I selvaggi
Cameroni.
Tutte le
montagne hanno un lato oscuro, esso sovente è quello dove la luce della
curiosità umana raramente filtra. Così il Monte Pala d’Altei conosciuto ai più,
serba nella sua ombra cime selvatiche e molto accattivanti che aspettano lo
scarpone del viandante solitario e audace. Per questa mia inguaribile curiosità
indagatrice ho scelto il versante nord della catena montuosa che dalla località
di Piancavallo conduce fino al Lago di Barcis. Trattasi di un versante che
ignoro del tutto, malgrado tante volte vi sia passato vicino, anzi sotto. Da
una sommaria analisi ho intuito che è il lato scuro e misterioso del monte Pala
d’Altei, l’unica certezza che ho e che partirò dalla destra orografica
orografico del Lago di Barcis. Il mattino dell’avventura, durante
l’avvicinamento, dopo aver superato (in auto) la galleria presso Montereale di
Valcellina, mi fermo brevemente presso un punto sosta, da dove posso ammirare
parte del lago artificiale creato dalla forra scavata dal Cellino. Dal mio
punto di osservazione posso scrutare in lontananza le ripide pareti aggettanti
della Croda del Pic, meta finale dell’escursione. Sempre alla guida dell’auto e
dopo una serie di gallerie artificiali, sbocco nella meravigliosa valle
fluviale del Cellino, dove lo sguardo viene rapito dalle Signore dalla bianca
roccia, dominate dall’inconfondibile mole del Crep Nudo. Anche se sono passato
e ripassato mille volte da questo luogo, ogni volta mi pare che sia la prima;
l’emozione dello splendore dell’ambiente montano mi emoziona, e rimanere
concentrato alla guida non è facile. Seguendo i cartelli con indicazione
Piancavallo svolto subito a sinistra, circumnavigando in senso orario il lago
artificiale. Mi fermo per l’ennesima volta, e sul nuovo ponticello in metallo,
e di seguito, uscendo dall’abitacolo immortalo con l’animo e la reflex il
paesaggio degno del pittore acquerellista inglese Turner. Le signore montagne,
ammantate di smeraldo e dalle corone d’argento sono riflesse con l’intera volta
celeste nel placido specchio d’acqua del lago. La natura è la più eletta delle
gallerie d’arte, e oggi mi mostra l’ultima sua opera. Tramite la mappa cartacea
cerco e trovo la località segnata come Portuz, che risalirò tramite una breve
serie di tornanti .Presso una casera-abitazione scorgo un nativo, chiedo
gentilmente dove posso lasciare il mezzo, mi indica con cortesia uno spiazzo
all’interno della sua proprietà. Non vi nascondo che il gesto signorile mi
commuove, mostrandomi quella rara sincera ospitalità che oggi la si ritrova
solo nei più anziani. Lascio l’auto accanto ad un trattore, e m’appronto
velocemente, mi aspetta una bella sfacchinata. Una volta pronto, zaino in
spalle e sogni al seguito, parto, iniziando il cammino. Dopo pochi metri sul
bordo della carrareccia, noto una targa in metallo su cui è scolpito a basso
rilievo il nome del sentiero che devo risalire, Alta Via Sci Escursionistica
“Adriano Perissinitto”. Lascio la comoda carrareccia per iniziare il sentiero,
e dopo pochi metri sono proiettato all’interno di un meraviglioso e misterioso
bosco dominato dalla regale presenza dei sontuosi faggi. Sono quasi settecento
i metri di dislivello da risalire all’interno dell’adombrato bosco, circa due
ore di cammino, che mi permettono di sognare a occhi aperti, ripensando al
recente vissuto, e immaginando situazioni future. La montagna ha anche questo
di pregio, riesce, grazie al singolare cammino solitario, a coinvolgere
l’individuo in un’autentica catarsi. Alcuni anfratti sono davvero misteriosi, e
in uno tronco d’albero scolpito dagli eventi scopro il corpo desnudo di
Artemide. La dea raramente si concede, ma quando è rapita dall’eros inebria i
viandanti. Il cammino è meraviglioso e oscuro, pare di muoversi nel cuore
l’Ade, in cerca di quel raggio di luce che mi riporti alla vita terrena.
