Monte Cofano m 659.
Note tecniche.
Localizzazione:
Sicilia (TP)-Appennini-Monti di Sicilia- Gruppo monti Erei.
Avvicinamento:
Palermo-Atuostrada- Uscita Castellammare
del Golfo- Balata di Baida.- Customaci- Cornino-Cala Bugutu.
Punto di
Partenza: Cala Bugutu (Riserva Naturale)
presso lo Zingaro.
Dislivello:
650 m.
Dislivello
complessivo:659.
Distanza
percorsa in Km: 4,6 km
Quota minima
partenza: 5 m.
Quota
massima raggiunta: 659 m.
Difficoltà: E.E.
– A- II- PD-
Segnavia:
bolli rossi- ometti
Tempo percorrenza
totale: 4 ore. 2,5 in salita.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature
: Una Corda.
Cartografia
consigliata. IGM 1 a 25.000
Periodo
consigliato: Primavera – Autunno.
Condizioni
del sentiero: Selvaggio.
Data: 09-
luglio 2016.
Relazione.
Un noto proverbio
della cultura popolare italiana cita” hai fatto trenta fai trentuno”, e in
questo caso il trentuno è il meraviglioso e unico “monte Cofano”, un gioiello
di roccia fantastico dalle forme dolomitiche che domina il golfo di Trapani. Lo
vidi per la prima volta sei anni fa, ero in escursione libera sulle spiagge
della costa di San Vito Lo Capo, la mia attenzione venne catturata da questa
bellissima cattedrale di pietra che si erge dalle acque. All’epoca abbandonai
moglie e prole sulla spiaggia, e frugando frettolosamente nel bagagliaio
dell’auto mi organizzai per una battuta veloce di trekking. Riuscii ad arrivare
sulla piccola sella che collega il corpo dell’ex cava con quello di monte
Cofano, rimanendo colpito dalla bellezza del paesaggio. Trovai sul colle un
piccolo laghetto naturale, dove delle vacche stavano pascolando. Per un attimo
pensai all’isola del sole e delle vacche sacre dove approdò Odisseo. Il paesaggio
è brullo, poco distante un agglomerato, mi avvicino ad esso. Trattasi del
Baglio Cofano (baglio: edificio che contiene corte e cortile) usato dai
contadini fino alla metà del secolo precedente. Mi avventuro al suo interno,
scoprendo utensili di una volta lasciati lì, come se i rurali si fossero
allontanati da poco. Il complesso è stato costruito su questa terrazza naturale
che domina a Oriente il golfo di San Vito Lo Capo. Rimasi stregato da questa
splendida visione, ritornai sulla spiaggetta, ripromettendomi di organizzarmi
per meglio esplorare il sito. Due giorni dopo ero di nuovo nella stessa
caletta, spiaggetta sita in località Cornino. Stavolta ero attrezzato e con
un’ottima autonomia idrica. Lascio moglie, prole e suocera sulla spiaggia e
riparto per un giro esplorativo più intenso. Arrivato in sella noto un sentiero
che conduce al ripido fianco del monte, lo percorro per un tratto, mi arrampico
anche, ma non sono convinto, ritorno indietro riesplorando il baglio, e preso
dall’entusiasmo decido di circumnavigare le falde della montagna da occidente a
oriente in senso anti-orario. Meraviglia, esplorare la natura selvaggia e le
vecchie torri saracene. Un fantastico luogo incontaminato, scorgo in lontananza
solo una tonnara in disuso. Ritornai estasiato dai miei, con l’unico sconforto
di non essere salito in cima al monte. Passano i mesi e passano gli anni, e
questa estate più combattivo che mai, approfittando di una lunga vacanza in
terra di Sicilia, decido di ritornare all’attacco del monte Cofano. Consultando
il web scopro che c’è una via alpinistica, attrezzata con una corda che porta
in cima e su un blog, leggo testuali parole: << Ai più audaci e con
buone doti atletiche proponiamo la salita in vetta (659 metri); giunti
sulla cima potrete ammirare un panorama mozzafiato che spazia a 360°.
