Il lupo di Taipana
Stanco di esplorare la
destra orografica del Tagliamento decido di cambiare zona, esplorando con il
dito indagatore la mappa del territorio montano posto tra la cittadina di
Tarcento e il confine sloveno. La prima immagine che salta all’occhio è la densità della
popolazione delle frazioni, molto più alta rispetto alle altre valli montane
del Friuli centro -settentrionale, e quello che mi impressiona è la
contaminazione culturale, dovuta sicuramente a millenni di invasioni e
dominazioni. Dalla carta topografica
studio un anello, avente come punto di partenza e arrivo Taipana. Controllo le
quote, l’orientamento delle dorsali, e i sentieri, noti e no, che posso
utilizzare per il cammino. Da Taipana, una traccia tratteggiata in rosso
chiamata “Sentiero naturalistico del Gorgons”, dovrebbe portarmi in quota, su
una lunga dorsale, dopodiché, cavalcando lo stesso crinale in senso antiorario
attraverso per una serie di cime fino a rientrare a Taipana dal versante
orientale. Il tragitto è stato creato e tracciato sul foglio di una riduzione
topografica che porto al seguito, non mi resta che decidere il giorno
dell’escursione. Per un bel giro ci vuole un buon giorno, e di fantastiche
giornate questo mese di dicembre trabocca, magnifico l’inverno che sto vivendo.
Alcuni gironi dopo, un bel mattino, mi sveglio, e canticchiando “Bella Ciao” mi
appronto per giungere nella bella frazione del Friuli orientale. I monti sono ancora imbiancati, spero, visto
la modesta quota della cresta che voglio visitare di non trovare eccessiva
neve, porterò con me solo i ramponi. Giunto alla periferia di Taipana scopro il
bellissimo borgo, è sempre una grande emozione conoscere luoghi nuovi. L’ignoto
per un uomo curioso è una grande forza trainante, è il motore che ha spinto
l’umanità a lasciare la caverna per giungere fino alla luna.
Lascio l’auto nella
piazza del paesello, proprio davanti la chiesa. Esco dall’abitacolo, mi
appronto, sul selciato scorgo miriadi di lastre di ghiaccio, devo stare
attento. Da una finestra mi sento osservato, mi giro, saluto, risponde al gesto
una misteriosa presenza che di seguito svanisce nel buio della stanza. Mi avvio
a sud-ovest del borgo, cerco e trovo una carrareccia, che lambisce il torrente
Liescovaz, oltre sono alle pendici occidentali del monte Cavallo. Ultime cure
all’abbigliamento e materiali, stringo le cinghie e dilato le pupille, sono
sempre tanto emozionato quando inizio una nuova avventura. Percorro la
carrareccia in senso antiorario, la neve è dura ma non abbisogno ancora di
indossare i ramponi. Un cartello mi avvisa di lasciare la comoda via e di
intraprendere il sentiero che conduce alle cascate. La traccia è ben battuta, è
una magnifica mulattiera, essa si addentra nel cuore del vallone, purtroppo la
bassa temperatura rende insidioso il transito per via del ghiaccio. Presso una
cascatella è stato costruito un ponte himalaiano, e la struttura è totalmente
gelata, mi avvicino con cautela ad esso, lo attraverso, e tramite una scaletta
in legno dove mancano dei gradini, con perizia mi isso, transitando sulla
sponda opposta. Superato l’ostacolo, scopro che ho errato, e che dovevo
proseguire per la destra orografica del torrente Gorgons. Con cautela ritorno
sui miei passi, e una volta sulla sponda giusta provo a ripartire, ma non mi
accorgo di una insidiosa lastra di ghiaccio, effettuando un pauroso scivolone
che mi causa la simultanea perdita di uno dei bastoncini da trekking ( svanito
come d’incanto giù nel canalone). Dopo un attimo di smarrimento mi riprendo, mi
è andata bene, mi rialzo con cautela, e superato la spavento proseguo; Me la sono cavata con escoriazioni e un ematoma
al braccio sinistro e la già citata perdita del bastoncino. Prima di ripartire
dedico una breve preghiera per l’amico di tante avventure, forse era così che
voleva esso voleva perire, nel suo ambiente naturale. L’itinerario che mi
aspetta è molto impegnativo, scorro più di una volta da una sponda all’altra
del torrente, passando sotto bastioni di roccia, o lambendo dall’alto le
verticali pareti strapiombanti. Le emozioni non mancano, sto godendo tantissimo
della natura, vorrei racchiudere i suoni dello scorrere dell’acqua in una bolla
di sapone e donarla con amore. Decido per sicurezza di calzare i ramponi e di
proseguire con cautela. Nella parte alta del canalone il sentiero lascia il
torrente per risalire l’erto pendio con una serie regolare di anse. Mi avvicino
sempre di più alla cresta, lo stanno a testimoniare la prossimità del cielo e
della luce che filtra, fulgente, dalla bellissima faggeta. Un cartello mi
informa che ho appena percorso un sentiero per esperti, ad esso rispondo che ne
sono reso conto da solo, braccio docet. A pochi metri mi aspetta una
meravigliosa e comoda mulattiera a fil di cresta, che mi aiuterà a scaricare
l’adrenalina accumulata nel vallone.
