Monte speziale 913 m. dalla riserva
dello Zingaro.
Note tecniche.
Localizzazione:
Riserva dello Zingaro(Scopello) Trapani.
Avvicinamento:
Autostrada Palermo-Trapani-Castellamare del Golfo- Scopello.
Punto di Partenza:
Ingresso sud Riserva Naturale Orientata “Zingaro”.
Dislivello:
913 m.
Dislivello
complessivo: 961 m.
Distanza
percorsa in Km: 14,9 km.
Quota minima
partenza: 0, 20 m.
Quota
massima raggiunta: 913 m.
Difficoltà: Escursionistico,
tranne il tratto finale per andare in cima senza sentieri e tracce).
Segnavia:
Cartelli del Parco
Tempo
percorrenza totale: 5ore.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature
: Nessuna.
Cartografia
consigliata.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Ben marcato.
Data: O2
luglio 2016.
Relazione.
È facile
scrivere la parola “sogno” che spesso usiamo per raffigurare desideri più o
meno importanti da realizzare. Ma scrivere o descrivere un’escursione da sogno
non è in questo caso retorica. Anni fa in edicola uscì un nuovo mensile ”Bell’Italia,
dovrebbe essere ancora in pubblicazione, questa nota rivista ogni mese mostrava
le più belle località della penisola, e tra queste una in particolare mi colpì”
Il parco naturalista dello Zingaro”. Trattasi di un luogo incontaminato dove è
possibile rivivere il tempo remoto, accessibile all’interno solo a piedi da due
ingressi: quello a sud di Scopello (da dove ho iniziato l’escursione), e quello
a nord di San Vito Lo Capo. La mattina del 2 luglio, si parte presto da
Palermo, per raggiungere la località che dista più di un’ora di autostrada. L’allegra
combriccola è composta da mia moglie, mia sorella e suo marito e la nipotina. Per
fortuna non guido, così posso ammirare durante il viaggio il paesaggio. Ammiro
i massicci calcarei, uno più bello dell’altro, ne ignoro i nomi, scruto le vie
alpinistiche sulla roccia, i punti deboli, li scalo con lo sguardo, cercando i
punti più accessibili. La fantasia tiene sempre allenato il mio spirito
avventuriero. Superato il piccolo borgo di Scopello, siamo in dirittura di
arrivo, le fantastiche calette e i dolomitici torrioni che si aggettano a mare
facendoci sognare. Si arriva all’ingresso sud del Parco (pedaggio). Presa una
mappa della sentieristica ci si avvia verso il centro visitatori, al bivio
posto presso quest’ultimo il sentiero si biforca come il destino mio e della
famiglia. Decido di proseguire l’escursione risalendo un marcato sentiero,
mentre l’allegra combriccola scenderà alla prima caletta (Cala Capreria) per
sollazzarsi al sole e bagnarsi nelle limpide acque.
Prima di dividerci controllo di avere
al seguito lo stretto necessario: GPS, acqua, viveri, ok! Saluto, dando loro un
arrivederci a dopo sulla spiaggetta, che dio me la mandi “Bona”. L’emozione dei
primi metri è tanta roba. Come sperimentato in queste escursioni in terra di
Sicilia, procedo con abbigliamento e attrezzatura minimalista: scarpette di
avvicinamento, maglietta, bermuda in cotone, acqua in abbondanza, uno zaino
leggero e bastoncini da trekking; le mappe in formato jpeg le ho caricate sul
telefonino. Attrezzatura ben lontana da quella che solitamente adopero in
Friuli, qui il meteo è stabile e l’unico vero pericolo è quello di prendersi
un’insolazione. Per proteggermi dal sole ho adottato un cappello da trekking e
un grande panno di cotone bianco che metto tra il cappello e la testa per creare
quella leggera ventilazione. Zaino in spalle, si parte subito per la direzione
indicata da un cartello (sentieri dei Karren e Stone Forest). Da subito ho un primo
incontro con un animale caro alla storia rurale dell’isola, un mulo adibito al
trasporto dei rifiuti, atmosfera che mi ricorda le vacanze estive che da
ragazzo trascorrevo nel piccolo paese di Ravanusa. Tutto questo mi invita ad immergermi
nei ricordi e lasciarmi andare. Un
sentiero ben marcato traccia l’erto pendio erboso (disa) cosparso di sassi. I
colori sono vivaci, gialli, bruni, verdi che contrastano con l’azzurro mare. Fa
caldo, ma l’aria non è molto umida, la brezza marina da sollievo. Con una serie
di tornanti raggiungo una caratteristica casera restaurata color rosa, una
fontana è posta all’esterno (acqua non potabile), breve sosta panoramica e
proseguo per il sentiero che con moderata pendenza si inerpica tra due colli.
