Monte La Pizzuta (Mali i Picutës)
1333 m.
Note tecniche.
Localizzazione:
Monti Sicani - Piana degli Albanesi.
Avvicinamento:
Palermo-Altofonte-Piana degli Albanesi- Riserva naturale orientata Serre della Pizzuta
Punto di Partenza:
Località Gamili quota728 m.
Dislivello:
605 m.
Dislivello
complessivo: 638 m
Distanza
percorsa in Km: km. 4,5.
Quota minima
partenza:728 m.
Quota
massima raggiunta: 1333 m.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti con passaggi di I e II grado.
Segnavia:
Bolli rossi- per tracce di animali.
Tempo
percorrenza totale: 5ore.
Fonti
d’acqua: Nessuna
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. IGM 1 a 25.000
Periodo
consigliato: Tutto L’anno.
Condizioni
del sentiero: Ben marcato quello della riserva.
Data: 10
luglio 2016.
Relazione.
Le vacanze volgono
al fine e i ricordi volano al passato, ricordando sempre un cielo azzurro che
ha accompagnato la mia infanzia. Le nuvole erano rare, ma così rare che quando apparivano
all’orizzonte le osservavo per ore, lungo la loro evoluzione, vedendoci dentro
forme e oggetti più disparati, compresi personaggi antropomorfi. Quest’ultimo
fine settimana (la mia signora e io) pernottiamo nella casa coloniale di mia
cognata, ubicata in una magnifica posizione a pochi metri dal lago della Piana
dei Greci. La località prende nome dalla popolazione che effettuò un esodo
storico nel xv secolo, per sfuggire all’invasione turca-ottomana. Gli esuli grazie
all’aiuto della Repubblica Marinara di Venezia trovarono esilio sulle sponde
dell’Italia meridionale e successivamente in Sicilia dove colonizzarono nell'entroterra
montuoso presso la pianura della Fusha. Da allora i discendenti continuano a
mantenere gli usi e le tradizioni della popolazione balcanica, diventando la
comunità etnica più importante dell’isola. L’escursione in programma è sul
monte della Pizzuta, chiamato dai locali “Mali i Picutës” in arbëreshë. Il rilievo è alto 1333 metri sul
livello del mare, rendendolo il monte più elevato della piana e l’unico che ha
caratteriste climatiche alpine. Da tempo
io e mio cognato (Pippo) meditiamo di raggiungere la massima elevazione del
monte. Vista l’occasione di riunirci, approfittiamo del fine settimana per
realizzare il desiderio. Sveglia prestissimo, in Sicilia camminare sotto il
sole cocente non è proprio salutare. Pronti per la partenza, caricati gli zaini
sul fuoristrada andiamo a caccia di un bar dove poter consumare la prima
colazione. Impresa che si rivela subito problematica. Su dodici bar-pasticceria
che il piccolo centro ospita ne troviamo chiusi undici, l’ultimo (sperando sia
aperto) è lassù in piazza, al centro del piccolo centro. Per chi non lo sapesse
il paese “Piana degli Albanesi” è costruito sin dalla fondazione (30 agosto
1488 d.C.) su un ripido pendio, che rende problematico il traffico agli autoveicoli
moderni. Immaginate noi ancora assonnati che salivamo e scendevamo per le
strette vie rinascimentali, sperando di non investire qualche gatto più assopito
di noi. Il miracolo avviene, l’ultima speranza (bar) ha le luci accese, un
omino si muove all’interno. Eureka! Esclamiamo, pregustando già i buonissimi
cornetti farciti e caffè. Soddisfatto lo stomaco e datoci una botta di calorie
si procede verso l’obiettivo primario, alias monte Pizzuta, situato dentro una riserva
naturalista tutelata dal W.W.F. Prima di iniziare la relazione sull’escursione
propriamente detta espongo una piccola premessa sui personaggi principali: ovvero
(mio cognato dal nome Pippo, e io (Giuseppe). Beh! Abbiamo già un punto in
comune, il nome! Altri punti in comune sono: l’amore per la montagna e l’andare
in solitaria per una ricerca spirituale. Le divergenze? Lui ama cacciare, e
spesso snobba le cime, cercando piacere più nell’osservazione della fauna, e
come attrezzatura è un minimalista, che predilige la tradizione. Io,
diversamente, cerco sempre di raggiungere il punto più alto e prediligo la
tecnologia, anche se gli invidio il suo viaggiare leggero. Quindi per fare una
sintesi siamo due solitari che decidono di fare una bi-solitaria. Si parte all’inizio di una strada forestale
dissestata che si inerpica all’interno della “Riserva naturale orientata Serre
della Pizzuta”. Fermiamo il mezzo presso uno spiazzo, e indossiamo gli zaini,
pardon, io indosso lo zaino, Pippo ha una sacca e un bastone. Si parte
risalendo la carrareccia, in stato di abbandono, mirando alla
portella(forcella) del Garrone. Nella nostra fantasia oggi vorremmo fare due
cime: la Pizzuta e la Costa di Carpineto, ma la precedenza va alla Pizzuta.
