Monte Cornor
da Piancavallo
Racconto:
Monte Cornor è una bellissima piramide di roccia posta a occidente del gruppo
di Cima Manera, lo notai un tempo durante l’escursione sul monte Laste; durante
la salita su quest’ultimo monte mi fermai, e intravidi i fantastici sentieri
dirimpettai. Successivamente, durante l’escursione sulla cima delle Vacche
avevo in mente di raggiungerlo, ma una nebbia capricciosa me lo impedì, ed
eccomi di nuovo a realizzare questo vecchio sogno posto al confine tra il
Veneto e il Friuli, nelle magnifiche Dolomiti di oltre Piave che sovrastano
l’Alpago.
L’escursione
per il chilometraggio è ambiziosa e devo scegliere tra due alternative: partire
da Piancavallo, risparmiando la strada su ruotato ma allungando l’escursione; o
partire dall’Alpago, con un lungo tragitto di avvicinamento in auto e un
notevole risparmio di chilometri e fatica a piedi. Essendo uno stakanovista
tendente allo stoicismo non potevo che scegliere la prima soluzione. Quindi
partenza da Piancavallo, con un percorso approssimato, così alla fatica aggiungo
l’avventura. La mattina della partenza, come spesso mi accade nella giornata
invernale, inizio con l’aprire un occhio, orientando l’orecchio verso la
stridente sveglia, l’istinto mi consiglia una bella martellata sull’oggetto stridulo,
ma la ragione ha il sopravvento. Un pensiero gelido filtra tra i neuroni:
<<Giuseppe, alzati e cammina :>> I primi dieci passi sono utili per
comprendere le mie generalità e i propositi. La colazione mette in ordine il
database, e con sorpresa scopro che mi accingo a sfidare il gelo, dirigendomi
nel freddo altopiano di Piancavallo. Compagno di avventura anche oggi sarà il
prode e fedele scudiero Magritte. Pronti e con l’armamentario ci dirigiamo in
giardino, l’auto (Cella-frigo) è pronta, do una mancia al pinguino di guardia e
mi avvio verso l’impresa. Con l’avvicinarmi al luogo della partenza la notte
svanisce, mentre accompagnata dai bellissimi colori sorge l’Aurora. l’ascensione
in auto a Piancavallo è come essere spettatori al cinema di un film in 3D. I
caldi colori dell’alba incorniciano lo skyline degli alberi, sono sveglio da
poco e già sono immerso nel sogno. Lascio l’auto nel parcheggio posto tra
l’impianto sportivo e la pista di sci. Zaino in spalle e Magritte e sogni al
seguito si parte. Dal parcheggio un bollo rosso mi indica di seguirlo, e con i
suoi numerosi compari mi guida nel bosco
di faggio, risalgo il costone (cartello per il rifugio) fino a raggiungere la
Baita Arneri. Fuori dalla struttura incontro il gestore, breve scambio di
battute e riparto per l’escursione seguendo il sentiero che mi porta nella Val
di Sass (cartello inizio sentiero posto a occidente del rifugio). Conosco bene
il sentiero che ho solo percorso un paio di giorni prima, in breve raggiungo la
Val di Sass, qui abbandono il sentiero che porta all’alta via del Rondoi, e
taglio per la conca, portandomi al centro di essa. I colori delle cime che la
circondano sono di un magico ocra-oro, è fantastico, mi ritrovo in un ambiente
silente come nel Selvaggio West. Mi giro intorno, riconoscendo la Cima
Colombera e il Monte Tremol, gli altri colli mi sono sconosciuti ma un dì ne cavalcherò
le creste. Proseguo ad ovest, passando davanti la struttura avveniristica del
rifugio “Val dei Sass”, è chiusa e rafforza l’impressione di vivere in un film
dal nord-americano, manca solo la presenza umana, chissà dove sono i gringos?
