 838 m. La carrareccia ora assume un aspetto rurale, risale a meridione il versante boschivo, alberata sui due lati da vetusti faggi. Camminando avviene un trapasso, dal presente mi ritrovo nel passato, entrando in un sogno. Sulla destra scorgo un piccolo trattore rosso con rimorchio, per un attimo ho la sensazione che sia un giocattolo, il mio giocattolo con cui ho tanto giocato. Sento l’odore della plastica di un gioco appena comprato, e io, da piccino, simulando il rumore del motore, lo spingo sulla nuda terra. È una strana sensazione, sono indietro nel tempo e in un altro luogo. l’emozione mi ha rapito, piango per la felicità,  volgo un ultimo sguardo al mio giocattolo e continuo a risalire la remota strada.

Supero dei vecchi stavoli, giungendo nella località Borgo di Mezzo, ruderi con tanta storia vissuta, ma il borgo non muore grazie all’operosità dei discendenti dei vallegiani.  Mi fermo davanti ad una fonte con incisa la data in caratteri latini “MCMXI” e una stella. Tutto intorno case in costruzione, un omino incontrato poco prima, sulla strada (risaliva in auto) mi chiede dove vado. <<Cimadors, sperando di non incontrare neve.>> Mi risponde: << Alcuni escursionisti sono andati su la settimana prima, la neve era abbastanza alta.>> La conversazione procede, per alcuni minuti, in cui viene fuori il nostro entusiasmo per la montagna. L’amico mi propone di prendere un caffè al mio ritorno, acconsento all’invito. Ci salutiamo, proseguo per il sentiero 418 A che parte dal piccolo borgo. Camminando rivivo la conversazione precedente: l’amico sconosciuto somaticamente mi somiglia, brizzolato, occhi azzurri, barbetta, un altro normanno sulla mia strada. Nel suo sguardo la fiamma sincera dell’amicizia. Dare ospitalità a un viandante nella propria abitazione  non è poco.  Risalgo la vecchia mulattiera superando l’erto pendio erboso, fino a sfiorare il bordo del precipizio che si aggetta sulla valle. Il sentiero ora si apre sul ripido fianco del Cimadors, esile ed esposto in alcuni punti. Una non desiderata sorpresa mi attende, la conca prativa che ho raggiunto è coperta da un metro di neve. Indosso le ghette, rimpiangendo le ciaspole che ho lasciato in auto. Il sentiero, sempre ben segnato, prosegue nella vegetazione (che a mano a mano si fa più rada) fino a sbucare in un’ampia distesa. Sono al centro di uno spettacolare manto di neve e alla mia destra intravedo la meta, il Cimadors.

 In fondo a meridione la piccola casera del Cimadors, che dal piccolo rilievo domina la valle. Sarebbe lunghissimo descrivere le emozioni che provo, la sola visione dell’ambiente innevato vale la fatica che ho affrontato. L’incedere è problematico, ogni quattro passi affondo di uno, sarebbe più facile nuotare in questo infinito oceano bianco. Magritte è felicissimo, lo immortalo nelle sue piroette con una lunga sequenza fotografica.

 Tutto è incantevole, non ho parole ma solo gioia, che il battito del mio cuore manifesta.

