Quando
l’amore vince su tutto…
Raggiunta la
località di Saps cerco il cartello con l’inizio sentiero che trovo percorrendo
altri ottocento metri sulla strada locale. Vado un po’ avanti, inverto la
direzione e trovo parcheggio in uno spiazzo presso la curva. La giornata non è
fredda, e salendo dalla Val Aupa ho notato che i versanti meridionali dei monti
sono quasi sgombri da neve quindi lascio in auto le ciaspole portando al
seguito solo gli immancabili ramponi. Mi appronto indossando le ghette che
sicuramente mi saranno utili in cima, zaino in spalle e Magritte e sogni al
seguito si parte. Il primo tratto del sentiero è ripido, mi inoltro in un bosco
di faggi e abeti bianchi. La traccia è ben battuta, la temperatura mite ottiene
il suo effetto, sento caldo e decido di fermarmi per alleggerirmi dal pile,
guanti e berretto di lana. In pochi secondi assumo l’aspetto classico del
Malfa, fasciando la fronte con l’immancabile bandana. Nel frattempo vengo
superato da un lupo grigio con lupa al seguito, ci salutiamo augurandoci una
buona escursione. Lascio ai due lupi un discreto vantaggio, per avere
l’illusione di essere solo. Ripreso il cammino nel bosco raggiungo la cresta,
ora la traccia ha la chiara sembianza di una mulattiera e costeggiando la
cresta sul versante meridionale raggiunge gli stavoli di “Gran Cuel “. Mi fermo
ad ammirare i ruderi, solo un edificio sembra aver resistito al tempo, lo
osservo, ci sono ancora i numeri civici: due, tre e quattro, mi avvicino e
scruto, osservo una scaletta esterna che porta al piano di sopra e le due
finestrelle. Ho la sensazione di sentire delle presenze. Volto lo sguardo
all’edificio, dal piano terra una scaletta in legno s’innalza ad un balcone
pensile che porta ad un appartamento con due finestre: ad una di esse stanno
ancora le tendine appese alle ante, le stesse che vide cento anni fa il
sergente Marco Rossi assegnato alla terza compagnia del battaglione “Monte
Granero”.
Era il primo aprile del 1917, Marco fu promosso sergente da
poco più due anni per meriti durante la conquista del monte Nero (inquadrato
nell’84 compagnia del mitico Battaglione Exilles), era stato riassegnato
insieme al suo eroico comandante il Maggiore Vincenzo Arbarello al battaglione
degli alpini” Monte Granero” che guarniva il monte Cullar. La sede del comando del contingente era sul
versante settentrionale, esattamente sulla forcella Turriee. Il sergente spesso
scendeva per la mulattiera che collega la forca alla val Aupa, passando per gli
stavoli, fino a quando non scorgeva da dietro la finestra ornata di tende un
bel volto di donna. Ella aveva capelli neri, occhi scuri e sguardo intenso. Il
giovane sottufficiale ne rimase colpito, e da allora ogni scusa fu buona per
portare il mulo giù a valle e poter passare presso gli stavoli di Gran
Cuel. Da un boscaiolo che operava presso
la frazione seppe il nome della bella dama e la sua storia. Ella di nome faceva
Anna Tomat, sposata, con due figli (Giovanni e Maria), il marito Alan Turchet
era partito tre anni prima della guerra per l’Argentina (in Patagonia) in cerca
di fortuna, promettendo che sarebbe ritornato appena fosse possibile per
portare con sé la famiglia. Dopo le prime lettere non aveva più scritto, forse
si era rifatto una vita. Anna portava avanti la famiglia lavorando su per i
prati, raccogliendo foraggio o aiutando i genitori che vivevano nella casa
accanto. Un giorno Marco con la scusa di riprendere il mulo si fermò presso la
fontana dove Anna lavava i panni. Poche parole, lui cortese e lei silenziosa,
ma gli sguardi svelavano tutto. La passione del soldato colpito dallo volto
della bella friulana e il vuoto d’amore riempito dall’ardore del soldato. Lui
sicuramente più giovane di lei e anche temerario, da quel giorno passava spesso
e se la scorgeva presso la fontana, senza farsi notare le lasciava piccoli
pensierini: cioccolata, pane e scatolette di carne. A volte anche quando non la
vedeva alla fonte le lasciava fiori di campo raccolti di proposito per lei.
