Col dei S'Ciol, neve,
neve, e tanta neve ancora…
Sono ore che marciamo,
e delle antipatiche nuvole si divertono ad apparire e svanire, svelando a volte
un cielo di un blu intenso che contorna il paesaggio dove gli innevati colli
ricordano un deserto dalle dune bianche.
Con lo sguardo e mappa
alla mano scrutiamo il paesaggio tentando di intuire il nostro colle. <<È
quello dietro? No, quell’altro di seguito ancora a destra! >><< Non
si vede un c…., dai, andiamo avanti e valutiamo.>>
Usciamo dalla
carrareccia mirando al primo colle rimanendo in quota, poi un secondo e un
terzo ancora, così percorriamo le creste e la suggestione ha il sopravvento
sulla fatica. Tra le dune riconosciamo i giochi di uno scialpinista, anch’egli
si è diretto sulla nostra meta. Ci fermiamo spesso per fotografare, e ogni
scatto è pura magia. Immortalo John, lo immagino come il “Primo uomo sulla
Luna”, la sua sagoma complementare al bianco avanza. Sparuti, eroici e solitari
alberelli sfidano il silenzio, donando poesia al candido paesaggio. Mi emoziono
osservando l’amico che ricerca il sogno. Siamo i viandanti, gli spiriti liberi
per eccellenza, uomini che hanno lasciato a valle le famiglie, le abitudini, i
pensieri, per inseguire una chimera, l’eterna illusione che noi chiamiamo
Libertà.
Avvistiamo la nostra
meta, un ometto di pietre sormontato da una piccola croce spartana, e legata
con fil di ferro per concertina. Ci siamo! Percorriamo la cresta, rallentiamo,
quasi ci fermiamo, è un istante ma è magico.
L’amico aspetta che io lo raggiunga, per un nobile accordo mai verbalizzato,
quello di toccare la meta assieme e nel medesimo istante. Come i cavalieri
medievali, conficchiamo le nostre spade (bastoncini telescopici) nella neve e
poco sotto l’ometto; ci abbracciamo, togliamo i guantoni volgendo lo sguardo e
il sorriso all’orizzonte.
Se fossimo vissuti nel
Medio Evo, John e io, saremmo stati sicuramente due cavalieri dai nobili
sentimenti, le nostre azioni nascono spontanee, spesso comunichiamo con il solo
sguardo.
Mentre John apporta il
nostro passaggio sul libro di vetta, io immortalo il paesaggio e infine eseguo
l’autoscatto che perpetua il magico momento. Finite le operazioni di prassi, ci
abbandoniamo alla meditazione. La cima del Col di S’ciòs appare come un tumulo,
simile a una tomba di un nobile guerriero, la stessa domina dall’alto il
paesaggio, spaziando dalle vicine vette di Piancavallo alle lontane dolomiti
friulane.
Dalla vetta avvistiamo
in basso una malga, si tratta della casera di S’ciòs, che noi erroneamente
scambiamo per Casera Busa Gravin (ce ne ravvediamo successivamente). Decidiamo
di dirigerci all’edificio, per poi proseguire per la carrareccia più a nord. In
questo breve attimo di avventura ho avuto la sensazione di sognare: nel
biancore della neve ho perso completamente la tridimensionalità dello spazio,
sono stato immerso nella luce e le sporadiche velature della nebbia hanno
amplificato tale sensazione. Raggiunta la carrareccia proseguiamo a meridione,
ma qualcosa non ci convince, l’intento era quello di compiere l’anello ma il
sentiero che porta a casera Costa Cervera è totalmente ricoperto di neve. Non
ci sono segni sugli alberi, quindi, dietro front e proseguiamo per la casera
Col dei S’ciòs, per poi riprendere le nostre tracce e rientrare a casera Busa
Bernart.
La fatica inizia a
farsi sentire e con essa anche la fame e le gambe reclamano potassio. E noi?
Silenti e con spirito stoico procediamo. I folli presenti in questo altopiano
non siamo solo noi, ne avvistiamo uno che scende dal colle adiacente a quello
dei S’cios, per poi svanire nel nulla, un altro ci viene incontro per la
carrareccia. Trattasi di un simpatico veneto, dal sorriso coinvolgente, e che
con la sua mountain bike ha osato sfidare la neve. La sua bici ci appare come
un ronzino che l’audace cavaliere conduce a piedi nella bianca valle. Ci
salutiamo augurandoci un reciproco buon cammino e tanta fortuna.
Ritrovate le nostre
orme, volgiamo lo sguardo indietro, rimanendo incantati da una magica visione.
Da uno squarcio tra le nubi filtra un raggio di sole che illumina la meta
odierna, essa appare di un bianco luminoso e spirituale che spicca contrastando
con il paesaggio circostante, dove la bianca vetta si stacca dal grigio dei
colli e l’azzurro del cielo. Ci fermiamo a contemplare quel miracolo,
chiedendoci reciprocamente, l’uno con l’altro, la conferma di quello che
intravediamo. Riprendiamo il cammino, le nostre impronte ci riconducono alla
vita reale…
Malfa
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