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martedì 19 dicembre 2023

C’è sempre una prima volta sul monte Bottai…

C’è sempre una prima volta sul Bottai…

 

 

Questa notte  ho sognato che da lupo diventavo falco librandomi nel cielo.

Appena sveglio ho avvertito una strana sensazione che mi ha spinto a comunicare agli “amici di montagna” che nelle prossime uscite sarei ritornato un viandante solitario …

 

L’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto.

Tempo fa  conquistai la cima del monte Piombada, e una settimana fa l’escursione sul monte Piciat, non mi rimaneva che il monte Bottai per completare la cresta, e quale migliore occasione come questa  di ripercorrere le mie orme ancora fresche.

D’accordo con “tre amiche”, l’appuntamento è fissato a Sella Chianzutan alle prime ore del mattino, loro provenienti da Udine e Gemona e io da Spilimbergo.

 Durante l’avvicinamento in auto il versante che osservo è quello a sud visto, esattamente dal borgo San Francesco, bellissimo giro di avvicinamento che stimola ulteriori avventure nella valle scavata dal torrente Arzino.

Arrivo in anticipo, indosso gli scarponi,  e mi diletto a fotografare il lato sud del massiccio del Verzegnis, oggi parzialmente imbiancato di neve. Mentre sul Piombada, da quota 1300 metri si notano chiazze di neve, fino ad accrescere di consistenza con l’aumento di quota.

La visuale sul Bottai è coperta dalle boscose pendici del Nevar Avrint. Nel frattempo, sopraggiungono le compagne di viaggio, si parte di buona lena. Oggi sono in forma, si arriva presto ai ruderi di casera Mentuta (in ricostruzione). Breve sosta e prosecuzione verso Malga Avrint, immersi nel bosco con un sentiero ben segnato. La quota si mantiene costante intorno ai 1000 metri. Giunti sotto la malga, il sentiero si innesta su una carrareccia che scende a valle, dovremmo scendere da quest’ultima al rientro. Breve sosta alla Malga di Avrint, da dove ammiriamo un paesaggio meraviglioso. Il sentiero diparte alle spalle della Malga e si inerpica, guadagnando velocemente quota fino ad andare a spegnersi in un nevaio posto a quota 1160 metri, le dimensioni del nevaio sono considerevoli. Mi avventuro ai margini di esso salendo per ripida dorsale, le compagne ad un tratto sono titubanti sul proseguo. Superata una lingua di neve invito la ciurma a seguirmi, ma sono sprovvisti di ramponi e abbandonano logicamente l’impresa rientrando a casa, mentre io proseguo speranzoso. Il primo tratto di sentiero mi dà fiducia, ma svoltato l’angolo scopro che da quota 1180 fino in vetta è tutta neve solida, calzo i mini-ramponi nuovi di zecca e proseguo verso l’obbiettivo, seguendo i rari segni sugli alberi. L’inizio è faticoso, ma di seguito, avendo scaldato muscoli e preso fiducia, proseguo di buona lena, fino ad arrivare sulla traccia che mi porta direttamente alla cima.  Traccio una direttissima tra i mughi che mi dà sicurezza, sia per la brevità e soprattutto perché sopra di brilla un meraviglioso cielo azzurro. La scelta si dimostra producente, in breve tempo sono in cresta e a pochi metri dalla vetta del Bottai. Soddisfatto ricarico le batterie e  naturalmente l’autostima, ho un pieno di entusiasmo,  e il mio canto liberatorio è in stile sioux. Mi cambio gli abiti inzuppati di sudore. Indossando il foulard Afghano come copricapo,  e dopo l’autoscatto di rito, do una lettura a un capitolo del libro di Gabriel Garcìa Marquez “Memoria delle mie puttane tristi”.  Per il rientro, giù del pendio a oriente, e senza togliere i ramponi. Scendo rapidamente giù per balze erbose fino alla forca. Artemide che ha seguito il mio operato mi elargisce un dono che mi giunge gradito, a pochi metri nella boscaglia scorgo un capriolo, così la Dea è solerte assistere i viandanti solitari.

Giunto al bivacco Carcadè, tolgo i ramponi (mi ci ero affezionato), firmo il diario di bordo e via per la calata. Mi pare anche logico che non sia ridisceso per il nevaio, sono il  Malfa e non Jo Condor.

L’obbiettivo è rientrare sicuri, quindi, raggiungo per il sentiero  fino ad incrociare a quota 894 metri il bivio che mi riporta a malga Avrint.

Il cammino senza numerazione risale per circa 100 metri quota, fino a stabilizzarsi su quest’ultima quota posta a circa 1050 metri. Verso metà tragitto la pesta assume la fisionomia di un’ampia carrareccia, ed io, per vincere la noia, tiro fuori dallo zaino una vecchia armonica, in sintesi (l’armonia) me la canto e me la suono. Giunto alla Malga stavolta non mi fermo, continuo rapidamente il mio corso,  superando senza  patemi un ampio nevaio.  A un bivio non svolto per il sentiero a destra e proseguo a sud per la carrareccia, fino ad incrociare un altro noioso percorso, ovvero  la rotabile che sale a sella Chianzutan. Negli ultimi due chilometri riduco il chilometraggio tagliando per i prati, e finalmente raggiungo l’automezzo. Tolgo gli scarponi che sono fumanti, mi ristabilisco dandomi un aspetto decente e presentabile, metto in moto l’auto,  e mentre dallo stereo risuona la musica energica dei Beatles riparto per la meravigliosa valle dell’Arzino.

 

 

Note:” Chi non risica non rosica, e chi non è attrezzato non risichi!! "

Un ringraziamento particolare agli amici di sempre: il coraggio, l’orientamento, l’autostima e il GPS aggiunto di recente.

 

 

Malfa.

 

 









 

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