Il magico trittico del Rondoi.
Il luogo sacro montano per chi vive nel pordenonese è
il gruppo di cime che domina Piancavallo.
Il trittico di
monti che avevo in mente è nato dopo la mia prima ascesa sulla Cima Manera. È
risaputo che da escursione nasce escursione, arrivi in vetta e dai uno sguardo alle
altre vette, e inconsciamente la mente ti proietta su nuove mete. Così è
avvenuto per il Cimon dei Furlan (facente parte delle cime del gruppo del
Cavallo), cima che avevo sempre marinato per via della sua minor altezza in
confronto alla Cima Manera. Dalla cima Laste ne avevo osservato il profilo, ne
desideravo la conquista, e il tarlo della conquista continuava a scavare dentro
di me. Così arriva il giorno dell’avventura, sorseggio un caffè dal terrazzo di
casa, dando uno sguardo al profilo del gruppo montuoso. Il cielo è terso, si
profila una bella giornata. Parto, destinazione Piancavallo, 45 minuti di
strada a velocità moderata. Arrivato al centro sciistico, seguo le indicazioni
per il campo sportivo, dove lascio l’auto. Zaino in spalle e sogni al seguito,
si parte. A pochi metri dal parcheggio (spiazzo sterrato) parte una traccia che
tagliando il prato si porta sul sentiero CAI , che proveniente da destra
lambisce il fianco orientale del gruppo del Cavallo. Pochi metri di sentiero
ancora e un cartello CAI mi invita a salire a destra per il sentiero Gerometta
e l’alta Via dei Rondoi. Conosco bene il bel sentiero per averlo percorso in
precedenza, con moderata pendenza esso si inoltra nella faggeta. Il percorso è
ben segnato, lo risalgo sbucando fuori dal bosco (quota 1600 all’incirca) in
una aperta radura che risale con moderata pendenza. Mi fermo un attimo per
alleggerirmi dal vestiario (fa molto caldo). Nel frattempo, vengo superato da
una scia di escursionisti, oggi è domenica e i sentieri sono più affollati del
solito. Ripreso il cammino raggiungo velocemente l’altopiano ai margini della
Val Sughet. Un tabernacolo con crocefisso è piantato al centro del crocevia dei
sentieri. Trovo nei pressi degli escursionisti intenti ad osservare con
binocoli la fauna. Procedo per il sentiero che passando sotto le pendici
occidentali del Cimon dei Furlan risale la valle glaciale. Incantato dalle cime
della valle, mi concentro sull’itinerario, decidendo di proseguire in direzione
della forcella del Cavallo, il sentiero è comodamente percorribile per detriti.
La traccia si spinge fin sotto le ripide pareti del monte Cavallo, ove si
biforca in due direzioni: a destra sale la via diretta per la cima Manera
passando per la forcella che unisce la Cima dei Furlan al monte Cavallo (tratto
attrezzato); a sinistra prosegue dritto fino alla forcella del Cavallo. Scelgo
la seconda direzione, preferendo salire per prima sul Cimon di Palantina. Nel
frattempo, vengo raggiunto da uno spirito libero, conversiamo lungo il percorso
avendo in comune il tratto fino alla forcella della Palantina. È veneto,
simpatico, commentiamo di comune accordo che è meglio andare da soli in
montagna, si respira un altro spirito, non posso che condividere tale pensiero,
essendo fresco della cocente delusione provocata da “Topo Gigio e company”.
Sulla forcella della Palantina dopo aver superato insieme l’esposto sentiero,
le nostre strade si dividono, un altro arrivederci sui monti. Dalla forcella si
gode una bella visione sul versante meridionale del Cavallo, percorro l’esile
crestina che mi porta alla vetta del Cimon. Mi alleggerisco nel frattempo dello
zaino, lasciandolo presso un grande masso, e proseguo leggero verso la
bellissima cima inerbita. Sul vertice del monte trovo un’originale croce (2190
m.) e un cilindro con libro dei visitatori e timbro. Bellissima, un’emozionante
sensazione di libertà assoluta mi avvolge. Dall’alto noto che la valle oggi è
visitata da molti lupi solitari, un luogo che è un richiamo per chi sa
veramente apprezzare i silenzi. Scendo, riprendo lo zaino e percorro a ritroso
il sentiero fino alla forcella del Cavallo (cartello con indicazioni CAI).
