Il magico
trittico del Rondoi, sacra montagna per
chi vive nel pordenonese.
È risaputo
che da escursione nasce escursione, arrivi in cima guardi le altre vette, e
inconsciamente la mente ti proietta su altre nuove mete. Così è avvenuto per il
Cimon dei Furlan (facente parte delle cime del gruppo del Cavallo), cima che
avevo sempre marinato per via della sua minor altezza in confronto alla Cima
Manera. Dalla cima Laste ne avevo osservato il profilo, ne desideravo la
conquista, e il tarlo scavava dentro di me. Così arriva il giorno
dell’escursione, sorseggio un caffè dal terrazzo di casa, dando uno sguardo al
profilo del gruppo montuoso. Il cielo è terso, si profila una bella giornata.
Parto, destinazione Piancavallo, 45 minuti di strada a velocità moderata. Arrivato
al centro sciistico, seguo le indicazioni per il campo sportivo, dove lascio
l’auto. Zaino in spalle e sogni al seguito, si parte. A pochi metri dal
parcheggio (spiazzo sterrato) parte una traccia che tagliando il prato si porta
sul sentiero CAI 924, che proveniente da destra lambisce il fianco orientale
del gruppo del Cavallo. Pochi metri di sentiero ancora e un cartello CAI mi
invita a salire a destra per il sentiero Gerometta e l’alta Via dei Rondoi.
Conosco bene il bel sentiero per averlo percorso in precedenza, con moderata
pendenza esso si inoltra nella faggeta. Il percorso è ben segnato, lo risalgo
sbucando fuori dal bosco (quota 1600 all’incirca) in una aperta radura che
risale con moderata pendenza. Mi fermo un attimo per alleggerirmi dal vestiario
(fa molto caldo). Nel frattempo, vengo superato da una scia di escursionisti,
oggi è domenica e i sentieri sono più affollati del solito. Ripreso il cammino
raggiungo velocemente l’altopiano ai margini della Val Sughet. Un tabernacolo
con crocefisso è piantato al centro del crocevia dei sentieri. Trovo nei pressi
degli escursionisti intenti ad osservare con binocoli la fauna. Procedo per il
sentiero 924 che passando sotto le pendici occidentali del Cimon dei Furlan
risale la valle glaciale. Incantato dalle cime della valle, mi concentro
sull’itinerario, decidendo di proseguire in direzione della forcella del
Cavallo, il sentiero è comodamente percorribile per detriti. La traccia si
spinge fin sotto le ripide pareti del Cavallo, ove si biforca in due direzioni:
a destra sale la via diretta per la cima Manera passando per la forcella che
unisce la Cima dei Furlan al monte Cavallo (tratto attrezzato); a sinistra
prosegue dritto fino alla forcella del Cavallo. Scelgo la seconda direzione,
scegliendo di salire per prima sul Cimon di Palantina. Nel frattempo, vengo
raggiunto da uno spirito libero, conversiamo lungo il percorso avendo in comune
il tratto fino alla forcella della Palantina. È veneto, simpatico, commentiamo
di comune accordo che è meglio andare da soli in montagna, si respira un altro
spirito, non posso che condividere tale pensiero, essendo fresco della cocente
delusione provocata da “Topo Gigio”. Sulla forcella della Palantina dopo aver
superato insieme l’esposto sentiero, le nostre strade si dividono, un altro
arrivederci sui monti. Dalla forcella si gode una bella visione sul versante
meridionale del Cavallo, percorro l’esile crestina che mi porta alla vetta del
Cimon. Mi alleggerisco nel frattempo dello zaino, lasciandolo presso un grande
masso, e proseguo leggero verso la bellissima cima inerbita. Sul vertice del
monte trovo un’originale croce (2190 m.) e un cilindro con libro dei visitatori
e timbro. Bellissima, un’emozionante sensazione di libertà assoluta mi avvolge.
Dall’alto noto che la valle oggi è visitata da molti lupi solitari, un luogo
che è un richiamo per chi sa veramente apprezzare i silenzi. Scendo, riprendo
lo zaino e percorro a ritroso il sentiero fino alla forcella del Cavallo
(cartello con indicazioni CAI). Breve sosta, ammirando i dirupati ed esposti
versanti del Cimon di Palantina, meraviglia! Indosso l’imbrago e mi preparo ad
affrontare Cima Manera dal versante meridionale. Nel frattempo, da quest’ultima
sopraggiunge un escursionista (altro lupo solitario). Ci riconosciamo!