Tenendo la mappa sempre sotto occhio ad un bivio con cartelli scelgo la
direzione a destra, ho in mente di risalire il colle soprastante (Pizzo Anna)
posto a quota 610 metri. Sudo tantissimo, cerco di non bere per risparmiare
acqua. Lungo il sentiero passo davanti ad una caratteristica costruzione locale:
un pozzo ampio e circolare costruito con sassi con l’adiacente fontana,
chiamata in dialetto “Gibbiuni” che in passato usavano per abbeverare gli
animali. Sono estasiato dal paesaggio, sto vivendo in un ‘altra dimensione.
Respiro lentamente, annuso l’aria, mi godo gli attimi, il terreno è asciutto,
attraverso l’erba alta tenendo lo sguardo fisso alla cima del pizzo. La traccia
attraversa un piccolo avvallamento che con dolcezza mi porta in quota raggiugendo
una conca dal nome inglese ”Stone Forest”, disseminata di massi. La traccia ora
prosegue su un falso piano, quasi orizzontale, ho deciso di abbandonare i
propositi verso il Pizzo Anna, e proseguire per vedere dove mi porta il
sentiero. Giungo in un vasto altopiano, disseminato da erbaccia e sassi, ometti
con sopra cartelli indicatori mi riportano indietro nei ricordi. Sembra di
stare nell’Arizona, deserto da film western caro a noi ragazzi di una volta. Mi
godo il paesaggio a 360° gradi, immenso, infinito, in lontananza noto un monte
dalle linee morbide; guardo la mappa orientandola e scoprendo che il nome del
monte è Speziale. Esso con i suoi 917 metri è la cima più alta della riserva. Fisicamente
non sono stanco, anzi galvanizzato dalla bellezza della natura e avendo quasi
integre le scorte alimentari decido di puntare a quest’ultimo monte. Il
sentiero (facente parte dei sentieri alti) attraversa longitudinalmente il
territorio del parco mantenendo costante la quota tra i 600 e i 700 metri.
Procedo verso il nuovo obiettivo, attraverso i ruderi di un vecchio borgo e
successivamente ad un bivio con cartello scegliendo la direzione a sinistra per
il monte “Passo del Lupo”. Il sentiero sempre ben marcato risale il pendio
erboso avvicinandosi al monte Speziale. Noto qualche raro leccio (ricordo di
remote foreste), mi avvicino sempre di più alla cima da conquistare, ma il
sentiero non passa per essa, ma ne lambisce solo i fianchi. Arrivato verso
quota 770 metri, esco dalla traccia mirando al pendio erboso, lo risalgo per
zolle e rocce, scoprendo che dietro il primo profilo se ne nasconde un altro.
Attraverso un basso muro perimetrale che in passato racchiudeva qualche gregge,
l’erba ora è piena di spine(cardi), diventa quasi un calvario risalire ma ho
pazienza. Una volta raggiunta la cima indosserò i pantaloni lunghi riposti
nello zaino. Mancano pochi metri al vertice sommitale del monte, i cardi diventano
una prateria, cerco di evitarne le dolorose spine. Arrivato sull’ampia vetta scorgo
in lontananza sempre sullo stesso piano un ometto, deve essere quello il punto
topografico più alto, e quindi segue un full immersion tra i cardi(dolorosa).