All'improvviso, un’intensa luce mi attrae e mi conduce sotto la volta celeste,
dove il cammino diviene luminoso, sfiorato dai piccoli arbusti di ginestre e
aceri montani. E in mezzo alla fatata realtà mi appare come per magia la sagoma
della casera “La Pala”. Lo stupendo ricovero è dotato di tutti i confort e sono
a totale disposizione del viandante. Lascio all’esterno del riparo, adagiandolo
sulla panca, lo zaino, e ispeziono la struttura per scoprirne in una visita di
cortesia gli interni. La visione è stupefacente, e più che un riparo mi pare
una reggia, pulito e ordinato, con una graziosa dispensa ricca di tutto e di
più. Anche la zona notte è ben curata, e tanti dolci pensieri mi ispira. Mi
accomodo un attimo su una seggiola, per firmare sul tavolo il libro che ho al
seguito e che ho preventivato di donarlo agli avventori del rifugio. Ne ho
viste tante di casere e malghe, e questa è una delle più confortevoli e
affascinanti. Lasciato a malincuore la casera proseguo per le prossime mete:
trattasi di cime minori che si trovano nelle vicinanze. Seguito per il sentiero
tramite una facile pesta che mi porta a vagare serenamente per l’altopiano
carsico. Incrocio altri sentieri, e seguitando raggiungo l’inerbito versante
meridionale. Mappa alla mano, intuisco che mi conviene andare fuori pista, e
tramite un taglio sui prati ricchi di affioramenti carsici, mi porto in
prossimità del sentiero che solca la Val del Celin. Raggiunta la pesta, decido
di andare oltre, inoltrandomi nella macchia arborea per raggiungere la prima
cima odierna, il Monte Forte, quotato 1436 metri. L’ambiente è selvatico, non
vi sono tracce, e la stessa cima ( occultata dalla vegetazione) altro non è che
uno sparuto masso sporgente dall’erba; su di esso erigo un ometto in onore di
Artemide. Dal vertice lancio una sbirciatina al dirimpettaio Pala d’Altei, più
alto di cento metri e nascosto dalla selva. Riparto immediatamente per la
seconda meta, vagando (sempre fuori traccia) in completa libertà. L’emozione
dell’esplorazione è intensa, mi lascio guidare dagli invitanti crinali. Ascendo
una seconda quota(anonima), prima di dedicarmi alla vetta del Monte I Cameroni.
La delizia dell’incedere sta nella curiosità del conoscere, e metro dopo metro,
perlustro un territorio sconosciuto. Gli amici faggi che celano la vetta mi
serbano un altro dono. Artemide, commossa dall’ometto che ho eretto
precedentemente in suo onore, ha deciso di ricambiarmi il presente,
trasfigurandosi in camoscio. Infatti, poco prima della vetta e sull’esposto
crinale della Croda del Pic, scorgo un gruppo di camosci (una famigliola di
ungulati) provenienti come per magia dall’esposto versante. La femmina del
gruppo, Artemide, mi fa cenno di seguirla prima di sparire nella selva,
lasciandomi delle tracce per raggiungere la singolare e selvatica vetta dei I
Cameroni. Percorro un breve di cresta coperto dalle fronde della vegetazione,
ed eccomi in vetta al I Cameroni (1420 m.). Il pulpito panoramico è
strabiliante come aspetto e posizione , solo radi massi calcarei prominenti sul
vertiginoso versante che domina il paesaggio circostante, con una visuale che
vola fino alla pianura friulana. Una sensazione di magnificenza mi rapisce e
avvolge l’animo, tutto è così divinamente selvatico e primordiale, e mi illude
di essere il primo umano che volge lo sguardo da questo pulpito; un’effimera
illusione benefica, e di queste sensazioni mi piace illudermi. Dopo aver
indugiato e studiato per alcuni minuti la mappa, decido per quale versante e da
quale direzione rientrare. Nella mappa topografica ho letto il nome di una
cresta, Croda del Pic, elaboro una serie di combinazioni tra eventuali tracce,
che tramite un percorso di cresta in discesa, mi conducano al sentiero percorso
a inizio escursione. Sulla carta l’idea appare facile, quindi, non rimane che
passare ai fatti. Dalla vetta inizio la discesa, mantenendomi dove fosse
possibile sul filo di cresta e rasentando il versante esposto a meridione. Una
pesta effettivamente la trovo, ed è proprio a filo con il crinale. Il tragitto
è molto intuitivo, e di rado mi spingo all’interno onde evitare affioramenti
granitici di una certa difficoltà. L’unico incomodo è il trovare dei bolli blu
e a vernice tinti sulle rocce e le cortecce degli alberi, e se non bastasse
trovo anche la medesima bomboletta spray, abbandonata impunemente e
spudoratamente su un masso. Non mi esprimo oltre su codesto signore, autore di
un gesto semplicemente ignobile. Purtroppo, di seguito, le tracce si perdono,
quindi, proseguo con l’aiuto dell’intuito, destreggiandomi e tracciando tra
massi, schianti e vegetazione spontanea, una diagonale con direzione sud-ovest.
Dall’alto avvisto in basso la carrareccia percorsa in mattinata, e in pochi
attimi gli sono a ridosso per chiudere l’anello dell’escursione. Raggiunto il
sentiero ufficiale proseguo con calma (soddisfatto) fino alla frazione di
Portuz, dove mi aspetta l’automezzo. Dopo essermi approntato per il rientro,
prima di ripartire, mi concedo un fuori programma, gironzolando intorno
all’abitazione dove ho lasciato l’auto. L’edificio (abitato) è stato edificato
su un pulpito panoramico eccezionale, da dove posso ammirare in una sola
inquadratura, il lago di Barcis, l’omonima frazione e le vette che la
circondano. Ho avuto la strana sensazione che questa mirabile e giornaliera
visione influisca benevolmente anche sui locatori , donando al loro animo una
beatitudine e uno spirito caritatevole, e anche se è una mia sensazione voglio
illudermi che sia vera. Inebriato dall’appena concluso viaggio fantastico nel
cuore della montagna, rientro tra i comuni mortali, felice anche questa volta
di aver un’altra storia vissuta e da raccontare.
Malfa.
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