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martedì 12 dicembre 2023

Monte Cornor da Piancavallo

Monte Cornor da Piancavallo

Racconto:


Monte Cornor è una bellissima piramide di roccia posta a occidente del gruppo di Cima Manera, lo notai un tempo durante l’escursione sul monte Laste; durante la salita su quest’ultimo monte mi fermai, e intravidi i fantastici sentieri dirimpettai. Successivamente, durante l’escursione sulla cima delle Vacche avevo in mente di raggiungerlo, ma una nebbia capricciosa me lo impedì, ed eccomi di nuovo a realizzare questo vecchio sogno posto al confine tra il Veneto e il Friuli, nelle magnifiche Dolomiti di oltre Piave che sovrastano l’Alpago.

L’escursione per il chilometraggio è ambiziosa e devo scegliere tra due alternative: partire da Piancavallo, risparmiando la strada su ruotato ma allungando l’escursione; o partire dall’Alpago, con un lungo tragitto di avvicinamento in auto e un notevole risparmio di chilometri e fatica a piedi. Essendo uno stakanovista tendente allo stoicismo non potevo che scegliere la prima soluzione. Quindi partenza da Piancavallo, con un percorso approssimato, così alla fatica aggiungo l’avventura. La mattina della partenza, come spesso mi accade nella giornata invernale, inizio con l’aprire un occhio, orientando l’orecchio verso la stridente sveglia, l’istinto mi consiglia una bella martellata sull’oggetto stridulo, ma la ragione ha il sopravvento. Un pensiero gelido filtra tra i neuroni: <<Giuseppe, alzati e cammina :>> I primi dieci passi sono utili per comprendere le mie generalità e i propositi. La colazione mette in ordine il database, e con sorpresa scopro che mi accingo a sfidare il gelo, dirigendomi nel freddo altopiano di Piancavallo. Compagno di avventura anche oggi sarà il prode e fedele scudiero Magritte. Pronti e con l’armamentario ci dirigiamo in giardino, l’auto (Cella-frigo) è pronta, do una mancia al pinguino di guardia e mi avvio verso l’impresa. Con l’avvicinarmi al luogo della partenza la notte svanisce, mentre accompagnata dai bellissimi colori sorge l’Aurora. l’ascensione in auto a Piancavallo è come essere spettatori al cinema di un film in 3D. I caldi colori dell’alba incorniciano lo skyline degli alberi, sono sveglio da poco e già sono immerso nel sogno. Lascio l’auto nel parcheggio posto tra l’impianto sportivo e la pista di sci. Zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito si parte. Dal parcheggio un bollo rosso mi indica di seguirlo, e con i suoi  numerosi compari mi guida nel bosco di faggio, risalgo il costone (cartello per il rifugio) fino a raggiungere la Baita Arneri. Fuori dalla struttura incontro il gestore, breve scambio di battute e riparto per l’escursione seguendo il sentiero che mi porta nella Val di Sass (cartello inizio