La Rosa purpurea e il
Pettirosso
Poco dopo il viadotto attraverso il magico borgo delle rose, confesso che adoro questo fiore, e questa pittoresca frazione ne è ricca.
Spesso, durante i miei
tragitti in auto mi fermo a portarne via qualcuna, recido con un delicato tocco
il fiore dal gambo velandolo dentro il palmo della mano, per poi donarlo a chi
amo. Anche stavolta mi sono fermato davanti al magico roseto, e con agire
guardingo mi sono avvicinato ad esso, una rosa tra tutte mi ha attratto. Il
purpureo fiore se ne stava solitario fuori dal roseto e isolato sul
marciapiedi, quasi al bordo della strada.
La rosa fiorita da
tempo brama di fuggire sui monti che da lontano ha sempre venerato; non vuol
essere donata a un amore che come tutte le cose del divenire non durano in
eterno. Il bel fiore mi chiede di portarlo su un monte, per ammirare il mondo
dall’alto e aspettare che un sospiro le sparga i petali al vento.
Dopo aver accolto il
desiderio della rosa, la colgo e l’adagio sul sedile anteriore dell’auto, e di
tanto in tanto lungo il tragitto l’ammiro, chiedendole se essa ha mai amato. Mi
risponde di sì, che ha amato, e che sapeva sin da quando era bocciolo che
sarebbe stata dono d’amore. Come aspetto non le giungo nuovo, spesso mi sono
avvicinato, ma non le volgevo lo sguardo, ammiravo le altre, che sicuramente
saranno finite dentro un le pagine di libro, o peggio ancora in un bidone di
composto. Stavolta sapeva che sarei passato da lì, lo ha sognato, mi ha
chiamato con il cuore e io le ho risposto. Ora come un grande amore, fugge con
me, lontano da tutto e da tutti, su una cima che ha solo intravisto nei sogni.
In vetta apro il
taschino della giubba dove ho riposto la rosa purpurea. Prendo il fiore con
cura e delicatamente e lo adagio in cima all’ometto di pietra, improvvisamente
brevi aliti di vento ne spargono alcuni petali per la vetta, il resto rimane
deposto assieme al gineceo sulla fredda pietra. Tra i petali scorgo il sorriso
dell’elegante fiore, che spegnendo lo sguardo abbandona questo mondo, donando
come ultimo gesto i suoi petali color rosso ardente e il suo delicato effluvio.
Osservo la rosa
purpurea estinguersi nell’amore, una lacrima furtiva solca il mio viso, la
sento scendere, calda e dolce come una carezza, il sacrificio del fiore è un
gran gesto d’amore, mi ha commosso.
Il paesaggio che mi
circonda è meraviglioso, mi riempie l’animo di emozioni, ammiro tutte le catene
montuose del Friuli e più in là, la neve ancora non ha fatto capolino e la
temperatura mite rende il tutto irreale.
Non so quanto tempo
sia trascorso, riprendo la via del ritorno, scendendo lesto per quanto io possa
fare, finché mi ritrovo di nuovo tra i giganti. Ho la vaga impressione di
essere seguito, sospetto una strana presenza tra i megalitici guardiani della
valle, come di una farfalla, tocchi furtivi che intravedo di sottecchi, per poi
fuggire via, chissà dove è andato, chissà cos’è. Ecco svelato il mistero, è un
uccellino, ancora non riesco a identificarlo, si occulta tra i rami della
vegetazione attirando il mio interesse. Ora dal piumaggio l’ho riconosciuto,
trattasi di un simpatico e solitario pettirosso. Il pennuto birbantello, con
brevi guizzi e volteggi mi segue, come se mi guidasse nei sogni e desse
risposte ai miei interrogativi. Faccio finta di nulla, di non averlo scorto, ma
capto la sua presenza. Mi segue tra le rocce e gli ombrosi faggi dipinti di
rosso dall’autunno, lasciandosi accecare dagli aghi dorati del larice. Il
pettirosso mi segue sino all’auto, mimetizzandosi tra le foglie mancate. Chissà
cosa esso desia? Io nel frattempo parto, rientro, lasciando la magica valle per
raggiungere l’aperta pianura. Guido con pacatezza, anche se a volte ho la vaga
sensazione di essere seguito. Penso che queste sensazioni siano dovute alla
stanchezza, quindi sorvolo. Durante la guida sogno e rivivo le emozioni, e in
questo stato di estasi raggiungo la frazione dove vivo. Dopo aver lasciato
l’auto in giardino e scaricato i materiali mi avvio all’abitazione. Davanti il
cancello condominiale, posto su un lato noto per terra il corpicino di
uccellino, mi abbasso per indagare meglio. È un pettirosso privo di vita,
sicuramente morto per la fatica. Con tristezza lasciandomi trasportare dalla
fantasia, immagino che sia il piccolo pettirosso intravisto precedentemente in
montagna, e che all’estremo delle sue forze mi ha seguito per un centinaio di
chilometri fino a casa, giungendo così stanco da spirare. Lo raccolgo,
adagiando il piccolo corpo inerme sopra una foglia e con un’altra lo copro. Non
voglio sotterrarlo! Lo adagio con la testolina e lo sguardo proteso verso
l’azzurro cielo, chissà perché mi ha seguito, forse mi ha protetto durante il
viaggio del ritorno, oppure anch’esso desiderava lasciare la montagna per un
mondo e un sogno nuovo, come me in questo momento.
Malfa.
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