Fino a quando la donna piena di desiderio e accecata dalla passione durante
l’ennesima sosta del sergente lo invito nella sua casa, gli disse che gli
avrebbe lasciato l’uscio aperto di notte e che lei dormiva nella stanza a
destra, quella con le tendine. Il giovane emozionato non stava nella pelle, le
rispose: << Verrò stanotte.>>. Era il primo aprile del 1917,
sembrava uno scherzo del destino. Il sergente giunto al comando chiese il
permesso di poter scendere la sera prima che facesse buio giù alla valle,
avrebbe dormito nella baracca in basso e così la mattina sarebbe ritornato
presto con il mulo e i viveri. Il Maggiore Vincenzo Arbarello, che sapeva della
cotta che il sergente aveva con la bella montanara, fece finta di credere alla
storiella e acconsenti. Appena il sergente usci fuori dal locale del comando il
tenente Botasso fece notare al maggiore che il sottufficiale si era inventato
una scusa per amoreggiare. Il maggiore lisciandosi il baffo sorrise, stette un
attimo in silenzio e rispose;<< Caro Tenente, in guerra ogni giorno è
buono per morire, che questa notte sia buona per amare.>> Lisciandosi di
nuovo il baffo si avvicinò alla finestra guardando verso il monte Salinchiet,
sicuramente stava pensando alla sua bella, così lontana fisicamente e così
vicina nella mente. Quella notte il sergente Marco Rossi lasciò il mulo presso
casera Lius, e a piedi raggiunse gli stavoli. Salì piano la scaletta, il cuore
gli batteva a mille, trovò l’uscio accostato che apri piano, sentiva il respiro
dei ragazzi che veniva dalla stanza a sinistra. Socchiuse l’uscio e apri la
porta della stanza a destra, la socchiuse, si spogliò dell’uniforme e si infilò
nel letto nuziale. Lo trovò caldo e si accostò al corpo di lei; era vestita,
l’ardimentoso soldatino con carezze e baci la spogliò degli abiti e del pudore
e per tutta la notte fecero l’amore. Prima del canto del gallo il milite lasciò
il talamo d’amore, poggiando un fiore dai petali aperti presso la fonte. Salì
alla casera Lius recuperò il mulo e scese giù a valle a Saps per recuperare i
viveri per il comando militare. Quel dì il 2 aprile del 1917 era una giornata
bellissima, la temperatura era in forte ascesa, dalla Val Aupa era uno
spettacolo ammirare la Grauzaria innevata. Marco fischiettando un canto degli
alpini risaliva lungo la mulattiera finché avvertì un forte boato diverso dalle
solite artiglierie, fragoroso e più lungo, poi silenzio. Un lungo silenzio che
aveva messo a tacere le armi. Marco avverti un sinistro presentimento e aizzò
il mulo ad avere un andamento più veloce. Dopo un paio di ore giunse presso la
forcella che collega il Palon di Lius con il Cullar e una tragica visione gli
raggelò il sangue. La bella giornata primaverile e l’innalzamento della
temperatura aveva provocato un’enorme valanga che aveva sommerso la forcella
Turriee e l’intero comando militare. Per Il maggiore Vincenzo Arbarello, il
Tenente Botasso e altri quattordici alpini non ci fu scampo. La sera Marco
insieme ad altri alpini scavando nella neve riuscì a penetrare nel comando,
dove trovò il corpo del Maggiore e del Tenente intatti, morti a causa di una
fuoriuscita del carburo utilizzati per l’illuminazione. Sul tavolino un biglietto
scritto a matita con mano tremante: << Credevo di morire diversamente, ho
cercato di aiutare il mio tenente Botasso in tutti i modi ma inutilmente. Muoio
asfissiato nel nome d’Italia!>> Erano le ultime parole del Maggiore
Vincenzo Arbarello. Marco raccolse quel biglietto, lo piegò e lo consegno a un
capitano, subito dopo si allontanò dal sito, guardando prima la montagna
assassina e lontano verso Il Salinchiet. L’amore della bella friulana e la
generosità del Maggiore gli ’avevano salvato la vita. Presto fu inviato sul
fronte presso il Carso e successivamente oltre il Piave a combattere fino alla
vittoria finale. Congedato, ritornò a casa e volle dimenticare la guerra. Si
sposò, ebbe due figli, non lasciò la moglie per la Patagonia, ma visse felice, ebbe
dei nipotini, finché un giorno nella sua memoria riapparvero i volti del
Maggiore Arbarello e della bella Friulana. Volle rivedere quella terra e la Val
Aupa. Ritornò con la sua famiglia, ripercorse il sentiero fino agli stavoli che
trovò abbandonati. Rivide la scaletta in legno e la finestra con le tendine
ancora lì, e come in un sogno gli apparve il volto di Anna dietro di esse. Si
fermò alla fonte a giocare con la nipotina, mentre sopraggiunse un montanaro.
Gli chiese cortesemente che fine aveva fatto la gente che abitava gli stavoli.
Il montanaro gli rispose che i vecchi ora erano morti ma subito dopo la guerra
si erano trasferiti giù a Moggio Udinese, mentre la Anna con i figli aveva
raggiunto il marito in Patagonia. Un sospiro di sollievo colse l’animo di
Marco. Egli non aveva mai raccontato per intero la storia alla moglie, le aveva
solo detto che si era salvato perché il mulo si era ferito ed era rimasto la
notte tra il primo e il due aprile a Saps. Rientrava con la famiglia a valle,
ma prima volle dare un ultimo sguardo alla scala in legno, alla finestra con le
tendine e al volto della donna che amandolo lo salvò.
Finito di
fantasticare riprendo il cammino seguendo la traccia che aggira la vecchia
abitazione, alle sue spalle trovo una vecchia fonte, il sentiero percorrendo il
crinale si avvia verso occidente passando sotto dei vecchi faggi dalle forme
antropomorfe…
Malfa
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