sentiero posto a occidente del rifugio). Conosco bene il sentiero che ho solo percorso un paio di giorni prima, in breve raggiungo la Val di Sass, qui abbandono il sentiero che porta all’alta via del Rondoi, e taglio per la conca, portandomi al centro di essa. I colori delle cime che la circondano sono di un magico ocra-oro, è fantastico, mi ritrovo in un ambiente silente come nel Selvaggio West. Mi giro intorno, riconoscendo la Cima Colombera e il Monte Tremol, gli altri colli mi sono sconosciuti ma un dì ne cavalcherò le creste. Proseguo ad ovest, passando davanti la struttura avveniristica del rifugio “Val dei Sass”, è chiusa e rafforza l’impressione di vivere in un film dal nord-americano, manca solo la presenza umana, chissà dove sono i gringos? Scruto le creste, nella speranza di intravedere Jesse James e la sua banda di malfattori. Ma non succede nulla, odo solo il silenzio, e l’unico malfattore in questo deserto sono io e non mi rimane che proseguire a occidente e per la meta. Superata la forcella Palantina (stranamente posta alla base della dorsale della Colombera) proseguo, scendendo giù per un angusto canalone, il sentiero è ghiacciato, in pochi minuti mi abbasso di trecento metri di quota. Sorgono i primi dubbi, chiedo se ne vale la pena, la meta è lontana, e questi sali-scendi me li ritroverò al ritorno. Accelero il passo per guadagnare tempo, il sentiero selvaggio penetra nel fitto bosco di conifere, per poi riprendere il suo corso pianeggiante raggiugendo la conca prativa dominata dai ruderi della casera Palantina. Pochi metri più avanti un cartello posto all’incrocio di più sentieri mi consiglia di estrarre la mappa dalla giacca e dare un’occhiata. Mentre raggiungevo la casera avevo notato sulla cresta che scende dal Cimon della Palantina un paletto con segni CAI posto su un’insellatura. La mia idea è di raggiungerlo, sperando che ci sia un proseguo che mi porti sulla traccia in salita, così guadagno tempo e metri di quota. Percorro il sentiero sul versante meridionale della Palantina, ho raggiunto il paletto e con soddisfazione scorgo una traccia poco marcata, sicuramente usata dai cacciatori. Mi butto a capofitto, la traccia è ripida e mi porta in breve mi porta al rifugio Semenza e alla cima del Cornor. Nel frattempo, incontro un viandante, originario di una frazione dell’Alpago, messo a corrente dei miei propositi con lo sguardo mi dà del folle e si congeda con un “buona fortuna”. Il sentiero è un ottimo pulpito panoramico, dominato a oriente dalle impressionanti pareti rocciose della Palantina, mentre ad occidente lo sguardo spazia all’infinito. Dall’alto riconosco il bosco del Cansiglio, il lago di Santa Croce, le lontani dolomiti e le vicine cima delle Vacche e l’adiacente meta di oggi, la piramide bianca del monte Cornor.

