Magia all’ombra della Grauzaria.
Solo racconto e fotografie:
Da tempo mi mancava sostare sul punto più alto, quasi
pensavo di andare sul tetto di casa per respirare quell’essenza, quella
magnificenza, di non avere per un attimo nulla al di sopra dei capelli. Avevo
in mente altri itinerari, ho studiato diverse mappe alla ricerca di più itinerari,
tutto era pronto, ma all’improvviso ho cambiato idea e itinerario. Mi è venuto
in mente il monte Cimadors, aggiorno i dati e preparo la nuova mappa, così tutto
pronto, l’indomani si parte.
Giunge il sabato mattino, scruto il cielo, è
leggermente velato. Bene! Sarà una bella escursione. Si parte in compagnia del
mio migliore amico, il fido Magritte. Da Lestans in poco tempo mi ritrovo sulla
statale Pontebbana, percorsa sin dalle prime ore del mattino dalla laboriosa gente del Friuli. In
vista del monte Pisimoni, svolto per Moggio Udinese e successivamente seguo le
indicazioni per la Val Apua. Mi addentro nel vallone fino alla diramazione che
mi indica la frazione di Grauzaria. Sempre in auto continuo a seguire le
indicazioni, stavolta per Monticello. Prima del ponticello, posteggio sulla
destra (quota 525) e mi appronto.
Zaino in spalle e Magritte al seguito, si parte.
Davanti ho il torrente del Forchia, sull’altra sponda
del torrente scorgo un sentiero, dopo una rapida lettura della mappa topografica
lo guado, seguendo i radi ometti e risalendo la pesta. La veterana mulattiera
ascende la pineta, fino a raggiungere una rotabile asfaltata, che dopo una
serie di tornanti la stessa mi conduce al primo borgo “Badiuz”. La carrareccia
ora assume un aspetto rurale, risale a meridione il versante boschivo, alberata
sui due lati da vetusti faggi. Camminando avviene un inaspettato trapasso, dal
presente mi ritrovo nel passato, entrando e vagando in un sogno. Sulla mia destra
scorgo un piccolo trattore rosso con rimorchio, per un attimo ho la sensazione
che sia un giocattolo, il mio balocco con cui ho tanto giocato. Sento l’odore di
plastica di un gioco appena comprato, e io, da piccino, simulando il rumore del
motore, lo spingo sulla nuda terra. È una strana sensazione, sono indietro nel mio
tempo vissuto e in un altro luogo. l’emozione mi ha rubato alla realtà, piango
per la felicità, volgo un ultimo sguardo al mio trattorino e continuo a
risalire la remota strada.
Camminando supero dei remoti stavoli, giungendo nella
località Borgo di Mezzo, i ruderi erosi dal tempo lasciano trasparire tante storie vissute, il
borgo grazie all’operosità dei discendenti dei vallegiani non muore. Mi fermo
davanti ad una fonte con incisa la data in caratteri latini “MCMXI” e una
stella. Tutto intorno case in costruzione, un omino mi chiama, e mentre risale
in auto la frazione, mi chiede dove vado. <<Cimadors, sperando di non
incontrare neve.>> Mi risponde: << Alcuni escursionisti sono andati
su la settimana prima, la neve era abbastanza alta.>> La conversazione
procede, per alcuni minuti, in cui viene fuori il nostro comune entusiasmo per
la montagna. L’amico mi propone di prendere un caffè al mio ritorno, acconsento
all’invito. Ci salutiamo, proseguo per il sentiero che parte dal piccolo borgo.
Camminando rivivo la conversazione precedente: l’amico sconosciuto
somaticamente mi somiglia: brizzolato, occhi azzurri, barbetta, un altro
normanno sulla mia strada. Nel suo sguardo la fiamma ho letto la sincera espressione
dell’amicizia. Dare ospitalità a un viandante non è poca cosa. Risalgo la
vecchia mulattiera superando l’erto pendio erboso, fino a sfiorare il bordo del
precipizio che si aggetta sulla valle. Il sentiero ora si apre sul ripido
fianco del Cimadors, esile ed esposto in alcuni punti. Una non prevista
sorpresa mi attende, la conca prativa che ho raggiunto è ricoperta da un metro
di neve. Indosso le ghette, rimpiangendo le ciaspole che ho lasciato in auto.
Il sentiero, sempre ben segnato, prosegue nella vegetazione che a mano a mano
si fa più rada, fino a sbucare in un’ampia distesa. Sono al centro di uno
spettacolare manto nevoso e alla mia destra intravedo la mole del monte
Cimadors, e
In fondo a meridione, la piccola casera del Cimadors,
che dal piccolo rilievo domina la valle. Sarebbe lunghissimo descrivere le vibranti
emozioni che provo, la sola visione dell’ambiente innevato vale la fatica che
ho finora affrontato. L’incedere è problematico, ogni quattro passi affondo di
uno, sarebbe più facile nuotare in questo infinito oceano bianco. Magritte è
felicissimo, lo immortalo nelle sue piroette con una lunga sequenza
fotografica.
Tutto è incantevole, non ho parole ma solo infinita gioia,
che il battito del mio cuore manifesta.