Poco prima della forcella seguiamo un evidente traccia, anche segnata da bolli
rossi che percorre il versante occidentale del monte (cartello con indicazioni
per la grotta del Garrone). Dopo pochi metri giungiamo sul bordo della spelonca
e con attenzione ci caliamo al suo interno. Si tratta di una grotta carsica,
tutto il monte è geologicamente carsico, l’evidente cedimento della volta ha
creato questa piccola meraviglia. Sostiamo quel tanto per rinfrescarci, la
temperatura è frizzantina. Usciti dalla spelonca procediamo lungo il sentiero,
che con dolce pendenza risale il crinale. In lontananza ci divertiamo a
riconoscere alcune cime dalle caratteristiche forme. La flora è splendida, ci
dilettiamo a identificare erbe e alberi, siamo ammaliati da tanta bellezza.
Raggiunta la quota di 1140 metri, il sentiero cambia bruscamente direzione,
risalendo il ripido pendio erboso. Non ci sono tracce, solo radi bolli rossi
che bisogna trovare tra i fasci d’erba. I segni portano ad un esile forcella
che traghetta il sentiero sul versante opposto. Noi decidiamo di proseguire per
cresta sperando di raggiungere la cima. Qui comincia il tratto più avventuroso,
procediamo senza nessuna traccia, niente di nulla, solo affidati alla vista e
all’intuito. Ma siamo eccitati, divertiti, e tra balze erbose e rocce camminiamo
a fil di cresta, guardando sempre a meridione nella speranza di scorgere il
punto più alto. Il versante ad oriente che percorriamo è scosceso, ma
praticabile, invece a occidente il versante è esposto e impraticabile, dalle
altissime pareti verticali. Più di una
volta abbiamo l’illusione di aver raggiunto la cima principale, ma troviamo
sempre un rilievo più alto da raggiungere più avanti. Alcuni passaggi delicati
Pippo li affronta direttamente, risalendo la nuda roccia con passaggi di II grado
e più; io preferisco aggirare l’ostacolo cercando i passaggi migliori a costo
di scendere e risalire più volte. Due modi diversi di affrontare la montagna. Bellissima
è stata l’ennesima illusione di aver raggiunto la massima elevazione e di
scoprire che era più avanti, o lo scendere per una cengia naturale sul versante
occidentale, sapendo che in pochi saranno passati da questo versante. Questa sensazione
di libertà, esplorazione, è infinitamente emozionante. Più di una volta siamo
passati da un versante all’altro, esplorando la gigantesca dolina abitata da
una foresta di pietre. Pippo si è mosso al suo esterno, io mi ci sono calato dentro.
E spesso ci chiedevamo:<< Ce la faremo? Da qui si passa?>> Cercando
l’uno nello sguardo dell’altro la conferma e il coraggio per proseguire. Ma in
questo caso l’unione fa la forza. Osservavo il mio compagno, che nulla aveva a
che fare con il classico escursionista. Mi appariva più simile a una figura del
passato, a quei pastori greci che ravvivano nella mia memoria le legende
classiche scritte da Omero, figure mitologiche e aristocratiche. Finalmente raggiungiamo
la cima, wow! Una bellissima e grande lastra di roccia solcata, e due, dico due
sassi, posti al suo vertice. Meraviglia, niente croci o altri simboli che ne
avrebbero deturpato la purezza. Mio cognato mi confessa che non era mai stato
su questa vetta, malgrado fosse gravitato nelle vicinanze più volte. La
bellezza del selvaggio, la sua purezza, ci giriamo intorno a osservare, per
memorizzare questi istanti. Il cielo nel frattempo si è velato, rendendo la
temperatura più sopportabile. Rientriamo alla base proseguendo a meridione,
scoprendo che dopo la cima il pendio è dolcemente inclinato. Ci attende un
immenso piano erboso dove ci caliamo con passaggi facili. Fermandoci di tanto
in tanto ad osservare la fauna, tra cui ricordo il bellissimo usignolo, che a pochi metri da noi era intento a proteggere
il nido. Scesi di quota per un centinaio di metri incrociamo il sentiero che
dal versante occidentale ci avrebbe riportato sul sentiero percorso in
mattinata uscendo nei pressi della grotta del Garrone. Si ripercorre il
sentiero dell’andata, soddisfatti, guardando la montagna con un sentimento mistico
e nostalgico, per gli indimenticabili attimi che ci ha donato. Si rientra a
casa, deliziandoci con l’eccellente cucina della padrona di casa in compagnia
di amici occasionali. Nel primo pomeriggio si va al lago, passeggiando lungo la
riva e salutando “la Pizzuta” la montagna regina della valle.
Il vostro
“Forestiero Nomade”.
Malfa.
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