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lunedì 1 agosto 2016

Capo Zafferano 226 m.



Capo Zafferano 226 m.

Note tecniche.

Localizzazione: Mongerbino- Palermo.

Avvicinamento: Palermo stazione centrale-stazione ferroviaria Santa Flavia- Porticello-Sant’Elia- Mongerbino- Zafferano.

Punto di Partenza: Poco sopra la cala dell’osta, località Zafferano.

Dislivello: 226 m.

Dislivello complessivo: 226

Distanza percorsa in Km: 12 km.

Quota minima partenza: 47 m.

Quota massima raggiunta: 226 m.

Difficoltà: Escursionisti Esperti a causa dell’asperità e lo stato del sentiero sul monte.

Segnavia: Nessuno.

Tempo percorrenza totale: 2 ore.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. IGM Sicilia.

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Condizioni del sentiero: Pessime, un vecchio sentiero storico abbandonato all’incuria del tempo.

Data: 06 luglio 2016.

 
Relazione.

L’escursione programmata per Capo Zafferano (il piccolo promontorio che chiude a occidente il golfo di Palermo), segue a ruota l’escursione sul Monte Catalfano effettuata appena due giorni prima. Di modesta elevazione, solo 226 metri sul livello del mare, il piccolo monte fa bella mostra di sé in una delle località turistiche più rinomate del palermitano. Sulla costa del promontorio si trovano numerose grotte dove sono state rinvenute numerose ossa di elefanti nani, oltre che di manufatti del periodo paleolitico superiore e oggetti di ceramica risalenti a 2000 a.C. l’affascinante vela di roccia mi ha sempre incantato sin da piccolo. Non era facile raggiungere il luogo visto che dista alcuni chilometri da Palermo. Mai avevo pensato di andare in cima, era solo un romantico grande scoglio, con il sottostante faro, luogo dove sognare e fare sognare. Perdendo il vizio del fumo mi sono donato una nuova vita. Questa nuova vita l’ho chiamata: escursione, montagna, avventura. Ritornavo ad essere piccino, avventurandomi per le strade, i sentieri, fino a scoprire i monti, le cime, il cielo, Il mio dio. D’allora non vedo più le montagne o i rilievi rocciosi con l’indifferenza di prima, ma ne cerco le vie, i sentieri, i punti deboli nella roccia per potervi accedere, conquistarne il vertice, l’anima. Così quest’anno sono stato ispirato dai monti dell’isola del sole, dove cielo e mare si sposano.