Raggiunta la piccola casera, effettuo la prima sosta.
Di una veterana stalla rimangono solo le pareti perimetrali erette sapientemente
con sassi, e una piccola fontana esterna. Apro la porta e trovo sul tavolo il
libro delle firme. Apporto la mia e quella di Magritte, con l’indicazione che
saliamo in cima. Lascio lo zaino al piano disopra, dove sono riposti dei
materassi. Porto al seguito solo la piccola sacca gialla, con la picca, ramponi
e un pile. Continuo per la cima, cosciente che da dietro la casera, a
settentrione, diparte un sentiero, scorgo sugli alberi dei segni guida
biancorossi. Il manto nevoso si mantiene sempre corposo, spesso affondo fino
alla cintola, sono stanco ma non mollo. A fatica ci ritroviamo presso la sella
che si aggetta sulla valle a occidente. Splendida la visione sulla Grauzaria,
sono estasiato, la dirimpettaia montagna è bellissima, resistendo all’ipnotico
fascino proseguo l’escursione, seguendo i segni sugli alberi. Seguo sempre
l’innevato crinale del monte fin sotto la cresta. Dopo una serie di tornanti
sbuco su un traverso sgombro di vegetazione, ma infido per la notevole esposizione
a meridione. Lo attraverso con cautela, in fondo ad esso e in alto scorgo la
cresta, in alcuni punti affondo fino al ventre, resisto, disegnando con lo
zizzagare dei tornanti sul manto nevoso per raggiungere delle roccette poste
sulla linea di cresta. Effettuo una breve sosta per rifiatare e riflettere,
osservo dall’alto, davanti a me l’esile crestina innevata che mi porta alla
cima. La percorro al centro, attimi di piacere, piano piano conquisto
l’ante-cima materializzata da una piccola croce che emerge dalla neve. La vetta
fisica è posta poco più avanti. Mentre recupero energie scatto foto a raffica e
un autoscatto, e successivamente mi porto sul punto più alto. Sogno a occhi
aperti. Con un solo colpo d’occhio racchiudo assieme la vetta mole Grauzaria e del monte Sernio. Le
loro pareti perpendicolare e dirupate incutono tanto timore, mi rendo conto che
sto camminando sopra un morbido tappeto di neve che in realtà ricopre un oceano
di mughi. Procedo con cautela, il momento è solenne è merita una riflessione:
<<Nel vivere quotidiano si soffre e si fatica tantissimo e solo per
bramare pochi istanti di autentica felicità,.>> Questa è la meditazione
del momento. Con l’andare da solo amplifico il rischio e il pericolo, ma anche
la gioia e l’autostima. Ripresomi dall’emozione, mi ricordo dell’altra vita,
quella quotidiana, che mi aspetta laggiù, a valle. Rientro con passo lento,
lemme lemme, percependo il doloroso distacco dalla vetta. Ripercorro i punti
più delicati con calma, e raggiunta la casera in basso recupero lo zaino.
Scaricata l’adrenalina, la fame si manifesta all’improvviso; io e Magritte
banchettiamo, osservando assieme, nel vuoto temporaneo dei nostri pensieri il
bianco paesaggio, e qualche solitario albero. Dopo aver rassicurato sul libro
delle firme che siamo rientrati vivi e vegeti, rientriamo per sentiero di
andata. Raggiunto il Borgo di Mezzo, davanti l’abitazione dove prima avevo
lasciato l’omino sconosciuto, scorgo un’anziana signora (la madre), intenta a
lavorare nell’orto, la saluto, raccomandandomi di salutare il suo figliolo.
Risponde al saluto, chiedendomi da dove venivo, e saputa la meta raggiunta si
complimentava, indicandomi che il figlio era giù a valle a tagliare legna. Con
un sorriso mi congedo dalla senile friulana, e se avessi avuto tempo le avrei
posto mille domande sul vissuto del borgo. In basso scorgo l’amico a giocare
con il trattore rosso. Lo saluto, mi nota e risponde, spegnendo il mezzo e di
seguito raggiugendomi. Si presenta, si chiama Walter, rinnova l’invito per prendere un
caffè. Lo ringrazio di cuore, ma devo rifiutare il cortese gesto, scambiamo due
chiacchiere e i rispettivi indirizzi mail. Una forte stretta di mano sancisce
la nuova amicizia, tra il viandante venuto da lontano e il vallegiano dal cuore
gentile. Un gesto nobile come i Cavalieri di una volta, che incontrandosi e
salutandosi reciprocamente cedevano il
passo a vicenda, rispettosi del codice cavalleresco. Gli spiriti liberi per
fortuna sanno riconoscersi nella moltitudine. Rientro alla frazione fissando la
mole della Grauzaria, e di tanto in tanto gridando alla montagna: <<Ma
quanto sei bella, sei meravigliosa!>> Continuo a gridare il mio amore, sfrontato
e indifferente anche alle orecchie curiose che eventualmente avessero ascoltato
il mio folle strepito d’amore. Oggi la montagna è stata generosa con il
viandante, si è donata in tutta la sua regalità, insegnandogli che si trova più
umanità in un piccolo borgo che in una grande metropoli.
Malfa.
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