Capo Zafferano 226 m.
Note tecniche.
Localizzazione:
Mongerbino- Palermo.
Avvicinamento:
Palermo stazione centrale-stazione ferroviaria Santa Flavia-
Porticello-Sant’Elia- Mongerbino- Zafferano.
Punto di Partenza:
Poco sopra la cala dell’osta, località Zafferano.
Dislivello:
226 m.
Dislivello
complessivo: 226
Distanza
percorsa in Km: 12 km.
Quota minima
partenza: 47 m.
Quota
massima raggiunta: 226 m.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti a causa dell’asperità e lo stato del sentiero sul monte.
Segnavia:
Nessuno.
Tempo
percorrenza totale: 2 ore.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. IGM Sicilia.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Pessime, un vecchio sentiero storico abbandonato all’incuria del
tempo.
Data: 06
luglio 2016.
Relazione.
L’escursione programmata per Capo Zafferano (il piccolo
promontorio che chiude a occidente il golfo di Palermo), segue a ruota
l’escursione sul Monte Catalfano effettuata appena due giorni prima. Di modesta
elevazione, solo 226 metri sul livello del mare, il piccolo monte fa bella mostra
di sé in una delle località turistiche più rinomate del palermitano. Sulla
costa del promontorio si trovano numerose grotte dove sono state rinvenute
numerose ossa di elefanti nani, oltre che di manufatti del periodo paleolitico
superiore e oggetti di ceramica risalenti a 2000 a.C. l’affascinante vela di
roccia mi ha sempre incantato sin da piccolo. Non era facile raggiungere il
luogo visto che dista alcuni chilometri da Palermo. Mai avevo pensato di andare
in cima, era solo un romantico grande scoglio, con il sottostante faro, luogo
dove sognare e fare sognare. Perdendo il vizio del fumo mi sono donato una
nuova vita. Questa nuova vita l’ho chiamata: escursione, montagna, avventura. Ritornavo
ad essere piccino, avventurandomi per le strade, i sentieri, fino a scoprire i
monti, le cime, il cielo, Il mio dio. D’allora non vedo più le montagne o i
rilievi rocciosi con l’indifferenza di prima, ma ne cerco le vie, i sentieri, i
punti deboli nella roccia per potervi accedere, conquistarne il vertice,
l’anima. Così quest’anno sono stato ispirato dai monti dell’isola del sole, dove
cielo e mare si sposano.
Carichi d’entusiasmo per l’escursione
precedente decidiamo due giorni dopo (la mia gentile signora ed io) di provare
a raggiungere la vetta dello Zafferano. Nelle foto scattate in precedenza ho
studiato la morfologia e la topografia del sito. L’unico modo di accertarsi che
sia fattibile è salirci su, quindi si parte. Sveglia all’alba, un caldo e
luminoso sole ci abbaglia, dandoci il buongiorno insieme al canto dei Gabbiani.
Dal giorno precedente gli zaini sono approntati, si esce per strada come due
“giovani marmotte” avviandoci verso la stazione dei treni. Per strada compriamo
le provviste. Nelle vetrine della città veniamo rispecchiati, con scarponi da
trekking e bastoncini telescopici, e sullo sfondo riflessi le architetture
arabo-normanne, anche questo è un sogno, e che duri il più possibile! Arriviamo
alla stazione, sul treno poniamo gli zaini sulle poltroncine. Il mezzo si
muove, parte dolcemente e viaggiando lentamente, fotografo i due bastoncini
mentre dal finestrino scorgo la mia vecchia casa, il mio balcone, dove da
bambino stavo seduto ore e ore, osservando da lassù i treni che passavano: locomotive
a carbone o diesel, tutti i tipi di treno. Osservavo i volti della gente che
sporgevano dai finestrini. Gente felice o triste, c’è chi partiva e chi
arrivava. Mi chiedevo dove andasse tutta questa gente? Dove andavano tutti quei
treni? Quel bambino è ancora seduto lì, con le stesse domande, lo vedo! Lo saluto!
