La magia delle Crode dei Longerin
Solo racconto:
Da cosa nasce cosa! Detto famoso e veritiero, quindi, da escursione nasce
escursione, e così è stato per quest’ultima fatica. Nella precedente avventura
avevo percorso il versante settentrionale dei torrioni dei Longerin, e ne
rimasi incantato, sentii il loro richiamo e mi fu impossibile resistere.
Approfittando del bel tempo e della festività infrasettimanale, ho deciso di ritornare
sul luogo del misfatto. Il martedì mattina sono pronto come sempre per una
nuova avventura, e in compagnia del mio
caro e fedele amico(Magritte). La partenza rispetto al solito è anticipata per
via della distanza della località. Giungo nella vallata di Sappada che è ancora
notte, i cannoni sparaneve sono in azione e nel cielo stellato fa capolino uno
spicchio di Luna. Il borgo illuminato dalle luci natalizie ha un’atmosfera da
sogno, soave e ipnotica. Arrivo nella località di San Pietro di Cadore e seguo
la segnaletica per il borgo di Valle. Mi fermo un attimo ad ammirare l’aurora
che accarezza i monti. Riprendo il cammino in auto risalendo la ripida strada
forestale asfaltata, stretta ed esposta a oriente. Superando numerosi e
caratteristici stavoli giungo in uno spiazzo poco sotto il rifugio della
Forcella di Zovo. Parcheggio l’auto e mi appronto, zaino in spalle si parte
(direzione nord)!
Pochi metri dopo un cartello CAI mi invita a seguire
la carrareccia a settentrione, poco dopo la rotabile si biforca: quella a
sinistra scende fino al borgo di Costalta, quella a destra aggirando il rifugio
della forcella scende fino alla valle di Visdende.
Un cospicuo numero di cartelli CAI è posto nella
forcella di Zovo (quota 1608 m.). Seguo le indicazioni per Val Vissana. Un
sentiero numerato, partendo dalla strada forestale si inoltra nel bosco di
conifere, per poi uscire allo scoperto assumendo il caratteristico aspetto di
una mulattiera di guerra scavata nella roccia. Il percorso, aggirando l’esposto
versante meridionale del Monte San Daniele, domina l’affascinate Val Visdende. L’immaginifico
ambiente è dominato dal monte Rinaldo, dalle creste del Palombino e dalla
lontana e inconfondibile mole del monte Peralba.
Sono estasiato da cotanta meraviglia, il cielo terso e
la temperatura mite contribuiscono a questo mio felice stato d’animo. Continuo
per il sentiero imbiancato dalla soffice neve, risalendo il ripido versante
meridionale della Val Vissada, fino all’imbocco dei Piani Omonimi. Varco un
cancello in legno che metaforicamente rappresenta la porta del paradiso, e che
paradiso! Mi avvio per i Piani di Vissada con entusiasmo, immerso in un mare
d’erba color giallo-ocra, e in esso mi perdo. Gotiche guglie dolomitiche si
scagliano in lontananza nel cobalto empireo. Cammino lentamente, ma tanto
lentamente perché lo sguardo è fisso sui torrioni, e passo dopo passo e con
l’avvicinarmi, l’orizzonte dolomitico si amplia. L’emozione è indescrivibile,
la vita è meravigliosa quando ti dona queste esperienze. Al centro del catino
erboso è posta una baita solitaria in una surreale posizione, e ben mimetizzata con il contesto paesaggistico.
Il sentiero risalendo il piano erboso del catino conduce sulla morbida cresta settentrionale, solcata
da una miriade di trincee della Grande Guerra. Sopra la cresta è un crocevia di
camminamenti, la pesta cavalca la cresta ad oriente raggiungendo la cima del
monte Schiaron, transiterò per questo sentiero al ritorno dalla Croda del
Longerin.
Percorrendo l’erbosa cresta mi spingo a occidente,
raggiungendo la forcella dei Longerin. Il sentiero scende a settentrione,
tagliando il versante settentrionale dei Torrioni dei Longerin, raggiugendo la
forcella del Palombino. La mia meta è a occidente, risalgo il ripido pendio
addentrandomi nel teatro dolomitico.
Superati dei grandi massi seguo l’esile traccia che si
districa tra radi segni e ometti. Il pendio diviene leggermente faticoso,
coperto da macchie di neve risale tra balze erbose e roccette, lasciando i
punti migliori all’intuito. La cima è lassù, preceduta da uno spesso manto di
neve. Nell’addentrarmi sotto le cuspidi rocciose sono rapito dalla bellezza
delle rocce. Mi fermo incantato, ammirando i torrioni e le crode, sono letteralmente
incantato e mi pare l’eroe omerico rapito dal canto delle sirene.
Osservo le cuspidi rocciose che mi appaiono come tante
cariatidi dal corpo nudo, protese verso il cielo; capricciose, sorridenti,
incuriosite dal viandante solitario. Vorrebbero attirare a sé, la più alta è la
più cattivella, nascosta tra le altre mal si concede allo sguardo, e non ama i
solitari. La Dea di roccia, la meta da raggiungere, la sbircio di spalle,
anch’essa si nasconde, ma dietro un mantello di neve per poi di seguito svelarsi.