Scruto le creste, nella speranza di intravedere Jesse James e la sua banda di
malfattori. Ma non succede nulla, odo solo il silenzio, e l’unico malfattore in
questo deserto sono io e non mi rimane che proseguire a occidente e per la
meta. Superata la forcella Palantina (stranamente posta alla base della dorsale
della Colombera) proseguo, scendendo giù per un angusto canalone, il sentiero è
ghiacciato, in pochi minuti mi abbasso di trecento metri di quota. Sorgono i
primi dubbi, chiedo se ne vale la pena, la meta è lontana, e questi sali-scendi
me li ritroverò al ritorno. Accelero il passo per guadagnare tempo, il sentiero
selvaggio penetra nel fitto bosco di conifere, per poi riprendere il suo corso
pianeggiante raggiugendo la conca prativa dominata dai ruderi della casera
Palantina. Pochi metri più avanti un cartello posto all’incrocio di più
sentieri mi consiglia di estrarre la mappa dalla giacca e dare un’occhiata.
Mentre raggiungevo la casera avevo notato sulla cresta che scende dal Cimon
della Palantina un paletto con segni CAI posto su un’insellatura. La mia idea è
di raggiungerlo, sperando che ci sia un proseguo che mi porti sulla traccia in
salita, così guadagno tempo e metri di quota. Percorro il sentiero sul versante
meridionale della Palantina, ho raggiunto il paletto e con soddisfazione scorgo
una traccia poco marcata, sicuramente usata dai cacciatori. Mi butto a
capofitto, la traccia è ripida e mi porta in breve mi porta al rifugio Semenza
e alla cima del Cornor. Nel frattempo, incontro un viandante, originario di una
frazione dell’Alpago, messo a corrente dei miei propositi con lo sguardo mi dà
del folle e si congeda con un “buona fortuna”. Il sentiero è un ottimo pulpito
panoramico, dominato a oriente dalle impressionanti pareti rocciose della
Palantina, mentre ad occidente lo sguardo spazia all’infinito. Dall’alto
riconosco il bosco del Cansiglio, il lago di Santa Croce, le lontani dolomiti e
le vicine cima delle Vacche e l’adiacente meta di oggi, la piramide bianca del
monte Cornor.
Raggiunto il
centro della valle (grande macigno chiamato Sasso della Madonna) ricomincio a
salire tra zolle e rocce, portandomi in alto di quota fino ad incrociare un
nuovo sentiero proveniente dall’Alpago. La traccia rasenta le pendici orientali
del monte Cornor, in alcuni tratti è scavato nella roccia, questo cammino è un
crogiolo di viandanti, presenti in gran numero e in qualsiasi stagione.
Raggiunto il rifugio Semenza (chiuso) sosto un paio di minuti, il tempo
necessario per dissetare Magritte e riprendere il cammino. La forcella Laste è
dietro l’angolo, do uno sguardo alla valle Sperlonga, straordinariamente per la
stagione è priva di neve, ne ammiro il
bivacco posto pochi metri avanti. Dalla forcella partono una serie di tracce,
prendo quella più aderente alla parete rocciosa. Il sentiero scavato nella
roccia attraverso un paio di passaggi elementari di arrampicata mi porta in
cresta; bellissima affilata e adrenalinica che dirigendosi ad occidente mi
porta alla base della bancata rocciosa del monte Cornor. Un ometto posto alla
base della paretina mi inganna, erroneamente seguo una piccola traccia a
meridione che presto si esaurisce tra le zolle d’erba. Mi ritrovo sull’esposto
ed erto pendio. Indeciso se tornare indietro o andare avanti mi consulto con
Magritte. Optiamo per andare avanti, leggo il suo sguardo e sembra
dirmi:<< Si vive insieme e si muore insieme! Su coraggio, conquistiamo
questa cima e fammi mangiare che ho una fame boia.>> Trovo confuso il suo
ragionamento tra l’eroico incosciente e il pragmatico opportunista, comunque il
dado e tratto e si prosegue in stile selvaggio. Traccio una linea immaginaria
fino alla cima e con un taglio in diagonale proseguo nell’arrampicata libera.
