C’è sempre una prima volta sul Bottai…
Questa notte ho
sognato che da lupo diventavo falco librandomi nel cielo.
Appena sveglio ho avvertito una strana sensazione che
mi ha spinto a comunicare agli “amici di montagna” che nelle prossime uscite sarei
ritornato un viandante solitario …
L’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto.
Tempo fa conquistai
la cima del monte Piombada, e una settimana fa l’escursione sul monte Piciat,
non mi rimaneva che il monte Bottai per completare la cresta, e quale migliore
occasione come questa di ripercorrere le
mie orme ancora fresche.
D’accordo con “tre amiche”, l’appuntamento è fissato a
Sella Chianzutan alle prime ore del mattino, loro provenienti da Udine e Gemona
e io da Spilimbergo.
Durante
l’avvicinamento in auto il versante che osservo è quello a sud visto,
esattamente dal borgo San Francesco, bellissimo giro di avvicinamento che
stimola ulteriori avventure nella valle scavata dal torrente Arzino.
Arrivo in anticipo, indosso gli scarponi, e mi diletto a fotografare il lato sud del
massiccio del Verzegnis, oggi parzialmente imbiancato di neve. Mentre sul
Piombada, da quota 1300 metri si notano chiazze di neve, fino ad accrescere di
consistenza con l’aumento di quota.
La visuale sul Bottai è coperta dalle boscose pendici
del Nevar Avrint. Nel frattempo, sopraggiungono le compagne di viaggio, si
parte di buona lena. Oggi sono in forma, si arriva presto ai ruderi di casera
Mentuta (in ricostruzione). Breve sosta e prosecuzione verso Malga Avrint,
immersi nel bosco con un sentiero ben segnato. La quota si mantiene costante
intorno ai 1000 metri. Giunti sotto la malga, il sentiero si innesta su una
carrareccia che scende a valle, dovremmo scendere da quest’ultima al rientro.
Breve sosta alla Malga di Avrint, da dove ammiriamo un paesaggio meraviglioso.
Il sentiero diparte alle spalle della Malga e si inerpica, guadagnando
velocemente quota fino ad andare a spegnersi in un nevaio posto a quota 1160
metri, le dimensioni del nevaio sono considerevoli. Mi avventuro ai margini di
esso salendo per ripida dorsale, le compagne ad un tratto sono titubanti sul
proseguo. Superata una lingua di neve invito la ciurma a seguirmi, ma sono
sprovvisti di ramponi e abbandonano logicamente l’impresa rientrando a casa,
mentre io proseguo speranzoso. Il primo tratto di sentiero mi dà fiducia, ma
svoltato l’angolo scopro che da quota 1180 fino in vetta è tutta neve solida,
calzo i mini-ramponi nuovi di zecca e proseguo verso l’obbiettivo, seguendo i
rari segni sugli alberi. L’inizio è faticoso, ma di seguito, avendo scaldato
muscoli e preso fiducia, proseguo di buona lena, fino ad arrivare sulla traccia
che mi porta direttamente alla cima. Traccio
una direttissima tra i mughi che mi dà sicurezza, sia per la brevità e
soprattutto perché sopra di brilla un meraviglioso cielo azzurro. La scelta si
dimostra producente, in breve tempo sono in cresta e a pochi metri dalla vetta
del Bottai. Soddisfatto ricarico le batterie e
naturalmente l’autostima, ho un pieno di entusiasmo, e il mio canto liberatorio è in stile sioux.
Mi cambio gli abiti inzuppati di sudore. Indossando il foulard Afghano come
copricapo, e dopo l’autoscatto di rito,
do una lettura a un capitolo del libro di Gabriel Garcìa Marquez “Memoria delle
mie puttane tristi”. Per il rientro, giù
del pendio a oriente, e senza togliere i ramponi. Scendo rapidamente giù per
balze erbose fino alla forca. Artemide che ha seguito il mio operato mi
elargisce un dono che mi giunge gradito, a pochi metri nella boscaglia scorgo
un capriolo, così la Dea è solerte assistere i viandanti solitari.
Giunto al bivacco Carcadè, tolgo i ramponi (mi ci ero
affezionato), firmo il diario di bordo e via per la calata. Mi pare anche
logico che non sia ridisceso per il nevaio, sono il Malfa e non Jo Condor.
L’obbiettivo è rientrare sicuri, quindi, raggiungo per
il sentiero fino ad incrociare a quota
894 metri il bivio che mi riporta a malga Avrint.
Il cammino senza numerazione risale per circa 100
metri quota, fino a stabilizzarsi su quest’ultima quota posta a circa 1050
metri. Verso metà tragitto la pesta assume la fisionomia di un’ampia
carrareccia, ed io, per vincere la noia, tiro fuori dallo zaino una vecchia
armonica, in sintesi (l’armonia) me la canto e me la suono. Giunto alla Malga
stavolta non mi fermo, continuo rapidamente il mio corso, superando senza patemi un ampio nevaio. A un bivio non svolto per il sentiero a
destra e proseguo a sud per la carrareccia, fino ad incrociare un altro noioso
percorso, ovvero la rotabile che sale a
sella Chianzutan. Negli ultimi due chilometri riduco il chilometraggio
tagliando per i prati, e finalmente raggiungo l’automezzo. Tolgo gli scarponi
che sono fumanti, mi ristabilisco dandomi un aspetto decente e presentabile,
metto in moto l’auto, e mentre dallo
stereo risuona la musica energica dei Beatles riparto per la meravigliosa valle
dell’Arzino.
Note:” Chi non risica non rosica, e chi non è
attrezzato non risichi!! "
Un ringraziamento particolare agli amici di sempre: il
coraggio, l’orientamento, l’autostima e il GPS aggiunto di recente.
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento