Monte
Forchiadice da Dordolla.
Localizzazione:
Avvicinamento:
Regione:
Friuli - Venezia Giulia.
Provincia
di: Udine
.
Dislivello:
1000 m.
Dislivello
complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 14
Quota minima partenza: m. 612 m.
Quota
massima raggiunta: 1600 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In:
Coppia
Tipologia
Escursione: ambientalistica – storico-naturalistica
Difficoltà:
escursionistiche tranne la vetta più alta del Monte Forchiadice che è per
esperti.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero remoto molto affascinante.
Ferrata- no
Segnavia:
CAI 425; 422;
Fonti
d’acqua: si
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Difficoltà
di orientamento: nessuna
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si,
edificato uno sulla cima più alta.
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Consigliati:
Periodo
consigliato: primavera -estate
Da evitare da farsi
in: con terreno gelato.
Dedicata a: a chi ama
i borghi romantici come Dordolla e i sentieri che svettano nel cielo.
Condizioni del
sentiero: ben marcato e segnato
N° 657
Cartografici: IGM Friuli
– Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet:
Data dell’escursione:
sabato 19 novembre 2022.
Data di pubblicazione
della relazione:
Nel magico Friuli montano vi è un bel paesello che sorge
alle pendici meridionali dell’affascinante monte Vualt, in una idilliaca posizione, da dove si può
ammirare in tutta la sua magnificenza una delle regine della montagna friulana,
la Creta Grauzaria. Puntualmente, quando ho bisogno di forti emozioni, mi reco
nel regno dei moggesi, vagabondando nella Valle Aupa alla ricerca dei suoi
gioielli. Per quest’ultima avventura, assieme alla mia compagna, abbiamo scelto come
luogo di partenza proprio Dordolla. Per il sottoscritto questa è la seconda
visita nella piccola frazione. La prima volta fu al rientro dall’escursione sul
monte Cuzzer, esattamente un lustro fa, e con me c’era anche il fido Magritte; allora
la visita fu breve, solo per gustare una cioccolata nel bar del paese, e in
quell’occasione lasciai un disegno che avevo eseguito nello stesso locale per
l’amico Gianfranco Druidi. Questa escursione, ideata solo il giorno prima,
nasce spontaneamente e anche pigramente.
Rapiti a lungo da morfeo, mia moglie ed io, siamo rimasti a lungo avvolti dal tepore
delle coperte, ma così tanto, da uscire
da casa in un orario dove normalmente i più sono da ore in marcia in montagna.
Negli ultimi anni non sono più rapito dalla frenesia delle levatacce, non amo
più percorrere chilometri con l’auto per l’avvicinamento alla montagna, cosa
che mi costringeva ad alzarmi nel cuore della notte per arrivare sul luogo della partenza prima che
sorgesse il sole. Sono diventato meno ansioso, e della montagna mi godo di più i
particolari, che prima solitamente sdegnavo,
sicuramente per la frenesia della conquista della vetta. La luce diurna mi coadiuva
nel contemplare le fantasie del creato. A Dordolla giungiamo due ore prima del
meriggio, dove godiamo di una meravigliosa domenica dal tono primaverile.
Mentre ci approntiamo, con lo sguardo ammiro le case della frazione e il moto laborioso dei locali. Oggi la nostra meta
sarà il Monte Forchiadice, questa vetta l’ho scoperta grazie ad un’attenta
analisi della mappa topografica della zona.
Transitiamo per le
stradine del borgo, intuendo che si tratta
di una frazione viva e che brulica anche di presenze giovanili, e soprattutto di spiriti liberi. In passato,
durante le mie escursioni in loco, ho incontrato tanti tipi positivamente
strani, che vivevano e operavano a Dordolla, oggi intuisco anche il perché di
questa speciale presenza. Un frigo posto all’esterno di una abitazione, in disuso e dipinto a mano, attira la nostra
attenzione, all’esterno vi è scritto con una bella calligrafia “ la grande
piccola biblioteca”. Apriamo le portiere di quello che fu un elettrodomestico, per
scoprire centinaia di libri pronti a volare per altri lidi, in attesa dei nuovi
che prendano il loro posto. Noi abbiamo sempre un libro nello zaino, e lasciamo
il nostro, scritto da Montanelli, per un’opera di Pirandello, mi pare che sia
stato un ottimo scambio.
Dordolla è anche
questo, cultura, mentre nell’aria si fiuta il
magico odore della legna arsa nel camino. Grazie ai numerosi segni Cai posti
nella periferia del paese iniziamo il nostro giro escursionistico, decidendo di
compiere nell’odierna gita un anello con senso antiorario con il seguente
sviluppo: risalire sino al Monte Forchiadice tramite il sentiero 425, per poi
rientrare con il 422 proveniente dal ricovero Cjasut dal Sior. Il primo tratto
del cammino ha un fascino particolare, presso gli Stavoli Soval ci fermiamo ad
osservare gli oggetti posti all’esterno di un edificio, raccolti sicuramente dall’omino
che abita la casetta nel suo vagare tra i monti.
Fra la maestosa
vegetazione, un noce spoglio e un regale
e vistoso faggio con foglie dai colori accesi, ci danno il benvenuto,
augurandoci un buon cammino. Il sentiero, di remota memoria, è comodissimo per
le nostre articolazioni, esso conduce nel primo tratto all’interno di una
meravigliosa pineta, dove rare sono le altre specie arboree. Poche volte le
fronde concedono la visuale del paesaggio circostante, e in quei momenti spuntano
all’orizzonte le verticali e fantasiose pareti occidentali del Vualt, che da
questo versante paiono invincibili.