Raggiunta la piccola casera, effettuo la prima sosta. Di una veterana stalla rimangono solo le pareti di sassi, e una piccola fontana esterna. Apro la porta e trovo sul tavolo il libro delle firme.  Apporto la mia e quella di Magritte, con l’indicazione che saliamo in cima. Lascio lo zaino al piano disopra, dove sono riposti dei materassi. Porto al seguito solo la piccola sacca gialla, con la picca, ramponi e un pile. Continuo per la cima, dietro la casera, a settentrione, diparte il sentiero, scorgo sugli alberi i segni biancorossi del CAI. Il manto nevoso si mantiene sempre alto, spesso affondo fino alla cintola, sono stanco ma non mollo.  A fatica ci ritroviamo presso la sella che si aggetta sulla valle a occidente. Splendida la visione sulla Grauzaria, sono estasiato, è bellissima, resistendo all’ipnotico fascino proseguo l’escursione, seguendo i segni sugli alberi. Risalgo sempre  l’innevato crinale del monte fin sotto la cresta. Dopo una serie di tornanti sbuco su un traverso sgombro di vegetazione, ma infido per l’esposizione a meridione. Lo attraverso con cautela, in fondo ad esso e in alto scorgo la cresta, in alcuni punti affondo fino al ventre, resisto, disegnando dei tornanti sul manto nevoso per raggiungere delle roccette poste sulla linea di cresta. Effettuo una breve sosta per rifiatare e riflettere, osservo dall’alto, davanti a me l’esile crestina innevata che mi porta alla cima. La percorro al centro, attimi di piacere, piano piano conquisto l’ante-cima materializzata da una piccola croce che emerge dalla neve. La vetta  fisica è posta poco più avanti. Scatto foto a raffica e un autoscatto, e successivamente mi porto sul punto più alto. Sogno a occhi aperti. Con un solo colpo d’occhio racchiudo assieme la Grauzaria e Il Sernio. Le loro pareti dirupate incutono tanto timore, mi rendo conto che sto camminando sopra un morbido manto che in realtà ricopre un oceano di mughi. Procedo con cautela, il momento è solenne è merita una riflessione: <<Nel vivere quotidiano si soffre e si fatica tantissimo e  solo per bramare pochi istanti di autentica felicità,.>> Questa è la meditazione del momento. Con l’andare da solo amplifico il rischio e il pericolo, ma anche la gioia e l’autostima. Ripresomi dall’emozione, mi ricordo dell’altra vita, quella quotidiana, che mi aspetta laggiù, a valle. Rientro con passo lento, lemme lemme,  percependo il doloroso distacco dalla cima. Ripercorro i punti più delicati con calma, e alla casera recupero lo zaino. Scaricata l’adrenalina, la fame si manifesta all’improvviso; io e Magritte banchettiamo, osservando il bianco paesaggio, e qualche solitario albero. Dopo aver rassicurato sul libro delle firme che siamo rientrati vivi e vegeti, rientriamo per sentiero di andata. Raggiunto il Borgo di Mezzo, davanti l’abitazione dove prima avevo lasciato l’omino sconosciuto, scorgo un’anziana signora (la madre), intenta a lavorare nell’orto, la saluto, raccomandandomi di salutare il suo figliolo. Risponde al saluto, chiedendomi da dove venivo, e saputa la meta raggiunta si complimentava, indicandomi che il figlio era giù a valle a tagliare legna.  Con un sorriso mi congedo dall’anziana friulana, e se avessi avuto tempo le avrei posto mille domande sul passato del borgo. In basso scorgo l’amico sconosciuto a giocare con il trattore rosso. Lo saluto, mi nota e risponde, spegnendo il mezzo e di seguito raggiugendomi. Si presenta Walter”, mi invita di nuovo a prendere un caffè. Lo ringrazio di cuore, ma devo rifiutare il cortese gesto, scambiamo due chiacchiere e i rispettivi indirizzi mail. Una forte stretta di mano sancisce la nuova amicizia, tra il viandante venuto da lontano e il vallegiano dal cuore gentile. Un gesto nobile come i Cavalieri di una volta, che incontrandosi e salutandosi reciprocamente si cedevano il passo, rispettosi del codice cavalleresco. Gli spiriti liberi per fortuna sanno riconoscersi nella  moltitudine. Rientro alla frazione fissando la mole della Grauzaria, e di tanto in tanto gridando: <<Ma quanto sei bella, sei bellissima!>> Sfrontato e indifferente anche alle orecchie curiose che avessero ascoltato il mio folle grido d’amore. Oggi la montagna è stata generosa con il viandante, si è donata in tutta la sua regalità, insegnandogli che si trova più umanità in un piccolo borgo che in una grande città.

Malfa.

 






























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