Mi ritrovo a pochi
metri dalla prima elevazione, Monte Zisilin, rinvio la visita al futuro, la
decisione si rivelerà saggia. Continuo percorrendo il sentiero militare, che
conduce fino alla carrareccia che lambisce il Monte Namlen. Il tratto è comodo,
solo ghiacciato, ma con i ramponi non è un problema, anzi, mi diverte incedere
sul croccante gelido bianco. Giunto sulla strada forestale deciso di visitare
il monte Namlen, e per questo devo balzare su un muretto perimetrale, avendo
individuato al di sopra una traccia di cacciatori. Infatti, la pesta mi porta
in pochi minuti alla prima elevazione, monte Namlen, evidenziata da un ricetrasmettitore.
Mentre mi preparo per la posa di un autoscatto, sopraggiunge da nord un viandante,
mi riconosce, breve e cordiale conversazione, ci siamo incontrati già in
precedenza, presso il monte Forcella poco dopo la partenza da Campiolo, e sicuramente
ci rivedremo in seguito su un'altra cima.
Adoro gli escursionisti solitari, i viandanti dello spirito, sarò antipatico nelle mie asserzioni, ma
secondo il mio modesto parere hanno un qualcosa in più…. Dalla vetta del monte
Namlen la visuale spazia all’infinito, a pochi metri inizia il sentiero per il
monte Iauer, anche questa elevazione la percorrerò in futuro. La direzione
attuale di marcia è a nord, e per cresta, mi dirigo al vicino monte
Cripia. La dorsale che corre dal monte
Namlen è meravigliosa, da sogno. Mentre cammino recito una mia preghiera: <<Lasciami
andare Dio, voglio morire qui, libero, piuttosto che divenire cane e perdere la
mia libertà.>> E penso! : <<Così ululò un lupo di notte a Selene,
mentre percorreva lo stesso mio sentiero.>> Guardando l’orizzonte
innevato immagino cosa abbia provato Ulfhednar. Percorro un autentico cammino
dionisiaco su un crinale totalmente ricoperto di neve. La sensazione di piacere
che provo, passo dopo passo, è immensa, e tutto quello che assimilo mi rigenera.
La fatica viene licenziata dall’emozione del vagare per i poggi imbiancati, e i
radi faggi ne sono i ferventi custodi, autentiche sentinelle di questo prezioso
e silente ambiente. L’apice del Monte Cripia è materializzato da un bellissimo
e sofferente faggio, molto scenografico, con i rami protesi a raggiera verso
l’empireo. Presso di esso trovo un alloggio per le memorie dello spirito
libero, e a pochi metri dall’albero miro a un fazzoletto d’erba dove desinare.
Il paesaggio che posso ammirare da questo straordinario pulpito panoramico è
incommensurabile. Grazie al cielo terso riesco a leggere tutte le cime, dalle
vicine Alpi Giulie alle lontane dolomiti friulane e venete, e naturalmente le
Prealpi e Alpi Carniche, insomma, un autentico compendio delle montagne del
Nord-Est. Il pranzo ha un gusto particolare grazie alla deliziosa visione, e il
tempo del sogno scorre velocemente. Finita la pausa, proseguo a nord, le due
cime che mi aspettano, il Monte Cavallo e il Monte Uorsic, sono protette da una
faggeta, e il loro raggiungimento è problematico a causa di numerosi schianti e
della stessa fitta vegetazione selvatica. La prima elevazione è materializzata
da un masso proteso a oriente, mentre la seconda è totalmente occultata dalla
flora e segnata da un prisma in cemento. Do un’occhiata ai tempi impiegati, è
giunto il momento di lasciare la cresta e iniziare a scrivere l’ultima pagina
dell’avventura. Ben sicuro e grazie all’ausilio dei ramponi decido di scendere
in libera per il ripido versante occidentale, mirando alla carrareccia posta da
qualche parte in basso. La discesa potrebbe sembrare ardita, ma a me, da
monello incorreggibile che sono, diverte
tantissimo. Con gli anni ho imparato a districarmi per questi percorsi
accidentati, e spesso il tagliare in discesa pendii, più che una soluzione diventa
una scelta obbligatoria se non si vuol pernottare all’addiaccio in compagnia
dei lupi. La discesa comunque è lunga e impegnativa. Sopraggiunto sulla strada
forestale, ne percorro un breve tratto a settentrione, e dopo aver consultato
la mappa, cerco e non trovo nella neve una seguente traccia che mi conduca a
una carrareccia in basso. Mi affido di nuovo all’intuito, e sempre in libera,
mi addentro dentro un canale, perdendo rapidamente quota, fino a sbucare in uno
spiazzo dove inizia la strada carreggiabile. Fatta! Sono sceso per ben 350
metri di dislivello per il ripido pendio innevato, e ho centrato in pieno l’obiettivo,
mi ritengo orgogliosamente e a ragione soddisfatto. Il lupo che alberga in me anche
questa volta non si è smentito, anzi, si è anche esaltato. Dalla carrareccia
procedo verso Taipana, il passo è lieve e cadenzato, e posso concedermi alla
contemplazione del creato, tra cui gli infuocati raggi del dio Sole che tingono
di vermiglio i meravigliosi bastioni della catena dei Musi. Dalla carrareccia
si dirama un bivio, seguo quello che mi conduce a Taipana, poche centinaia di
metri e sbuco nella periferia orientale del borgo. Pochi passi per i vicoli e
sono alle spalle della chiesa, evidenziata dal tipico campanile che svetta
altissimo sulle abitazioni. Raggiunta l’auto mi guardo intorno, sorrido, sono
felice, sereno e pago di aver viaggiato con i miei migliori e inseparabili
amici: un paio di scarponi, uno zaino, un foulard nero e la fantasia. Rientro
alla pianura serbando nell’iride uno dei luoghi più incantevoli di questa
meravigliosa terra.
Malfa
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