Presso quota 937 m.
incontriamo un solitario rudere, rassegnato all’inesorabile oblio che il tempo accorda
alle opere dell’uomo. Poco dopo l’ultimo bivio il sentiero CAI
425 prosegue per la Malga Vualt, noi viriamo a sinistra, e con una lunga
serie di stretti tornanti, risaliamo la china, guadagnando vistosamente quota
all’interno del vallone fluviale scavato dal Riu di Vat, e a sua volta,
racchiuso tra il versante occidentale del Monte Vualt e le pendici meridionali
del Monte Forchiadice.
La pineta pian piano viene
avvicendata da una meravigliosa faggeta. Il bosco è ben pulito, e si nota l’opera
dell’uomo. finalmente, dai balconi panoramici offerti dagli stretti tornanti
del sentiero, possiamo ammirare le altre elevazioni che svettano a meridione.
Quella che attira la mia attenzione e spicca più delle altre è la breve cresta
del monte Masereit, che dal mio punto di vista appare come se fosse scolpita a
forma di corna. Lo sguardo vola anche a valle, ammirando il fondersi delle catene montuose in mille
tonalità d’azzurro. La nostra meta pare dietro l’angolo, ma è un inganno
visivo, il cammino è ancora lungo. Dalla frazione di Dordolla dobbiamo risalire
ben 1000 metri di dislivello.
L’azzurro cielo che
filtra dalle fronde spoglie dei faggi indica che siamo vicini alla bella
forcella posta tra i due monti. Ultimi tornanti ed eccoci sulla forchia, dove spiccano i resti dei manufatti militari risalenti al
Primo Conflitto Mondiale. Questa fetta
di territorio era il secondo sbarramento trincerato che aveva creato il Regio
Esercito Italiano nella sciagurata ipotesi che gli austroungarici avessero
sfondato il fronte.
Nella flora i pini
mughi hanno sostituito i faggi. Vago con lo sguardo riconoscendo all’orizzonte lo
Zermula, la Creta di Aip e altre elevazioni, che furono al centro della contesa
degli opposti schieramenti nella Prima
guerra mondiale, e che oggi mostrano una spolverata di neve sulle creste, a testimoniare
che il Generale Inverno sta per arrivare.
La nostra meta è
vicina, e dal nostro punto di vista si mostra nel suo duplice aspetto, dolce e
abbordabile a sud, ostica e indomabile a nord. Proseguiamo, sperando di trovare
per la vetta più alta del Monte Forchiadice, un punto per accedere alla cima. Grazie
all’ausilio dei mughi adoperati come
corde iniziamo la scalata. Il tratto è ripido, ma con prudenza dopo pochi
minuti siamo in vetta (quota 1600 m). Nessun ometto è eretto sulla quota più alta
del monte Forchiadice, sicuramente è dovuto all’enorme esposizione. Commosso
dall’anonimato, ne erigo uno io, nel
fazzoletto d’erba esposto sul vuoto.
La visita è breve ,
tira vento, e anche l’esposizione
consiglia una breve permanenza. Per la discesa dalla vetta sino al sentiero
sottostante, seguiamo delle tracce nelle zolle, naturalmente grazie all’ausilio dei santi mughi. Era nostra
intensione evitare la cima più bassa posta a metri 1579, ma la curiosità gioca
brutti scherzi, e io sono assai curioso. La seconda vetta è segnata da bolli blu e anche da un cartello,
quindi, in pochi minuti siamo a ridosso della cima. Rispetto alla precedente è più
facile da raggiungere, e una volta che siamo sull’inerbito cupolone sommitale, attraverso
un taglio tra i mughi raggiungiamo delle roccette dove troviamo i miseri resti di
quella che fu una cassetta in metallo adibita a porta libro di vetta. Non siamo
pentiti della conquista, anzi, ne siamo felici. Iniziamo la discesa vera e
propria per completare l’anello. Decidiamo di posticipare la pausa del
desinare, ci accontentiamo di consumare delle barrette energetiche, perché,
visto l’orario, abbiamo solo due ore di luce, quindi, ci tocca accelerare il passo.
Il versante occidentale che completa l’anello, nella prima parte è la
continuazione dell’Alta via C.A.I. di Moggio, ed è davvero affascinante, sia per
la bellezza del fianco che per la storia che racchiude in sé. La pesta è
un’evidente e remota mulattiera di guerra, infatti, alcuni antri furono adoperati
come ricoveri, oggi di essi rimangono pochi ruderi in cemento armato. La
discesa è lunghissima, e si svolge all’interno di una fitta faggeta. Un’infinità di tornanti, creati
per rendere agevole il transito, ci accompagna per circa settecento metri di
dislivello, finché il pendio, con un lungo e dolce sentiero continua a sud, in
direzione di Dordolla.
Il sole sta per
tramontare dietro la Creta Grauzaria, e la visibilità si attenua. Giungiamo in
vista della bella frazione notando le luci accese che donano a Dordolla quel
meraviglioso aspetto che hanno i borghi montani nel periodo natalizio. Pochi
metri ancora ed eccoci a transitare per
i vicoli, con la luminosità artificiale che cambia le tinte delle pareti delle
abitazioni. Anche quest’ultima avventura è terminata ed è stata meravigliosa, la
stessa ci ha svelato un altro luogo del Friuli a noi sconosciuto. Durante il
rientro in auto decidiamo di desinare. Per
me non è la prima volta quello di nutrirmi mentre sono alla guida, durante le
escursioni altre attività sono prioritarie, tali da mettere in secondo piano quelle
poco avventurose come il consumare il pasto.
Durante il rientro,
ispirato delle molteplici luci ipnotiche
degli autoveicoli che si muovono nell’oscurità della sera, rivivo l’avventura,
felice della nuova cima da ricordare e di una nuova storia da raccontare.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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