Monte Crepa, la montagna che non ti aspetti.
Mentre in quasi tutto il Friuli orientale nevica e i sentieri
si imbiancano, ne approfitto per vagabondare nella Val Tramontina, che tante
delizie mi ha riservato negli ultimi anni. Il mio non è un attaccamento
particolare alla valle, è semplicemente il riscoprire luoghi che per più di un
decennio ho snobbato, cercando fughe in luoghi lontani.
Questa escursione è un ritorno all’uovo, alle origini, alla
riscoperta del tempo perduto. Chi ama una persona, un luogo, un’idea, nel suo
cuore vorrebbe riviverne tutti i momenti salienti, sia del passato e del
presente, e con questo spirito mi
approccio e nutro sentimenti, quando
visito i remoti stavoli e percorro i troi (sentieri), autentiche testimonianze per
il viandante, solitario indagatore del misterioso
animo umano. Così, il mattino di una fresca giornata di dicembre, mi ritrovo a
Tramonti di Sopra, intrepido a viaggiare tra le nebbie che avvolgono l’intera Valle.
Passo sotto la chiesetta e il cimitero del borgo, percorro la strada forestale
seguendo le indicazioni per Pradis. Avvolto dalla bruma, dopo una serie di
tornanti, raggiungo il piccolo borgo di Pradis, una sbarra mi consiglia di
lasciare l’auto e proseguire il viaggio a piedi. Sosto l’automezzo, e mentre mi
preparo per l’avventura, vedo apparire e sparire un veterano da dietro una
catasta di legna, gesticolo per attirare la sua attenzione, ma è svanito.
Una volta pronto mi avvicino alle abitazioni, noto i camini
fumanti e la nebbia sempre più avvolgente che crea quell’atmosfera particolare,
e l’odore della legna bruciata
m’inebria. L’omino stavolta viene fuori, sicuramente incuriosito dal viandante
con il cagnolino al seguito (Magritte). Chiedo conferma dell’itinerario che sto
per intraprendere, egli con sorriso benevolo mi dà le indicazioni sull’itinerario.
Sono sulla strada giusta e i tempi rispecchiano quelli che ho previsto, garbatamente
lo saluto e parto per l’avventura.
Come meta ho scelto il Col di Luna, montagna selvaggia. Devo
percorrere la lunga forestale e poi dopo un tornante, all’incirca a quota 800
metri, uscire e percorrere in libertà il lungo crinale che mi porta in cima. Sulla
carta, pardon sulla mappa ci siamo, e ora passiamo ai fatti.
Un cartello CAI precede la sbarra e la lunga carrareccia che
mi farà compagnia per un lunghissimo tratto.
Dopo i primi tornanti passo accanto ad uno stavolo abitato, il curioso cane
di guardia (un pastore tedesco) avvisa gli abitanti della mia presenza, mi
fermo a conversare un attimo con uno di loro che è venuto fuori dall’abitazione,
dopo di ché procedo, e da questo momento e per tutta l’escursione non
incontrerò più esseri umani.
Il tragitto iniziale è
noiosissimo, mi distraggo pensando ad altro, finché raggiungo la quota che
avevo stabilito per uscire sul sentiero. Non vedo né segni e né tracce, decido
di proseguire rientrando sulla carrareccia, sperando di essere più fortunato.
Raggiunta la fine della carreggiabile, mi aspetta il nulla,
indietreggio, pochi metri prima mi par di avere scorto qualcosa, proprio sull’ultimo
tornante ed è una traccia di sentiero.
Seguo la pesta, mirando al costone in
alto, ma dopo una serie di scivolate su erba, desisto. In alto mi aspettano
solo ghiaccio misto a fogliame secco, e la nebbia che avvolge la ripida faggeta
si fa con lo scorrere del tempo sempre più fitta.
Raggiunta con qualche patema la carrareccia mi avvio mesto per
il rientro, una sorta di ritirata, e con la coda in mezzo alle gambe.
Mentre penso ai discorsi auto commiserevoli che di solito si
fanno in questi frangenti, un’idea m’ illumina la mente e penso: <<Visto
che devo ripassare dal cartello che indica la forcella Spessa, se raggiungo
l’appena citata, dalla sconfitta, potrei passare ad una mezza vittoria. >>
Così, spinto da un nuovo entusiasmo, inizio una nuova storia
grazie a un piano “B” non preventivato.