Mi ricambia con un sorriso e muovendo la manina. Provo a rispondere alle sue
domande: << il treno della vita è sempre in movimento, e come tutti i treni
vanno più al nord del nord e più al sud del sud, portando gioie e dolori, e
tutti piangono per felicità e dolore. Tutti sono felici per un arrivo, be tutti
perdono qualcosa. E quel volto che passa sotto il tuo balcone, è un bambino che
non volle diventare uomo, rimanendo sognatore.>> Il treno(locale) ora
raggiunge la piccola località di Santa Flavia, stavolta il giro sarà corto, è un
modo di dire naturalmente, appena quattro chilometri di strada provinciale a
piedi prima di arrivare alle falde del monte Zafferano. Il sole ci accarezza
lungo la strada, inebriandoci lo spirito con lo splendido paesaggio, lo stesso
che migliaia di anni fa stregò i navigatori fenici, fondatori delle colonie di
Palermo, Erice e Solunto. Finalmente giungiamo alle falde del promontorio, ne
osservo le frastagliate rocce, cerco di intuire il percorso da farsi, si parte.
Si superano dei massi e subito troviamo una debole traccia inerbita di disa, la
si risale, il piccolo pendio erboso è posto tra le villette della borghesia
palermitana (a destra) e i dirupi aggettanti sul mare a sinistra. In breve raggiungiamo
ciò che rimane di un’arcaica rampa che a serpentina risaliva il monte. Parte del
sentiero è stato inglobato da una proprietà privata, esso ricalcava un vecchio
sentiero, sicuramente utilizzato dalle milizie che raggiungevano comodamente il
vertice del monte; il degrado e l’abbandono l’hanno reso impraticabile. Lungo
il percorso possiamo ammirare la flora locale, tra quale spicca la palma nana. Il
sentiero si inerpica in un canalone, raggiunta la base della cresta la traccia
vira a destra per un tratto molto esposto, si riesce solo a intuire la labile
traccia. In molti tratti la mulattiera è erosa o invasa dalla vegetazione. Giungiamo
nel punto più critico, dove tenendoci aggrappati alle palme superiamo il ciglio
di una vertiginosa falesa. Continuiamo a salire, ma sul versante occidentale,
con lo sguardo proteso in basso, sull’azzurro mare. Il sentiero zizzagando
conquista l’altura tra ficodindia e resti di gabbiani. Ultimi metri ed ecco la
vetta, materializzati dal rudere di un edificio. La felice posizione del monte
era idonea per costruire una torre di avvistamento. Zaini a terra, un’immensa
felicità ci avvolge, inebriati dai raggi solari, tutto intorno azzurro. Saliamo
sul muretto di sassi, e ammiriamo a 360 gradi il paradiso. Nessuna foto o
ripresa può catturare le emozioni che viviamo. Ne approfittiamo per recuperare
energie, osservo i resti del manufatto, immaginando i soldati di vedetta nelle
epoche remote. Con grande tristezza si abbandona il luogo paradisiaco, si
scende con cautela, di tanto in tanto volgendo lo sguardo indietro. La discesa
non ha mai il sapore della vittoria, è triste, avrei vissuto in eterno sul quel
cumulo di pietre. Raggiunta la base del monte ci dirigiamo verso il lido del
carabiniere, dove troviamo pochi bagnanti. Spogliati degli abiti di trekking ci
ritroviamo in costume da bagno, pronti a immergerci nelle calde acque del Tirreno.
Nuoto e di tanto mi fermo, osservando capo Zafferano e la sua cima, il suo
fianco frastagliato, ero lì, lassù, non posso crederci. Dopo un’oretta
decidevamo di abbandonare il lido e dirigerci verso il vecchio faro. Una
stradina scavata nella roccia circumnaviga il monte sul versante aggettante sul
mare. Le acque trasparenti sono un richiamo di sirene degne di Ulisse, l’estasi
continua, stiamo vivendo un sogno. Giungiamo verso il vecchio manufatto e lo
esploriamo. Immagini da sogno, un vecchio peschereccio solca le acque, lo
immagino che si trasforma nel rimorchiatore con cui giocavo da piccolo, sono
emozioni che si susseguono ad altre.
Potrebbe scoppiarmi il cuore per tale gioia, cammino come un automa,
rapito da cotanta bellezza. Si rientra, con la mia compagna professiamo un
religioso silenzio, l’evidente prova che siamo assolti da pensieri onirici.
Guadagniamo la statale, con gli occhi pieni d’azzurro raggiungiamo il piccolo
centro dove sostiamo nel bar-gelateria deliziandoci con le sue granite. Dopo la
breve pausa riprendiamo il passo verso la piccola stazione ferroviaria, anche
oggi deserta, uno sguardo al cielo ed ecco l’altoparlante che annuncia il treno
che ci riporterà alla quotidianità. Sui binari la realtà e il sogno giocano con
coloro che vivono la vita come un gioco.
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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