Raggiunto il tratto sommitale sotto la cresta, mi appresto a realizzare il
sogno. Lascio lo zaino in una zona sicura, in modo di affrontare la salita con
più sicurezza, e accanto a d esso lascio
anche Magritte, sicuro di ritrovarlo al rientro. Armatomi di ramponi e piccozza
e con al seguito una sacca con l’indispensabile parto per la conquista. Dopo
aver superato un tratto ripido, poco sotto la cresta imbocco una cengia aerea,
che da ovest si spinge ad est lungo un traverso coperto di neve e molto
esposto. In un breve passaggio la neve è così dura che ho problemi con gli
stessi ramponi. Sono costretto ad avanzare con cautela piantando la piccozza in
profondità per farmi sicurezza. Superato l’adrenalinico tratto mi ritrovo a
risalire un ripido articolato che mi porta alla stretta forcella e da
quest’ultima sul versante meridionale del monte, una piccola cengia mi porta
alla rampa sotto la cima. Una croce di legno materializza la massima elevazione
della croda sud, ed emozionato di aver raggiunto la meta, mi godo il momento.
Per via della piccola dimensione della cima, devo improvvisare un cavalletto
per l’autoscatto con la reflex. Tra me penso:<< fai di tutto per evitare
i rischi e ti suicidi per un banale autoscatto?>>. Azionando l’auto
scatto corro a ritroso con i ramponi, fermandomi davanti la croce. Bene! In uno
degli scatti mi sono procurato con le punte dei ramponi uno strappo sui pantaloni,
la prima toppa da eseguire su quelli invernali! Il paesaggio dalla cima è
qualcosa di indescrivibile, la temperatura è mite, gioisco, tutto è
superlativo!
Ripresomi dall’emozione mi appresto alla discesa, con cautela, superando il
tratto esposto, stavolta senza patemi. Raggiungo Magritte, che nel vedermi
sano, salvo e solo con uno strappo ai pantaloni scodinzola felice di gioia!
Ripresa la discesa decido di espugnare per arricchire la splendida giornata la
cima dello Schiaron, posta sul versante opposto. In pochi minuti raggiungo la
forcella dei Longerin e ripresa la cresta, la cavalco fino all’attacco con il
sentiero 196. La cresta, ora più ampia, è inerbita e solcata da fitta rete di
trincee. Il sentiero, abbassandosi poco sotto la cresta, lambisce la parte
sommitale di un castello di roccia. Poco prima della bastionata rocciosa lascio
lo zaino in un incavo riparato, portando al seguito solo il caro amico a
quattro zampe e la sacca con i viveri. Aggiro la mole rocciosa per esile
sentierino che sovrasta i ripidi prati, e successivamente, svoltando a sinistra,
risalgo le placche rocciose fino a raggiungere un pulpito segnato da due
ometti. Alla mia sinistra scorgo sulla nuda roccia un ingannevole segno CAI e
una esile cengia esposta, la seguo aggirando la parete a nord, ma qualcosa non
mi convince. L’eccessiva esposizione, e un camino dove bisogna scendere con
passaggi di primo grado su un esposto baratro. Ritorno indietro con cautela,
pensando che nelle relazioni a mia
disposizione non avevo letto nulla di particolarmente difficile. Dall’alto
della cengia noto che oltre i due ometti c’è un varco nella roccia, che
prosegue a est. Superati i due ometti trovo l’autentico sentiero, stavolta ben
marcato, continua e ben marcato a oriente. La falsa traccia di prima mi ha
lasciato un po’ perplesso! Da sotto i bastioni rocciosi scorgo la croce di
vetta, seguendo il sentiero risalgo il versante orientale, ovvero il cupolone
inerbito. La cima è materializzata da due croci. Una in legno con crocefisso a
cui è agganciato un porta vivande in plastica con libro di vetta, l’altra croce
più piccola in metallo, ben piantata nella roccia. Poco più avanti, a
settentrione, i resti di quello che sicuramente fu un osservatorio militare! Il
panorama da questo pulpito è strabiliante, ruoto con lo sguardo a trecentosessanta
gradi sulle Alpi Carniche e le Dolomiti. La temperatura si mantiene mite, ne
approfitto finalmente per riprendere un po’ di energie consumando il pasto con
il mio compagno di viaggio. Magritte è tanto entusiasta del suo pasto, una bella
porzione di salsicce! Beh! Lo ha meritato! Il mio grande amico a quattro zampe a
quattro zampe, stoico, ubbidiente ed eroico come pochi. Il sole tramonta all’orizzonte,
è giunto il triste momento del rientro! Raggiunto lo zaino riprendo il cammino,
tagliando per i prati in modo da guadagnare tempo per non giungere in tarda ora
all’auto! Nel frattempo, vengo raggiunto da un escursionista solitario(Remo),
aveva fatto le crode mentre io salivo sul monte Schiaron. Istauriamo una
cordiale conversazione, scambio di idee e di esperienze sulla montagna. Come
spesso mi succede, in montagna incontro degli adorabili sconosciuti, istaurando
un rapporto profondo, che spesso termina con un’amicizia fraterna che si accresce nel tempo.
In montagna la tessera di riconoscimento, il codice
fiscale, il segno zodiacale, la propria religione, la nazionalità non sono
indispensabili, anzi, tutto l’opposto.
Tra viandanti basta solo guardarsi negli occhi e
aprirsi in profondità, tutto il resto è superfluo.
Raggiunta la forcella di Zovo, mi congedo dal nuovo amico e per il ritorno
decido di rientrare dal versante occidentale, passando dal borgo di Costalta.
La stupenda frazione ha le caratteristiche case in
stile rustico, sculture in legno, tutto ammalia ed è come se vivessimo dentro
un incantesimo. Ho vissuto un altro sogno a occhi aperti ,e una volta raggiunta
l’auto ho il più amaro dei risvegli, cioè, quello del rientrare alla vita
quotidiana.
Malfa.
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