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sabato 9 dicembre 2023

Una gita tra spiriti liberi sul monte Prat.

Una gita tra spiriti liberi sul monte Prat.

 

Viene il tempo in cui due lupi solitari e amanti delle vette delle montagne, le cosiddette cime, si riuniscono, per poter commentare, come per voler scrivere un libro di parole che si perdono nel soffio gelido del vento. Così, con questo spirito ritrovato di ex giovani temerari, Paolo e io, ci ritroviamo per bissare la magnifica esperienza nella Val Tramontina. Stavolta la nostra meta è il Monte Prat e il delizioso Bivacco Tamars. Paolo conosce benissimo le cime del Pordenonese, tutta la cresta del Cavallo e in toto l’ambiente selvaggio della Valle Cimoliana, ma ignora molte località della Destra Tagliamento, quindi, eccomi a fare da novello Cicerone, cercando con la visione di far sognare l’amico. La fresca giornata invernale è baciata dal sole, e addirittura i raggi caldi di sua maestà rendono di un dolce tepore l’ambiente. Nella piazzola adibita a posteggio di una trattoria dell’altopiano lasciamo l’auto, non la chiudiamo nemmeno, visto e risaputo, che in zona degli autoctoni si dilettano a fare vandalismo con le auto degli escursionisti. Una volta pronti partiamo con un passo lento tipico di chi ama lasciarsi inebriare anche dai piccoli particolari. Paolo è già sedotto dalla località, e siamo solo all’inizio. Gli confido che un amico che pubblica nel nostro gruppo, Giannino, ha percorso mille volte questa zona e continua a scovare nuovi sentieri. Pochi metri dopo la località siamo distratti da un edificio e dal suo portone, effettivamente al suo interno serba in murale del periodo fascista,  la palazzina è un ex latteria. Continuiamo il passo, stavolta miriamo a conversare con una signora di mezza età immersa nelle sue attività quotidiane, oggi siamo loquaci, instauriamo una conversazione tipica dei viandanti curiosi. Il dialogo è piacevole, e ogni breve lasso di tempo è una finestra sul sapere per noi affamati della conoscenza. Mentre dialoghiamo (la signora dal suo balcone e noi dal confine del suo giardino) si avvicina una cagnetta ruffiana di nome Trottola, che si prende una buona porzione di coccole, mie e di Paolo. Lasciamo con un mandi la donna, e proseguiamo lungo la strada forestale fino a imboccare uno sterrato sulla destra che attraverso il rado bosco ci conduce alla casera. Il tratto è in lieve pendenza, e dopo alcune centinaia di metri un cartello spartano ci inviata a lasciare il tratturo per prendere un breve sentiero che conduce alla casetta delle favole. Il bivacco è irreale, da fiaba, per quanto sia piccolino e munito di tutto ciò che sia utile a un viandante per sognare. Sin dall’aspetto esterno, con panche, campanelle e oggetti strani, e chi più ne ha  più ne metta. Oserei pensare che Walt Disney si sia ispirato a questa deliziosa casetta per disegnare quella del noto cartone animato “Biancaneve”. L’interno è ordinato e munito di tutto: cucina a legna Zoppas, perfettamente funzionante, una cassa che fa da legnaia, tavolo con comode panche, delle credenze con tutto l’occorrente per passare una deliziosa serata, e tramite una scaletta si accede al piano notte, ideale per ospitare una coppia che ha voglia di sognare. Noi accediamo un fuocherello attivando la cucina, nel frattempo che la legna prenda, ci dedichiamo a una piacevole esplorazione, intervallando la pausa con un buon infuso bollente al gusto di frutti di bosco. Iniziando una piacevole conversazione, viene fame, e stavolta niente trattoria, si ritorna all’antico, riversando sul tavolo tutte le letizie alimentari trasportate nei nostri zainetti. Panini alla mortadella e al salame, birra, mandaranci, clementine, e Pocket Coffee come caffè. Durante il pranzo rimembriamo le cime fatte in passato e altro ancora. Mi diletto (mentre ascolto l’amico) a disegnare