Fine di un’amicizia in Val Tramontina.
Non è detto che chi va in montagna appartenga al migliore dei mondi, spesso l’ambizione e l’apparire posso distruggere sul nascere alcune amicizie, o svelare che il sentimento era altro, e questa è una storia vera che vado a raccontare.
Durante un’escursione con Fox e Felix, proprio nella Val Tramontina, dopo aver peregrinato per false tracce a causa dello scarso senso di orientamento di Fox, ci fermammo poco prima della lunga via aerea che porta allo Zuc di Santins, le nostre valutazioni del tempo da impiegare per chiudere l’anello discordavano. Fox era ottimista, pensava di chiuderlo in poche ore, io quello un po’ scettico, prevedevo che avremmo fatto notte, anche per via del mio incedere lento ( scoprii in seguito che dovevo operarmi all’anca), Felix si mantenne neutrale, qualsiasi soluzione noi avremmo preso gli andava bene. Cercai di convincere il gruppo, che era tardi per osare, e camminare di notte non è mai prudente, malgrado eravamo tutti forniti di torce frontali. Proviamo a scendere per una via indicata dalla freccia rossa, prima non riuscivamo a trovarla la stessa, una volta trovata ci abbassammo di alcuni metri, seguendo dei vistosi bolli rossi, che portano sopra dei paurosi salti. Intuiamo che la via è alpinistica, quindi procediamo a un dietro front, ritornando sui nostri passi. Lo Zuc di Santins ormai è inevitabile, ritornare indietro è impossibile, quindi, armati di santa pazienza e buona volontà proseguimmo, preparandoci ad affrontare l’oscurità.
Questo episodio evidenziò le diverse personalità del gruppo: Fox è il più temerario e ambizioso, Felix è aperto a qualsiasi soluzione, mentre io sono quello accorto. Ripreso il cammino per la lunghissima dorsale, mi concessi a delle riflessioni, così il tempo mi passò velocemente. I compagni mi precedevano di alcune centinaia di metri, mentre udivo il loro parlare in lingua autoctona, e vista la distanza il suono mi appariva non decifrabile, questo mi permise di isolarmi dal contesto e percepire il percorso come una avventura solitaria.
La luce è sempre più fiacca, il sole sta per tramontare e i pensieri volano lontano, a quando, da bimbo, per riconquistare la libertà fuggii dal collegio dove ero stato rinchiuso, percorrendo tanti chilometri per i monti che precedono la mia città natia, quello fu il mio primo approccio con la montagna.
Ritornando alla realtà osservo che il sole emette gli ultimi stanchi raggi e la luna si prepara a regnare e illuminare le tenebre. Così arrivai alla cima dello Zuc di Santins, mi sistemai i calzettoni dentro gli scarponi, ultima breve pausa, prima della lunga discesa dal ripido pendio fino alla Forchia de Agardala.
Fox ci precedeva di poco, intento a scovare i bolli rossi prima che cali la notte. Lungo la vetta dello Zuc di Santins ci attendevano ancora dei saliscendi, un vero supplizio per le ginocchia, finché scendemmo dentro un catino, imboccando a destra un ripido canalino, dove con molta prudenza ci abbassammo, perdendo vistosamente quota. Con l’oscurità i bolli rossi non si scorgono più, ma intuiamo la logica del percorso, e grazie all’esperienza maturata da noi singoli, trovammo la giusta via, che ci portò in basso sino alla forcella, dove seguimmo una traccia che si innesta nei pressi della stalla di Zomenzons (rovine) con il sentiero 831.
Seguire il sentiero CAI non fu difficile, dei compagni ormai intravedevo solo le ombre che mi precedevano, mentre lassù, la luna puttana mi corteggiava, una Selene seducente, che nel medesimo istante faceva la civettuola con tutti i viandanti della notte, ingannandoli nell’elargire i suoi freddi raggi, mentre è palese che si prostituisse per quella manciata di parole che noi umani chiamiamo “poesia”.
La notte amplificava le sensazioni dando corpo ai sentimenti, raggiungemmo la Forchia de Agardala e adornammo il capo con le torce frontali, stavolta non fui più l’ultimo, mi misi in mezzo, così riuscivo a mantenere il gruppo compatto. Felix fa da apripista, io che sono lento in mezzo, mentre Fox (il più giovane del gruppo), chiudeva la compagnia. Come è previsto dalla più nobile regola della progressione dei gruppi in montagna, il più forte si mette ultimo per via del minor tempo di recupero di fatica che di solito impiega. È la prima volta che procedevamo in zona in notturna, e per Felix fu una prima assoluta. Procedemmo velocemente e senza intoppi, fino a raggiungere il sospirato borgo di Palcoda, dove Fox si liberò di tutta la sua adrenalina accumulata, percuotendo a più non posso la campana della chiesa. Fu quasi fatta, ci attendeva l’ultima salita fino alla forcella che precede l’ultimo tratto di sentiero che porta alla strada forestale.
Poco dopo la sella, si provvide ad allertare il buon Buck, sperando che fosse raggiungibile via telefonino, per evitarci l’ultimo tratto su asfalto (letale per le gambe); la fortuna ci assistette, verrà a prenderci e ci darà uno strappo con l’auto sino al nostro automezzo. Gli ultimi metri di sentiero fluirono serenamente, ci imbarcammo sull’auto di Buck e raggiungemmo il punto di partenza dove lasciammo l’auto. Stanchi ma euforici ci approntammo per la partenza, non prima di aver tranquillizzato i nostri cari a casa con i doverosi messaggi.
L’avventura si concluse in un caffè di Tramonti di Mezzo, con un’ottima birra, fummo soddisfatti. Dopo aver degustato la fresca bionda estratta dal luppolo si ripartì per le rispettive abitazioni. Necessitammo di una doccia calda , che ci allievasse dalle fatiche della giornata, per accompagnarci nell’ultimo e dolce viaggio del giorno, quello verso le braccia di Morfeo. Domani sarebbe stato un altro giorno, altre montagne e altri compagni di ventura.
Entro pochi mesi, fui operato all’Anca e mi fu somministrata una protesi che mi permise di affrontare ancora lunghe avventure selvatiche per monti. Ma non dimenticai più la lezione, in montagna se si parte in tre si rientra in tre, e le ambizioni vanno coltivate in solitaria senza mai mettere a rischio la sicurezza degli altri compagni di viaggio.
Malfa.
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