Carichi d’entusiasmo per l’escursione precedente decidiamo due giorni dopo (la mia gentile signora ed io) di provare a raggiungere la vetta dello Zafferano. Nelle foto scattate in precedenza ho studiato la morfologia e la topografia del sito. L’unico modo di accertarsi che sia fattibile è salirci su, quindi si parte. Sveglia all’alba, un caldo e luminoso sole ci abbaglia, dandoci il buongiorno insieme al canto dei Gabbiani. Dal giorno precedente gli zaini sono approntati, si esce per strada come due “giovani marmotte” avviandoci verso la stazione dei treni. Per strada compriamo le provviste. Nelle vetrine della città veniamo rispecchiati, con scarponi da trekking e bastoncini telescopici, e sullo sfondo riflessi le architetture arabo-normanne, anche questo è un sogno, e che duri il più possibile! Arriviamo alla stazione, sul treno poniamo gli zaini sulle poltroncine. Il mezzo si muove, parte dolcemente e viaggiando lentamente, fotografo i due bastoncini mentre dal finestrino scorgo la mia vecchia casa, il mio balcone, dove da bambino stavo seduto ore e ore, osservando da lassù i treni che passavano: locomotive a carbone o diesel, tutti i tipi di treno. Osservavo i volti della gente che sporgevano dai finestrini. Gente felice o triste, c’è chi partiva e chi arrivava. Mi chiedevo dove andasse tutta questa gente? Dove andavano tutti quei treni? Quel bambino è ancora seduto lì, con le stesse domande, lo vedo! Lo saluto! Mi ricambia con un sorriso e muovendo la manina. Provo a rispondere alle sue domande: << il treno della vita è sempre in movimento, e come tutti i treni vanno più al nord del nord e più al sud del sud, portando gioie e dolori, e tutti piangono per felicità e dolore. Tutti sono felici per un arrivo, be tutti perdono qualcosa. E quel volto che passa sotto il tuo balcone, è un bambino che non volle diventare uomo, rimanendo sognatore.>> Il treno(locale) ora raggiunge la piccola località di Santa Flavia, stavolta il giro sarà corto, è un modo di dire naturalmente, appena quattro chilometri di strada provinciale a piedi prima di arrivare alle falde del monte Zafferano. Il sole ci accarezza lungo la strada, inebriandoci lo spirito con lo splendido paesaggio, lo stesso che migliaia di anni fa stregò i navigatori fenici, fondatori delle colonie di Palermo, Erice e Solunto. Finalmente giungiamo alle falde del promontorio, ne osservo le frastagliate rocce, cerco di intuire il percorso da farsi, si parte. Si superano dei massi e subito troviamo una debole traccia inerbita di disa, la si risale, il piccolo pendio erboso è posto tra le villette della borghesia palermitana (a destra) e i dirupi aggettanti sul mare a sinistra. In breve raggiungiamo ciò che rimane di un’arcaica rampa che a serpentina risaliva il monte. Parte del sentiero è stato inglobato da una proprietà privata, esso ricalcava un vecchio sentiero, sicuramente utilizzato dalle milizie che raggiungevano comodamente il vertice del monte; il degrado e l’abbandono l’hanno reso impraticabile. Lungo il percorso possiamo ammirare la flora locale, tra quale spicca la palma nana. Il sentiero si inerpica in un canalone, raggiunta la base della cresta la traccia vira a destra per un tratto molto esposto, si riesce solo a intuire la labile traccia. In molti tratti la mulattiera è erosa o invasa dalla vegetazione. Giungiamo nel punto più critico, dove tenendoci aggrappati alle palme superiamo il ciglio di una vertiginosa falesa. Continuiamo a salire, ma sul versante occidentale, con lo sguardo proteso in basso, sull’azzurro mare. Il sentiero zizzagando conquista l’altura tra ficodindia e resti di gabbiani. Ultimi metri ed ecco la vetta, materializzati dal rudere di un edificio. La felice posizione del monte era idonea per costruire una torre di avvistamento. Zaini a terra, un’immensa felicità ci avvolge, inebriati dai raggi solari, tutto intorno azzurro. Saliamo sul muretto di sassi, e ammiriamo a 360 gradi il paradiso. Nessuna foto o ripresa può catturare le emozioni che viviamo. Ne approfittiamo per recuperare energie, osservo i resti del manufatto, immaginando i soldati di vedetta nelle epoche remote. Con grande tristezza si abbandona il luogo paradisiaco, si scende con cautela, di tanto in tanto volgendo lo sguardo indietro. La discesa non ha mai il sapore della vittoria, è triste, avrei vissuto in eterno sul quel cumulo di pietre. Raggiunta la base del monte ci dirigiamo verso il lido del carabiniere, dove troviamo pochi bagnanti. Spogliati degli abiti di trekking ci ritroviamo in costume da bagno, pronti a immergerci nelle calde acque del Tirreno. Nuoto e di tanto mi fermo, osservando capo Zafferano e la sua cima, il suo fianco frastagliato, ero lì, lassù, non posso crederci. Dopo un’oretta decidevamo di abbandonare il lido e dirigerci verso il vecchio faro. Una stradina scavata nella roccia circumnaviga il monte sul versante aggettante sul mare. Le acque trasparenti sono un richiamo di sirene degne di Ulisse, l’estasi continua, stiamo vivendo un sogno. Giungiamo verso il vecchio manufatto e lo esploriamo. Immagini da sogno, un vecchio peschereccio solca le acque, lo immagino che si trasforma nel rimorchiatore con cui giocavo da piccolo, sono emozioni che si susseguono ad altre.  Potrebbe scoppiarmi il cuore per tale gioia, cammino come un automa, rapito da cotanta bellezza. Si rientra, con la mia compagna professiamo un religioso silenzio, l’evidente prova che siamo assolti da pensieri onirici. Guadagniamo la statale, con gli occhi pieni d’azzurro raggiungiamo il piccolo centro dove sostiamo nel bar-gelateria deliziandoci con le sue granite. Dopo la breve pausa riprendiamo il passo verso la piccola stazione ferroviaria, anche oggi deserta, uno sguardo al cielo ed ecco l’altoparlante che annuncia il treno che ci riporterà alla quotidianità. Sui binari la realtà e il sogno giocano con coloro che vivono la vita come un gioco.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.












































































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