su un blocco schizzi che porto al seguito, l’ora del pasto passa deliziosamente, finché giunge il momento di lasciare la casetta delle fiabe. Diamo un’ordinata al locale,  ripristiniamo la legna consumata e un’ovvia spazzata per terra. Una volta che ci siamo assicurati che la brace non dà segni di vita, lasciamo il riparo, con un piccolo magone, simile a quello che si prova quando bisogna lasciare qualcosa che ci ha fatto stare bene. Il tempo trascorso assieme dovrebbe definirsi concluso, ma la magnifica giornata invita i nostri passi ad ammirare il paesaggio circostante, con l’inconfondibile mole del Monte Cuar. Si va a prendere un caffè nella trattoria antistante lo spiazzo dove abbiamo lasciato l’auto. La locanda, pare chiusa, ma non lo è, entriamo e siamo avvolti da un eccellente odore di cibo e attratti dalla mobilia che sa di Friuli antico. Conversiamo con l’ostessa, prenotando un pranzo di gruppo a base di cucina friulana. Una volta in auto, dovremmo ritornare all’ovile, ma ho voglia di far vedere a Paolo gli stavoli di Ledrania di Cornino, e il famoso specchio di Narcisio. Percorrendo in auto la stretta carrozzabile, e perdendo costantemente quota, ci abbassiamo sul versante orientale, e in pochi minuti raggiungiamo gli stavoli sopra citati. Lasciamo l’auto sul bordo della strada, mentre degli operai stanno lavorando all’interno del piccolo gruppo di stavoli. Mentre ci aggiriamo tra i deliziosi edifici di memoria montana, riconosco uno dei due operai che in azione, è il padre di una nostra conoscenza montana, Marina. L’ho chiamiamo, e mentre salutiamo nel frattempo spunta il fratello.  Anche questo incontro sa di fiaba, e vado a descriverlo. Il primo potente impatto è la loro carica di energia, hanno superato da tempo i settanta anni, ma sembrano due folletti, con un sorriso stampato sul volto e un’energia tale da alimentare tutte le lampadine di una città come Udine. Ti coinvolgono, con il loro sapere,  e più li ascolti e più chiedi, e loro gentilmente rispondono, alimentando la conversazione, come un caminetto dove il tiraggio del cammino è potente e  arde di legna di faggio lasciata essiccare più anni. I due fratelli, Enrico, il babbo di Marina e lo zio Alido, sono due vulcani in continua eruzione. La loro energia è manifesta nella piccola frazione, stanno restaurando di tutto e di più, e solo con la loro passione. Pozzi, abitazioni, fosse, stavoli e stalle. Nei loro racconti emerge l’antica civiltà montanara, i sacrifici degli uomini di un tempo, specie le donne, come la loro mamma Elvira, che nella gerla, la nota cesta in legno, trasportava più volte al giorno, provenendo da Somp Cornino: figli, galline, legna e cibarie. La povera donna accumulava tanto dislivello da fare invidia alle portatrici carniche.

I due simpatici amici sono in abbigliamento libero e di lavoro, quasi se ne vergognano, non sapendo che noi li ammiriamo, sia per la fantasia che per la rarità della loro magnifica personalità. Tante storie vengono fuori dalla memoria, e in una mezzora abbiamo riempito un volume, come quella dell’astuta volpe che in un solo giorno rubò loro ben due galline, e fu inutile inseguirla. Lasciamo a malincuore la simpatica compagnia, e prima di rientrare conduco Paolo al bel belvedere che è posto poco sotto la località, e si aggetta sul versante orientale del monte Prat, proprio sopra il lago di Cornino. I raggi argentati del Tagliamento catturano lo sguardo dell’amico, mentre il sole si appresta a tramontare oltre le cime del Cavallo. Stavolta rientriamo sul serio, e durante il tragitto del ritorno abbiamo modo, colmi di beatitudine, di commentare la recente e ancora viva esperienza. È stato un bel giorno, passato con amicizia e nella serenità della natura e del genere umano.

Malfa.






















































 

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