Breve sosta, ammirando i dirupati ed esposti versanti del Cimon di Palantina,
meraviglia! Indosso l’imbrago e mi preparo ad affrontare Cima Manera dal
versante meridionale. Nel frattempo, da quest’ultima sopraggiunge un
escursionista (altro lupo solitario). Ci riconosciamo! Quest’anno ci siamo
incontrati sul monte Ciaurlec, mi riferisce che ha effettuato un’escursione sul
monte Castello, prendendo ispirazione dal mio blog. Gli chiedo del percorso che
sta effettuando, in sintesi lo stesso che io sto per fare, ma all’incontrario,
mi raccomanda di stare attento al versante meridionale della cima Manera. Ci
salutiamo, dandoci appuntamento alla prossima. Attrezzatomi, procedo verso la
nuova meta. Dalla forcella supero con un cavo una breve parete articolata,
penso sia alta 20 metri, con passaggi di primo grado, così raggiungo un esile
prato esposto sui due versanti; superato quest’ultimo la marcata traccia mi
porta alla grande parete rocciosa del corpo principale del monte Cavallo. Una
serie di bolli mi aiuta a individuare i passaggi migliori. Dopo avere superato
un paio di metri esposti senza protezioni, mi aggancio alle attrezzature (cavo
metallico) così risalgo 50 metri di paretina articolata (passaggi di I e II
grado) fino a uscire sugli esposti prati sommitali. Dopo pochi metri il prato
si ampia rendendo sicura la progressione. Supero a destra l’attacco per la via
ferrata che mi porterà in discesa al Cimon dei Furlan, e dopo aver ammirato una
scultura (angelo?) raggiungo lo strano monolito biancorosso con annessa
campanella, libro e timbro di vetta (2251 m.). In contemporanea giungevano dal
rifugio Semenza due atletici corridori (skyrunning) veneti. Scambio di
battute(simpaticissimi) e foto a gogò. Firmato il libro di vetta e apportato il
timbro sul libretto nero, retrocedo, imboccando la via ferrata in discesa. Non
è difficile, molti, anzi tutti la salgono senza imbrago. Preferisco usare
l’imbrago, così mi posso concedere alla contemplazione e alle foto. Raggiunta
la base del tratto attrezzato (100 metri di dislivello), proseguo per una
esposta cengia, anch’essa attrezzata che mi porta alla forcella dei Furlan che
collega i due colossi. Bellissima è la sensazione di transitare sull’esposto
tratto. A settentrione osservo le verticali e vertiginose pareti che si
aggettano nella Val Piccola, tanto esposte da far apparire rassicurante il ben
esposto e ripido versante meridionale.
Lo percorro con tranquillità, mi aspettavo di peggio,
anzi trovo piacevole percorrere i suoi tratti articolati, aiutato da un cavo
metallico (ottima attrezzatura, nuova di zecca). Durante l’arrampicata spesso
mi fermo dando uno sguardo nel vuoto, non mi fa paura, solo un dovuto timore,
ma mi piace osservare il lato oscuro delle montagne. La breve attrezzatura mi
aiuta a salire sul Cimon dei Furlan per il tratto più dirupato, lambendo in più
punti il ciglio dell’esposto versante. Giunto sul prato sommitale, mi dà il
benvenuto una campanella solitaria, poco più in là il cumulo di sassi con una
croce in metallo, la cima quota 2183 m. Nel frattempo delle nuvole
sopraggiungono dal versante settentrionale, giocando a nascondere la cima
Manera. Presso la croce trovo l’ultimo libro di vetta con l’annesso timbro.
Finalmente pausa, zaino a terra dove ripongo l’imbrago, dedicandomi a
fotografare le meraviglie del luogo. La pax dura poco a causa del
sopraggiungere di due donzelle dal versante meridionale del Cimon dei Furlan.
Il silenzio, che fino a pochi minuti prima regnava sovrano, è rotto dalla loro
loquacità ad alto volume di argomenti personali; tali da essere uditi fin nella
lontana cima della Palantina e forse anche sul Raut. Pazienza non tutte le
ciambelle riescono col buco. Apro lo zaino, consumando il pasto e guardando
lontano, lasciandomi incantare dalla natura. Ripreso lo zaino, pronto per il
rientro, saluto le “volatili starnazzanti” e riprendo il cammino verso sud,
scendendo per la lunghissima cresta del Cimon. Lungo la discesa mi fermo spesso
ad ammirare una inconsueta fioritura di stelle alpine. Bellissima la cresta,
immagino che sia faticosa per chi sale questo versante. Raggiunto il
tabernacolo con crocifisso chiudo l’anello, rientrando per lo stesso sentiero
dell’andata. L’escursione tecnicamente è stata meno difficile di quanto mi
aspettassi e soprattutto non solitaria, malgrado fossi solo.
Malfa.
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