<<È noto che l’appetito viene mangiando!>> penso! Mentre
continuo a macinare i primi metri del
sentiero, rifletto che:<< Dalla forcella, volendo, potrei tentare la
vetta più alta della cresta, ossia, il
Monte Crepa.>>
Ecco, in pochi minuti sono passato dallo sconforto
all’entusiasmo, per fortuna che è già meriggio, se no chissà cosa avrei ideato di
fare.
Il sentiero numerato 396 inizia dalla carrareccia per un
breve tratto malagevole, la scarsa cura
del sentiero si protrae fino alla sella, dopo esso è ben segnato, ma le foglie della
faggeta coprono gran parte del tracciato, in molti frangenti è difficile anche mantenersi
in equilibrio, rischiando spesso di scivolare.
Raggiunta
la forcella, il cuore sussulta di emozioni per quello che sto assistendo: dalle
bianche nuvole sbucano le vette, come le isole in un arcipelago. Questa
meravigliosa visione da sola sarebbe più che appagante, ma sento la cima
prossima ed essa mi chiama. Alla mia destra noto una traccia di camoscio, la
seguo senza remore, percorrendo la selvatica pista per cresta, quest’ultima in
alcuni tratti si fa esile come una lama di coltello, per poi aprirsi in comode
balze erbose.
Percorro
il crinale ben cosciente che raggiunta un’elevazione me ne aspetta ancora un’altra,
finché, un ometto corposo e solitario mette fine alla mia bramosa ricerca. Missione
compiuta, ho raggiunto la quota più alta del monte Crepa (1177 m.).
Dal
pulito panoramico a settentrione la visuale è ostruita dai faggi, mentre a
meridione il ripido prato si aggetta sulla val Tramontina e la visuale è libera
da ostacoli.
Mi libero
dal peso dello zaino e mi adagio sulla morbida erba per ammirare l’infinito.
L’azzurro cielo e il caldo sole riempiono e scaldano il cuore. Con l’amico a
quattro zampe ci dedichiamo al ludico nutrimento, mentre l’animo si sfama con
la magnifica visione. Anche se il tempo notoriamente avaro corre velocemente
simile all’emerodromo Filippide, posso dedicarmi alla meditazione. Rifletto
mentre penso che l’avere osato mi abbia ricompensato, e dedico uno sguardo alla
vicina cima del Col della Luna, oggi era sestino che non l’avrei raggiunta.
Uno sguardo all’orologio mi da l’ora e mi consiglia di
riprendere il cammino, stavolta per rientrare al borgo di Pradis. Ripercorro la
crestina a ritroso, con qualche involontaria scivolata sulle foglie, sicuramente
dovuto anche alla stanchezza accumulata. Altre scivolate mi attendono nel bosco
fino al raggiungimento della strada forestale, ne ho contate almeno dieci, e senza
danni per fortuna.
Raggiunto il borgo dove ho lasciato l’auto, volgo un ultimo
sguardo alla cima Crepa (l’odierno magico regalo della montagna), nel frattempo
la nebbia comincia a levarsi. Prima di lasciare Tramonti di Sopra passo dal
luogo dove riposa il mio maestro, il tempo necessario di lasciare un sasso
raccolto sulla cima: <<Ciao Vittorio, sei un grande!>> Esclamo. Dal luogo dell’Eterno Riposo mi guardo
intorno, da dove si possono ammirare quasi tutte le cime della Val di Tramontina,
anche l’ultima che ho appena visitata: <<Caro Maestro, come ti comprendo,
sei sempre sorridente, con i tuoi occhi azzurri luminosi come questo cielo, riposa
tra i tuoi monti, appunto “Tramonti”, ciao Vittorio!>> Così pensando, mi
congedo dal camposanto, con una forte l’emozione che avendo il sopravvento, mi
fa venire un nodo in gola. Con un passo lento, beato dalle tante emozioni, mi
avvio all’auto, metto in moto e a velocità moderata mi avvio, lasciando la valle e le sue cime, e
la sua gente ospitale...
Malfa.
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