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lunedì 12 dicembre 2022

La magia delle Crode dei Longerin

La magia delle Crode dei Longerin



Da cosa nasce cosa! Detto famoso e veritiero, quindi, da escursione nasce escursione, e così è stato per quest’ultima fatica. Nella precedente escursione avevo percorso il versante settentrionale dei torrioni dei Longerin, e ne rimasi incantato, sentii il loro richiamo e mi è stato impossibile resistere. Approfittando del bel tempo e della festività infrasettimanale, ho deciso di ritornare sul luogo. Martedì mattina sono pronto come sempre per una nuova avventura, e  in compagnia del mio caro e fedele amico(Magritte). La partenza rispetto al solito è anticipata per via della distanza della meta. Giungo nella vallata di Sappada che è ancora notte, i cannoni sparaneve sono in azione e nel cielo stellato fa capolino uno spicchio di Luna. Il borgo, illuminato dalle luci natalizie ha un’atmosfera da sogno, soave e ipnotica. Arrivo nella località di San Pietro di Cadore e seguo la segnaletica per il borgo di Valle. Mi fermo un attimo ad ammirare l’aurora che accarezza i monti. Riprendo il cammino in auto risalendo la ripida strada forestale asfaltata, stretta ed esposta a oriente. Superando numerosi e caratteristici stavoli giungo in uno spiazzo poco sotto il rifugio della Forcella di Zovo. Parcheggio l’auto, mi appronto, zaino in spalle si parte (direzione nord)!

Pochi metri dopo un cartello CAI mi invita a seguire la carrareccia a settentrione, poco dopo la rotabile si biforca: quella a sinistra scende fino al borgo di Costalta, quella a destra aggirando il rifugio della forcella scende fino alla valle di Visdende.

Un cospicuo numero di cartelli CAI è posto nella forcella di Zovo (quota 1608 m.). Seguo le indicazioni per Val Vissana. Il sentiero numerato 169, partendo dalla strada forestale si inoltra nel bosco di conifere, per poi uscire allo scoperto assumendo il caratteristico aspetto di una mulattiera di guerra scavata nella roccia. Il percorso, aggirando l’esposto versante meridionale del Monte San Daniele, domina l’affascinate Val Visdende. Il  magnifico ambiente è dominato dal monte Rinaldo, dalle creste del Palombino, e dalla lontana e inconfondibile mole del monte Peralba.

Sono estasiato da cotanta meraviglia, il cielo terso e la temperatura mite contribuiscono a questa mia felicità. Continuo per il sentiero imbiancato dalla soffice neve, risalendo il ripido versante meridionale della Val Vissada, fino all’imbocco dei Piani Omonimi. Supero un cancello in legno che metaforicamente rappresenta la porta del paradiso. E che paradiso! Mi avvio per i Piani di Vissada con entusiasmo, immerso in un mare d’erba color giallo-ocra, e in esso mi perdo. Gotiche guglie dolomitiche si scagliano in lontananza nell’azzurro cielo. Cammino lentamente, lo sguardo è fisso sui torrioni, passo dopo passo, con l’avvinarmi si allarga l’orizzonte dolomitico. L’emozione è indescrivibile, la vita è meravigliosa quando ti dona queste emozioni. Al centro del catino erboso è posta una baita solitaria, tanto surreale per la posizione, e ben  mimetizzata con il contesto paesaggistico.

Il sentiero CAI 169 risalendo il piano erboso del catino si porta sulla morbida cresta settentrionale, solcata da una miriade di trincee della Grande Guerra. Sopra la cresta è un crocevia di sentieri CAI: il 196 cavalca la cresta ad oriente raggiungendo la cima del monte Schiaron, prenderò questo sentiero al ritorno dalla Croda del Longerin.

Percorrendo per sentiero l’erbosa cresta mi spingo a occidente, raggiungendo la forcella dei Longerin. Il sentiero nominato 169 scende a settentrione, tagliando il versante settentrionale dei Torrioni dei Longerin, raggiugendo la forcella del Palombino. La mia meta è a occidente, percorro il sentiero numero 165 e risalgo il ripido pendio, addentrandomi nel teatro dolomitico.

Superati dei grandi massi seguo l’esile traccia che si districa tra radi segni e ometti. Il percorso ora diventa leggermente faticoso, coperto da macchie di neve risale tra balze erbose e roccette, lasciando i punti migliori all’intuito. La cima è lassù, preceduta da uno spesso manto di neve. Nell’addentrarmi sotto le cuspidi rocciose sono rapito dalla bellezza delle rocce. Mi fermo incantato, ammirando i torrioni e le crode, sono letteralmente incantato come se fossi l’eroe omerico “Odisseo”  rapito dal canto delle sirene.