Davvero un'esperienza unica!>> Più che un invito mi è parso un ordine.
Obbedisco e non discuto. La notte prima dell’impresa dormo poco per l’emozione,
immagino questa paretina di secondo grado con questo cavo pensile, ma per
fortuna le notti svaniscono con i primi raggi del sole. Con la scusa di portare
mia sorella e family alla bella spiaggia di Cornino, riesco a partire presto da
Palermo. Mi separano dalla meta circa un’ora e venti di strada. Giungiamo in
zona nella prima mattinata, ne approfittiamo per consumare una deliziosa colazione
nella frazione di Balata (paste fresche sfornate sotto il nostro sguardo
stupito e ingolosito). Giunti nella piccola località di Cornino, io abbandono la
combriccola al loro triste destino (bagno e spiaggia, spiaggia e bagno senza
soste fino al mio ritorno) e parto in direzione della cima. Poco dopo la
spiaggia parte il sentiero naturalistico per la riserva del Cofano, prendo il
sentiero che risale fino alla piccola sella e con una serie di tornanti e
mantenendomi sul lato in ombra raggiungo l’insellamento. Anche stavolta ci trovo
i bovi intenti a ruminare, il laghetto è sempre li. Stavolta miro subito al
sentiero per la vetta, non segnato da cartelli, ma molto evidente, una traccia marcata
nella roccia. Con un paio di svolte mi porta sotto la parete del monte Cofano,
dove i passaggi su roccia sono più abbordabili. Abbandonata la traccia seguo
una serie di bolli rossi, essi mi conducono per i passaggi più facili a superare
alcuni piccoli salti ed esposte cenge (arrampicata elementare), in
breve mi ritrovo lungo un traverso ben articolato. Con molta attenzione e tanta
emozione lo supero, dando sempre un’occhiata a quello che mi aspetta. Arrivato
sullo sperone roccioso che si collega al copro principale del monte lo risalgo
con alcuni facili passaggi di primo grado, portandomi a una piccola selletta, risalendola
per roccia scalinata fino alla paretina, dove penzola il cavo. Il cavo è una
grossa fune in canapa, sembra quella dei marinai, e ciondola per quasi 4 metri
su una paretina ben articolata di secondo grado. Il tratto non è molto esposto,
ma il pericolo sta nell’eventuale caduta indietro su una roccia molto compatta.
Con calma e concentrazione la supero, conquistando la cresta del monte. L’emozione
mi gioca un brutto scherzo, uscendo dal tratto appena descritto, mi colpisce un
forte dolore allo stomaco, crampi! Mai avuti prima, si vede che ero in tensione.
