All’ombra della Grauzaria.
Astinenza da
cima? Sì! Da tempo mi mancava stare sul punto più alto, quasi pensavo di andare
sul tetto di casa per respirare quell’essenza, quella magnificenza, di non
avere per un attimo nulla al di sopra dei capelli. Avevo in mente altri
itinerari, ho studiato diverse mappe il venerdì sera, tutto era pronto, ma
all’improvviso ho cambiato idea e itinerario. Mi è venuto in mente il monte Cimadors, aggiorno i dati e preparo la
mappa, tutto pronto, l’indomani si parte.
Giunge il
sabato mattino, scruto il cielo, è leggermente velato. Bene! Sarà una bella
escursione. Si parte in compagnia del fido Magritte. Da Lestans in poco tempo
mi ritrovo sulla statale Pontebbana, percorsa sin dal mattino dalla laboriosa gente
del Friuli. In vista del monte Pisimoni, svolto per Moggio Udinese e
successivamente seguo le indicazioni per la Val Apua. Mi addentro nel vallone
fino alla diramazione che mi indica la frazione di Grauzaria. Sempre in auto
continuo a seguire le indicazioni, stavolta per Monticello. Prima del ponticello, posteggio
sulla destra (quota 525) e mi appronto.
Zaino in spalle e Magritte al seguito, si
parte.
Davanti ho il
torrente del Forchia, sull’altra sponda del torrente scorgo un sentiero, dopo
una rapida lettura alla mappa lo guado,
seguendo i radi ometti e risalendo la pesta (segnavia CAI 418). La vecchia
mulattiera ascende la pineta, fino a raggiungere una rotabile asfaltata, che
dopo una serie di tornanti mi porta al primo borgo “Badiuz” posto a quota 838
m. La carrareccia ora assume un aspetto rurale, risale a meridione il versante
boschivo, alberata sui due lati da vetusti faggi. Camminando avviene un
trapasso, dal presente mi ritrovo nel passato, entrando in un sogno. Sulla
destra scorgo un piccolo trattore rosso con rimorchio, per un attimo ho la
sensazione che sia un giocattolo, il mio giocattolo con cui ho tanto giocato. Sento
l’odore della plastica di un gioco appena comprato, e io, da piccino, simulando
il rumore del motore, lo spingo sulla nuda terra. È una strana sensazione, sono
indietro nel tempo e in un altro luogo. l’emozione mi ha rapito, piango per la
felicità, volgo un ultimo sguardo al mio
giocattolo e continuo a risalire la remota strada.
Supero dei
vecchi stavoli, giungendo nella località Borgo di Mezzo, ruderi con tanta
storia vissuta, ma il borgo non muore grazie all’operosità dei discendenti dei
vallegiani. Mi fermo davanti ad una
fonte con incisa la data in caratteri latini “MCMXI” e una stella. Tutto
intorno case in costruzione, un omino incontrato poco prima, sulla strada
(risaliva in auto) mi chiede dove vado. <<Cimadors, sperando di non
incontrare neve.>> Mi risponde: << Alcuni escursionisti sono andati
su la settimana prima, la neve era abbastanza alta.>> La conversazione
procede, per alcuni minuti, in cui viene fuori il nostro entusiasmo per la
montagna. L’amico mi propone di prendere un caffè al mio ritorno, acconsento
all’invito. Ci salutiamo, proseguo per il sentiero 418 A che parte dal piccolo
borgo. Camminando rivivo la conversazione precedente: l’amico sconosciuto
somaticamente mi somiglia, brizzolato, occhi azzurri, barbetta, un altro
normanno sulla mia strada. Nel suo sguardo la fiamma sincera dell’amicizia. Dare
ospitalità a un viandante nella propria abitazione non è poco.
Risalgo la vecchia mulattiera superando l’erto pendio erboso, fino a
sfiorare il bordo del precipizio che si aggetta sulla valle. Il sentiero ora si
apre sul ripido fianco del Cimadors, esile ed esposto in alcuni punti. Una non
desiderata sorpresa mi attende, la conca prativa che ho raggiunto è coperta da
un metro di neve. Indosso le ghette, rimpiangendo le ciaspole che ho lasciato
in auto. Il sentiero, sempre ben segnato, prosegue nella vegetazione (che a
mano a mano si fa più rada) fino a sbucare in un’ampia distesa. Sono al centro
di uno spettacolare manto di neve e alla mia destra intravedo la meta, il
Cimadors.
In fondo a meridione la piccola casera del
Cimadors, che dal piccolo rilievo domina la valle. Sarebbe lunghissimo
descrivere le emozioni che provo, la sola visione dell’ambiente innevato vale la
fatica che ho affrontato. L’incedere è problematico, ogni quattro passi affondo
di uno, sarebbe più facile nuotare in questo infinito oceano bianco. Magritte è
felicissimo, lo immortalo nelle sue piroette con una lunga sequenza
fotografica.