Altro che forestiero nomade, sembro un fachiro. Finalmente raggiungo l’ometto e
il vertice massimo del monte Speziale (quota 913 metri). Gioia allo stato puro,
goduria alla massima elevazione. Non è tutti i giorni che si conquista una cima
sconosciuta in una riserva naturale, vuoi mettere poi le punture dei cardi?
Deposito lo zaino sul cumulo di pietre, adesso sono stanchino ma soddisfatto. Cambio
la maglietta, indosso i pantaloni lunghi e mi concedo alla contemplazione.
Pardon, mi concedo all’eternità, un paesaggio mozzafiato, bellissimo, da sogno.
L’azzurro cielo e il blu del mare fanno il resto. Estasi, pura estasi, altro
che Santa Teresa del Bernini, qui godo come un Dio. Scruto alcune cime, riconosco
il monte Cofano (futura avventura), i monti all’interno che posseggono le
vestigie di antiche civiltà. Estraggo dallo zaino il contenitore con il cibo, è
dionisiaco pranzare dopo che si è saziato lo spirito. Non ho fretta, le nuvole
sono lontane, almeno 1000 o 2000 chilometri, quindi relax, e sì! Sarò
ripetitivo, goduria all’ennesima potenza! Dopo un bel po’, ma proprio un bel po’,
riprendo il cammino, cambiando itinerario e mirando a quel sentierino che vedo
da quassù, si, quello laggiù, è la traccia che mi riporta a quella che lasciai
per la cima. Con discesa libera tra sassi e zolle d’erba mi abbasso velocemente
di a fino a raggiungere quota 698. L’orologio segna le 13:30, il sole picchia,
l’acqua del mio camel back è diventata brodo, bevo brodino caldo desiderando
dell’acqua fresca. Rientrando per il sentiero dell’andata ripercorro il tracciato
precedente, fermandomi spesso ad osservare il magnifico scenario. Un ragno mi
appare sospeso nel vuoto, come se tutto fosse irreale. Giungo alla casera rosa,
rinfrescandomi la testa con l’acqua non potabile della fontana. Ultime
centinaia di metri di dislivello, il mare mi appare come un ‘oasi, le mini palme
nella mia fantasia crescono, come se vivessi un miraggio. Ultimi metri ancora
ed ecco che dall’alto avvisto la piccola cala, i bagnanti distesi al sole come merluzzi,
scendo per il sentiero che porta in basso, sempre più vicino all’azzurro mare,
ora avvisto anche i miei. Il loro sguardo nel vedermi è divertito,
effettivamente sembro un sopravvissuto. Approdo sotto l’ombrellone, mi spoglio
in un baleno, ed eccomi in costume da bagno, la distanza che mi separa
dall’acqua è quanto un tuffo, che effettuo immediatamente. Che delizia! Dalla
cima all’acqua, processo inverso ai mammiferi che generandosi nell’acqua
passarono alla terra ferma. Il paesaggio è sublime, una varietà di pesci mi
nuota intorno. Ripresomi dalla calura, converso con i miei, raccontando alcuni
episodi dell’escursione. Nel tardo pomeriggio si riprende insieme il viaggio
verso casa, non prima di aver visitato il museo naturalista all’interno della
riserva. Durante il rientro in auto osservo i monti dal finestrino, cercando in
essi, una cengia, uno spigolo dove potermi arrampicarmi, per salire lassù. Tutti
i monti hanno una cima, ma sono diversi tra loro, come gli esseri umani. Conoscere
un solo uomo non è conoscere l’intera umanità, anche se un uomo può
racchiuderla.
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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