La fortuna assiste i coraggiosi, più avanti scorgo la traccia di camoscio, la
seguo e così con passo e zampe sicure raggiungiamo la cresta. Wow! Doppio Wow!
Splendida visione! Per comodo percorso, cammino sulla prosecuzione naturale
della cima delle Vacche e mi ritrovo in breve sulla vetta, materializzata da
una croce spartana formata da un ramo di larice e una canna legati insieme da
un cordino alpinistico. Cima bella e poco appariscente, qualcuno non sarà
d’accordo ma la fede non ha bisogno di cattedrali costruite sulle “Montagne”,
ma solo di buoni propositi. Il paesaggio che circonda la comoda e inerbita
vetta è semplicemente straordinario, la sua posizione geografica mi permette di
ammirare a trecentosessanta gradi le cime circostanti, tra il Veneto e il
Friuli, l’Austria e la Slovenia. Che dire! Sto sognando ad occhi aperti.
Magritte è felicissimo e vispo come un furetto. Estraggo dallo zaino i viveri e
ci nutriamo: io consumo solo una banana e bevo un energetico, mentre Magritte
ha i suoi croccantini. La giornata è bella e il paesaggio meriterebbe una sosta
prolungata, ma il tempo scorre inesorabile; ho solo tre ore di tempo per
raggiungere l’auto prima che Ipno il dio della notte abbia il sopravvento su Emera
la divinità del giorno. Dopo aver firmato il libro di vetta seguo la labile
traccia che mi porta sul versante orientale della vetta, e guidato da ometti
inizio la discesa dentro un canalone accidentato tra ghiaie e piccoli salti, così
perdendo rapidamente quota. Il suolo è
innevato, scorgo tra le ghiaie un camminamento e lo seguo, poco dopo la traccia
si biforca: scelgo quella più esile e alta che mi porta alla base della
crestina, la risalgo e ripercorro stavolta in senso contrario; scendendo per i
passaggi di primo grado fino a raggiungere la forcella Laste. Nei pressi del
varco incontro una viandante solitaria, mi chiede il parere se sia percorribile
il sentiero che scende a meridione per via della neve. Gli rispondo che sono
solo poche chiazze, nulla di preoccupante. Rincuorata dalle mie considerazioni
prosegue per la sua via. Ripercorro il sentiero del ritorno fino al “Sasso
della Madonna”, proseguo per la comodissima via con scarsa pendenza. Aggirando la cresta
raggiungo la casera di Palantina, stavolta cambio itinerario proponendomi il
sentiero più lungo ma meno faticoso. La traccia diventa una mulattiera che
percorre a meridione “l’Antro delle Mate” e le pendici del Zuc Torondo. Il
paesaggio passa dal bosco di faggio e conifere a quello carsico con prati
ingialliti dal gelo e una miriade di doline. Procedo a velocità sostenuta,
intraprendendo una lotta contro il tempo. Nel caso non dovessi giungere a
destinazione prima dell’imbrunire ho già un piano B (torcia e telefonata al
coniuge). Spesso la meraviglia del paesaggio è sostituita dalle visioni: ho
fame e immagino di banchettare come un antico romano in un triclinio e
contemporaneamente godere di un pediluvio. Mi desto dal fantasticare, “la
strada è ancora lunga e tortuosa” altro titolo preso dai Beatles. Finalmente
raggiungo il rifugio Arneri, scendo per la pista principale di sci, così ho più
visibilità rispetto al bosco, e in breve raggiungo il parcheggio dove mi
aspetta l’auto. Il sole deve ancora raggiungere l’ora del vespro, sono
soddisfatto e stanco, ricompongo quello
che ancora posso usare del corpo. Magritte si accomoda sul sedile posteriore,
iniziando un lungo e meritato sonno. Appena pronto parto, in simultanea ammiro
il paesaggio mentre all’interno dell’abitacolo, guidando, consumo il panino,
confondendo le impressioni con i sapori. Tutto sa di buono, di magico quando si
è stanchi e appagati…
Malfa.
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