Tutto è incantevole, non ho parole ma solo
gioia, che il battito del mio cuore manifesta.
Raggiunta la
piccola casera, effettuo la prima sosta. Di una veterana stalla rimangono solo
le pareti di sassi, e una piccola fontana esterna. Apro la porta e trovo sul
tavolo il libro delle firme. Apporto la
mia e quella di Magritte, con l’indicazione che saliamo in cima. Lascio lo
zaino al piano disopra, dove sono riposti dei materassi. Porto al seguito solo
la piccola sacca gialla, con la picca, ramponi e un pile. Continuo per la cima,
dietro la casera, a settentrione, diparte il sentiero, scorgo sugli alberi i
segni biancorossi del CAI. Il manto nevoso si mantiene sempre alto, spesso
affondo fino alla cintola, sono stanco ma non mollo. A fatica ci ritroviamo presso la sella che si
aggetta sulla valle a occidente. Splendida la visione sulla Grauzaria, sono
estasiato, è bellissima, resistendo all’ipnotico fascino proseguo l’escursione,
seguendo i segni sugli alberi. Risalgo sempre
l’innevato crinale del monte fin sotto la cresta. Dopo una serie di
tornanti sbuco su un traverso sgombro di vegetazione, ma infido per l’esposizione
a meridione. Lo attraverso con cautela, in fondo ad esso e in alto scorgo la
cresta, in alcuni punti affondo fino al ventre, resisto, disegnando dei tornanti
sul manto nevoso per raggiungere delle roccette poste sulla linea di cresta. Effettuo
una breve sosta per rifiatare e riflettere, osservo dall’alto, davanti a me
l’esile crestina innevata che mi porta alla cima. La percorro al centro, attimi
di piacere, piano piano conquisto l’ante-cima materializzata da una piccola
croce che emerge dalla neve. La vetta fisica è posta poco più avanti. Scatto foto a
raffica e un autoscatto, e successivamente mi porto sul punto più alto. Sogno a
occhi aperti. Con un solo colpo d’occhio racchiudo assieme la Grauzaria e Il
Sernio. Le loro pareti dirupate incutono tanto timore, mi rendo conto che sto
camminando sopra un morbido manto che in realtà ricopre un oceano di mughi. Procedo
con cautela, il momento è solenne è merita una riflessione: <<Nel vivere
quotidiano si soffre e si fatica tantissimo e
solo per bramare pochi istanti di autentica felicità,.>> Questa è
la meditazione del momento. Con l’andare da solo amplifico il rischio e il
pericolo, ma anche la gioia e l’autostima. Ripresomi dall’emozione, mi ricordo dell’altra
vita, quella quotidiana, che mi aspetta laggiù, a valle. Rientro con passo lento,
lemme lemme, percependo il doloroso
distacco dalla cima. Ripercorro i punti più delicati con calma, e alla casera
recupero lo zaino. Scaricata l’adrenalina, la fame si manifesta all’improvviso;
io e Magritte banchettiamo, osservando il bianco paesaggio, e qualche solitario
albero. Dopo aver rassicurato sul libro delle firme che siamo rientrati vivi e
vegeti, rientriamo per sentiero di andata. Raggiunto il Borgo di Mezzo, davanti
l’abitazione dove prima avevo lasciato l’omino sconosciuto, scorgo un’anziana
signora (la madre), intenta a lavorare nell’orto, la saluto, raccomandandomi di
salutare il suo figliolo. Risponde al saluto, chiedendomi da dove venivo, e
saputa la meta raggiunta si complimentava, indicandomi che il figlio era giù a
valle a tagliare legna. Con un sorriso mi
congedo dall’anziana friulana, e se avessi avuto tempo le avrei posto mille
domande sul passato del borgo. In basso scorgo l’amico sconosciuto a giocare
con il trattore rosso. Lo saluto, mi nota e risponde, spegnendo il mezzo e di seguito
raggiugendomi. Si presenta Walter”, mi invita di nuovo a prendere un caffè. Lo
ringrazio di cuore, ma devo rifiutare il cortese gesto, scambiamo due
chiacchiere e i rispettivi indirizzi mail. Una forte stretta di mano sancisce
la nuova amicizia, tra il viandante venuto da lontano e il vallegiano dal cuore
gentile. Un gesto nobile come i Cavalieri di una volta, che incontrandosi e salutandosi
reciprocamente si cedevano il passo, rispettosi del codice cavalleresco. Gli
spiriti liberi per fortuna sanno riconoscersi nella moltitudine. Rientro alla frazione fissando la
mole della Grauzaria, e di tanto in tanto gridando: <<Ma quanto sei
bella, sei bellissima!>> Sfrontato e indifferente anche alle orecchie
curiose che avessero ascoltato il mio folle grido d’amore. Oggi la montagna è
stata generosa con il viandante, si è donata in tutta la sua regalità,
insegnandogli che si trova più umanità in un piccolo borgo che in una grande
città.
Malfa.
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