Osservo le cuspidi rocciose che mi appaiono come tante cariatidi dal corpo nudo, protese verso il cielo; capricciose, sorridenti, incuriosite dal viandante solitario. Vorrebbero incuriosirmi, la più alta è la più cattivella, nascosta tra le altre mal si concede allo sguardo, e non ama i solitari. La Dea, la meta da raggiungere, la sbircio di spalle, anch’essa si nasconde, ma dietro un mantello di neve per poi di seguito svelarsi. Raggiunto il tratto sommitale sotto la cresta, mi appresto a realizzare il sogno. Lascio lo zaino in una zona sicura, in modo di affrontare la salita con più sicurezza,  e accanto a d esso lascio anche Magritte, sicuro di ritrovarlo al rientro. Armatomi di ramponi e piccozza e con al seguito una sacca con l’indispensabile parto per la conquista. Dopo aver superato un tratto ripido, sotto la cresta imbocco una cengia aerea, che da ovest si spinge ad est lungo un traverso coperto di neve e molto esposto. In un breve passaggio la neve è così dura che ho problemi con gli stessi ramponi. Sono costretto ad avanzare con cautela piantando la piccozza in profondità per farmi sicurezza. Superato l’adrenalinico tratto mi ritrovo a risalire un ripido articolato che mi porta alla stretta forcella e da quest’ultima sul versante meridionale del monte, una piccola cengia mi porta alla rampa sotto la cima. Una croce di legno materializza la massima elevazione della croda sud, ed emozionato di aver raggiunto la meta, mi godo il momento.
Per via della piccola dimensione della cima, devo improvvisare un cavalletto per l’autoscatto con la reflex. Tra me penso:<< fai di tutto per evitare i rischi e ti suicidi per un banale autoscatto?>>. Azionando l’auto scatto corro a ritroso con i ramponi, fermandomi davanti la croce. Bene! In uno degli scatti mi sono procurato con le punte dei ramponi uno strappo sui pantaloni, la prima toppa da eseguire su quelli invernali! Il paesaggio dalla cima è qualcosa di indescrivibile, la temperatura è mite, gioisco, tutto è superlativo!
Ripresomi dall’emozione mi appresto alla discesa, con cautela, superando il tratto esposto, stavolta senza patemi. Raggiungo Magritte, che nel vedermi sano, salvo e solo con uno strappo ai pantaloni scodinzola felice dalla gioia! Ripresa la discesa decido di espugnare per arricchire la splendida giornata la cima dello Schiaron, posta sul versante opposto. In pochi minuti raggiungo la forcella dei Longerin e ripresa la cresta, la cavalco fino all’attacco con il sentiero 196. La cresta, ora più ampia, è inerbita e solcata da fitta rete di trincee. Il sentiero, abbassandosi poco sotto la cresta, lambisce la parte sommitale di un castello di roccia. Poco prima della bastionata rocciosa lascio lo zaino in un incavo riparato, portando al seguito solo il caro amico a quattro zampe e la sacca con i viveri. Aggiro la mole rocciosa per esile sentierino che sovrasta i ripidi prati, e successivamente, svoltando a sinistra, risalgo le placche rocciose fino a raggiungere un pulpito segnato da due ometti. Alla mia sinistra scorgo sulla nuda roccia un ingannevole segno CAI e una esile cengia esposta, la seguo aggirando la parete a nord, ma qualcosa non mi convince. L’eccessiva esposizione, e un camino dove bisogna scendere con passaggi di primo grado su un esposto baratro. Ritorno indietro con cautela, pensando che nelle relazioni non avevo letto nulla di particolarmente difficile. Dall’alto della cengia noto che oltre i due ometti c’è un varco nella roccia, che prosegue a est. Superati i due ometti trovo l’autentico sentiero, stavolta ben marcato, continua e ben marcato a oriente. La falsa traccia di prima mi ha lasciato un po’ perplesso! Da sotto i bastioni rocciosi scorgo la croce di vetta, seguendo il sentiero risalgo il versante orientale, ovvero il cupolone inerbito. La cima è materializzata da due croci. Una in legno con crocefisso a cui è agganciato un porta vivande in plastica con libro di vetta, l’altra croce più piccola in metallo, ben piantata nella roccia. Poco più avanti, a settentrione, i resti di quello che sicuramente fu un osservatorio militare! Il panorama da questo pulpito è strabiliante, ruoto con lo sguardo a trecentosessanta gradi sulle Alpi Carniche e le Dolomiti. La temperatura si mantiene mite, ne approfitto finalmente per riprendere un po’ di energie consumando il pasto con il mio compagno di viaggio. Magritte è tanto entusiasta del suo pasto, salsicce! Beh! Lo ha meritato l’amico, ubbidiente ed eroico come sempre. Il sole tramonta all’orizzonte, è giunto il triste momento del rientro! Raggiunto lo zaino e riprendo il cammino, tagliando per i prati in modo da guadagnare tempo e non giungere a tarda ora in auto! Nel frattempo, vengo raggiunto da un escursionista solitario(Remo), aveva fatto le crode mentre io salivo sul monte Schiaron. Istauriamo una cordiale conversazione, scambio di idee e di esperienze sulla montagna. Come spesso mi succede, incontro degli adorabili sconosciuti, istaurando un rapporto profondo, che spesso termina con un’amicizia fraterna.

In montagna la tessera di riconoscimento, il codice fiscale, il segno zodiacale, la propria religione, la nazionalità non sono indispensabili, anzi…

Basta solo guardarsi negli occhi e aprirsi in profondità, tutto il resto è superfluo.
Raggiunta la forcella di Zovo, mi congedo dal nuovo amico e per il ritorno decido di rientrare dal versante occidentale, passando dal borgo di Costalta.

La stupenda frazione ha le caratteristiche case in stile rustico, sculture in legno, e ammalia come se vivessi dentro un incantesimo. Un altro sogno da vivere ad occhi aperti che una volta raggiunta l’auto mi ha reso più amaro il risveglio, cioè, il rientro alla vita quotidiana.

Malfa.

 































































 

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