Quest’anno ci siamo incontrati sul monte Ciaurlec, mi riferisce che ha
effettuato un’escursione sul monte Castello, prendendo ispirazione dal mio
blog. Gli chiedo del percorso che sta effettuando, in sintesi lo stesso che io
sto per fare, ma all’incontrario, mi raccomanda di stare attento al versante
meridionale della cima Manera. Ci salutiamo, dandoci appuntamento alla
prossima. Attrezzatomi, procedo verso la nuova meta. Dalla forcella supero con
un cavo una breve parete articolata, penso sia alta 20 metri, con passaggi di
primo grado, così raggiungo un esile prato esposto sui due versanti; superato
quest’ultimo la marcata traccia mi porta alla grande parete rocciosa del corpo
principale del monte Cavallo. Una serie di bolli mi aiuta a individuare i
passaggi migliori. Dopo avere superato un paio di metri esposti senza
protezioni, mi aggancio alle attrezzature (cavo metallico) così risalgo 50
metri di paretina articolata (passaggi di I e II grado) fino a uscire sugli
esposti prati sommitali. Dopo pochi metri il prato si ampia rendendo sicura la
progressione. Supero a destra l’attacco per la via ferrata che mi porterà in
discesa al Cimon dei Furlan, e dopo aver ammirato una scultura (angelo?)
raggiungo lo strano monolito biancorosso con annessa campanella, libro e timbro
di vetta (2251 m.). In contemporanea giungevano dal rifugio Semenza due
atletici corridori (skyrunning) veneti. Scambio di battute(simpaticissimi) e
foto a gogò. Firmato il libro di vetta e apportato il timbro sul libretto nero,
retrocedo, imboccando la via ferrata in discesa. Non è difficile, molti, anzi
tutti la salgono senza imbrago. Preferisco usare l’imbrago, così mi posso
concedere alla contemplazione e alle foto. Raggiunta la base del tratto
attrezzato (100 metri di dislivello), proseguo per una esposta cengia,
anch’essa attrezzata che mi porta alla forcella dei Furlan che collega i due
colossi. Bellissima è la sensazione di transitare sull’esposto tratto. A
settentrione osservo le verticali e vertiginose pareti che si aggettano nella
Val Piccola, tanto esposte da far apparire rassicurante il ben esposto e ripido
versante meridionale.
Lo percorro
con tranquillità, mi aspettavo di peggio, anzi trovo piacevole percorrere i
suoi tratti articolati, aiutato da un cavo metallico (ottima attrezzatura,
nuova di zecca). Durante l’arrampicata spesso mi fermo dando uno sguardo nel
vuoto, non mi fa paura, solo un dovuto timore, ma mi piace osservare il lato
oscuro delle montagne. La breve attrezzatura mi aiuta a salire sul Cimon dei
Furlan per il tratto più dirupato, lambendo in più punti il ciglio dell’esposto
versante. Giunto sul prato sommitale, mi dà il benvenuto una campanella
solitaria, poco più in là il cumulo di sassi con una croce in metallo, la cima
quota 2183 m. Nel frattempo delle nuvole sopraggiungono dal versante
settentrionale, giocando a nascondere la cima Manera. Presso la croce trovo l’ultimo libro di vetta
con l’annesso timbro. Finalmente pausa, zaino a terra dove ripongo l’imbrago,
dedicandomi a fotografare le meraviglie del luogo. La pax dura poco a causa del
sopraggiungere di due donzelle dal versante meridionale del Cimon dei Furlan.
Il silenzio, che fino a pochi minuti prima regnava sovrano, è rotto dalla loro
loquacità ad alto volume di argomenti personali; tali da essere uditi fin nella
lontana cima della Palantina e forse anche sul Raut. Pazienza non tutte le
ciambelle riescono col buco. Apro lo zaino, consumando il pasto e guardando
lontano, lasciandomi incantare dalla natura. Ripreso lo zaino, pronto per il
rientro, saluto le “volatili starnazzanti” e riprendo il cammino verso sud,
scendendo per la lunghissima cresta del Cimon. Lungo la discesa mi fermo spesso
ad ammirare una inconsueta fioritura di stelle alpine. Bellissima la cresta,
immagino che sia faticosa per chi sale questo versante. Raggiunto il
tabernacolo con crocifisso chiudo l’anello, rientrando per lo stesso sentiero
dell’andata. L’escursione tecnicamente è stata meno difficile di quanto mi
aspettassi e soprattutto non solitaria, malgrado fossi solo. Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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