Ripresomi mi guardo intorno: ad oriente il golfo di San Vito lo Capo,
splendido, incantevole; sul versante opposto il pendio che porta alla cima, disseminato
di sassi e rovi. Il sentiero nei primi metri è segnato da piccoli bolli rossi,
che poi persi vengono sostituiti da una lunga serie di ometti, li seguo. La
traccia con una leggera pendenza (il sole picchia forte) mi porta fin sotto la
cima. Per gli ultimi metri un piccolo sentierino con una serie di svolte mi
porta al pulpito più alto, ovvero al “Sogno” che si materializza illuminandomi
lo sguardo. Indescrivibile, sono rimasto incantato, la cima è un paletto in
legno conficcato nella roccia. Nessun simbolo religioso, solo questo legno temprato
dalle stagioni proteso verso l’azzurro. Questa celeste visione, lo grido ai
quattro venti, è libertà. Sono solo e sul punto più alto di un monte che
sicuramente sin dai tempi remoti è stato venerato come una divinità. In lontananza
scorgo il monte Erice, anticamente su questa cima era costruito un tempio dove
si professava la prostituzione sacra, e ora ne rimangono solo i resti. Nelle
spelonche del monte che ora sto dominando con il mio corpo blasfemo sono state
rinvenute testimonianze di vita preistorica, mi sento come legato alle ere
precedenti. Che sensazione di onnipotenza, domino lo spazio, la storia, che trasla
nella religione, sacra o profana che sia. Io mi sento immondo, in imbarazzo, che
faccio? Sì, l’unica cosa da fare per sentirmi un tutt’uno con la montagna. Mi
spoglio! Mi denudo, come mi ha creato la natura e mi proietto con le braccia
verso l’infinito, come un gabbiano pronto a spiccare il volo, come volò Icaro. Librandomi
con la mente in un volo di libertà. Non temo di essere disturbato, anche perché
ci vogliono due ore prima che qualcuno ben allenato risalga il monte. Ho tutto
il tempo che voglio, mi spoglio riponendo le vesti sudicie di sudore sulla nuda
roccia, eccomi ignudo, libero, mi proietto nell’azzurro. È strabiliante,
bellissimo, liberatorio, una catarsi. Finalmente sono davvero libero, un sogno
che si realizza. I sogni si realizzano, si vive per realizzare i sogni, se non avete
sogni da realizzare, amici, credetemi, siete morti. Sono vivo, vivo, vivo! Mi
siedo ignudo sulla roccia, essa è calda, non mi fa sentire sporco, anzi, provo
qualcosa di sacro, mistico, come se l’energia della montagna fosse assorbita
dal mio corpo, e viceversa. Ho una strana sensazione, mai provata prima. Grido
al mondo intero che io amo, sono libero, sono un uomo senza nazionalità,
confini, regole, dialetti, un uomo che solo con i gesti vuole comunicare al
mondo intero, alla natura, a un dio se esistesse. Seduto, da questo meraviglioso
pulpito osservo il mondo, che sensazione straordinaria! Non ho mai avuto
emozioni così intense, il sole mi scalda e la brezza mi rinfresca, come vorrei
vivere quassù per l’eternità. Il tempo tiranno scorre, guardo gli abiti, gli
scarponi, è giunta l’ora del rientro. Nel vestirmi, provo una brutta
sensazione, come di distacco dalla montagna, di sporcizia, come se mi stessi
riempendo di peccati, di pregiudizi, sento già la mancanza della beatitudine.
Noto delle monete per terra, sono delle vecchie lire, un pezzo di stoffa,
sembra una tasca. Prendo le monete, le osservo, hanno una data di conio remota,
decido di spargerle per terra, e aggiungo alcune monete mie. Sarà il rito di
qualcuno? Non lo so, ma non voglio prendere nulla alla montagna, anzi, dono
anch’io. Indossando lo zaino compio l’ultimo gesto profano, caricandomi addosso
un peso. Mi sento addolorato come se mi fossero strappate le ali. Ora triste e
mesto, scendo per rocce, seguendo gli ometti fino al punto dove devo calarmi
con la corda. Sto attento, passo dopo passo, un incidente mi sarebbe fatale. Sceso
dalla fune, affronto con attenzione gli ultimi metri del tratto roccioso,
lambendo le lastre di roccia fino al sottostante sentiero. L’ultimo tratto fino
alla spiaggia ha un andamento lento, sereno, serafico. Raggiunta la spiaggia,
mi lascio andare in un bagno rigenerante, l’acqua è fredda per via di sorgive d’acqua
dolce, intervallate a sprazzi di acqua marina calda. Ma il mio sguardo è assorto
dal sogno, assente. Sono passate settimane dalla conquista del monte Cofano, e sono
ancora sotto l’effetto dell’estasi e ci metterò molti giorni a riprendermi,
direi settimane, perché con il cuore, lo spirito, sono ancora lassù.
Il vostro “Forestiero Nomade”.
Malfa.
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