Raggiunto il centro della valle (grande macigno chiamato Sasso della Madonna) ricomincio a salire tra zolle e rocce, portandomi in alto di quota fino ad incrociare un nuovo sentiero proveniente dall’Alpago. La traccia rasenta le pendici orientali del monte Cornor, in alcuni tratti è scavato nella roccia, questo cammino è un crogiolo di viandanti, presenti in gran numero e in qualsiasi stagione. Raggiunto il rifugio Semenza (chiuso) sosto un paio di minuti, il tempo necessario per dissetare Magritte e riprendere il cammino. La forcella Laste è dietro l’angolo, do uno sguardo alla valle Sperlonga, straordinariamente per la stagione  è priva di neve, ne ammiro il bivacco posto pochi metri avanti. Dalla forcella partono una serie di tracce, prendo quella più aderente alla parete rocciosa. Il sentiero scavato nella roccia attraverso un paio di passaggi elementari di arrampicata mi porta in cresta; bellissima affilata e adrenalinica che dirigendosi ad occidente mi porta alla base della bancata rocciosa del monte Cornor. Un ometto posto alla base della paretina mi inganna, erroneamente seguo una piccola traccia a meridione che presto si esaurisce tra le zolle d’erba. Mi ritrovo sull’esposto ed erto pendio. Indeciso se tornare indietro o andare avanti mi consulto con Magritte. Optiamo per andare avanti, leggo il suo sguardo e sembra dirmi:<< Si vive insieme e si muore insieme! Su coraggio, conquistiamo questa cima e fammi mangiare che ho una fame boia.>> Trovo confuso il suo ragionamento tra l’eroico incosciente e il pragmatico opportunista, comunque il dado e tratto e si prosegue in stile selvaggio. Traccio una linea immaginaria fino alla cima e con un taglio in diagonale proseguo nell’arrampicata libera. La fortuna assiste i coraggiosi, più avanti scorgo la traccia di camoscio, la seguo e così con passo e zampe sicure raggiungiamo la cresta. Wow! Doppio Wow! Splendida visione! Per comodo percorso, cammino sulla prosecuzione naturale della cima delle Vacche e mi ritrovo in breve sulla vetta, materializzata da una croce spartana formata da un ramo di larice e una canna legati insieme da un cordino alpinistico. Cima bella e poco appariscente, qualcuno non sarà d’accordo ma la fede non ha bisogno di cattedrali costruite sulle “Montagne”, ma solo di buoni propositi. Il paesaggio che circonda la comoda e inerbita vetta è semplicemente straordinario, la sua posizione geografica mi permette di ammirare a trecentosessanta gradi le cime circostanti, tra il Veneto e il Friuli, l’Austria e la Slovenia. Che dire! Sto sognando ad occhi aperti. Magritte è felicissimo e vispo come un furetto. Estraggo dallo zaino i viveri e ci nutriamo: io consumo solo una banana e bevo un energetico, mentre Magritte ha i suoi croccantini. La giornata è bella e il paesaggio meriterebbe una sosta prolungata, ma il tempo scorre inesorabile; ho solo tre ore di tempo per raggiungere l’auto prima che Ipno il dio della notte abbia il sopravvento su Emera la divinità del giorno. Dopo aver firmato il libro di vetta seguo la labile traccia che mi porta sul versante orientale della vetta, e guidato da ometti inizio la discesa dentro un canalone accidentato tra ghiaie e piccoli salti, così  perdendo rapidamente quota. Il suolo è innevato, scorgo tra le ghiaie un camminamento e lo seguo, poco dopo la traccia si biforca: scelgo quella più esile e alta che mi porta alla base della crestina, la risalgo e ripercorro stavolta in senso contrario; scendendo per i passaggi di primo grado fino a raggiungere la forcella Laste. Nei pressi del varco incontro una viandante solitaria, mi chiede il parere se sia percorribile il sentiero che scende a meridione per via della neve. Gli rispondo che sono solo poche chiazze, nulla di preoccupante. Rincuorata dalle mie considerazioni prosegue per la sua via. Ripercorro il sentiero del ritorno fino al “Sasso della Madonna”, proseguo per la comodissima via  con scarsa pendenza. Aggirando la cresta raggiungo la casera di Palantina, stavolta cambio itinerario proponendomi il sentiero più lungo ma meno faticoso. La traccia diventa una mulattiera che percorre a meridione “l’Antro delle Mate” e le pendici del Zuc Torondo. Il paesaggio passa dal bosco di faggio e conifere a quello carsico con prati ingialliti dal gelo e una miriade di doline. Procedo a velocità sostenuta, intraprendendo una lotta contro il tempo. Nel caso non dovessi giungere a destinazione prima dell’imbrunire ho già un piano B (torcia e telefonata al coniuge). Spesso la meraviglia del paesaggio è sostituita dalle visioni: ho fame e immagino di banchettare come un antico romano in un triclinio e contemporaneamente godere di un pediluvio. Mi desto dal fantasticare, “la strada è ancora lunga e tortuosa” altro titolo preso dai Beatles. Finalmente raggiungo il rifugio Arneri, scendo per la pista principale di sci, così ho più visibilità rispetto al bosco, e in breve raggiungo il parcheggio dove mi aspetta l’auto. Il sole deve ancora raggiungere l’ora del vespro, sono soddisfatto  e stanco, ricompongo quello che ancora posso usare del corpo. Magritte si accomoda sul sedile posteriore, iniziando un lungo e meritato sonno. Appena pronto parto, in simultanea ammiro il paesaggio mentre all’interno dell’abitacolo, guidando, consumo il panino, confondendo le impressioni con i sapori. Tutto sa di buono, di magico quando si è stanchi e appagati…

Malfa.


 
















































































 

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