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mercoledì 3 agosto 2016

Monte La Pizzuta (Mali i Picutës) 1333 m.

 
Monte La Pizzuta (Mali i Picutës) 1333 m.

Note tecniche.

Localizzazione: Monti Sicani - Piana degli Albanesi.

Avvicinamento: Palermo-Altofonte-Piana degli Albanesi- Riserva naturale orientata Serre della Pizzuta

Punto di Partenza: Località Gamili quota728 m.

Dislivello: 605 m.

Dislivello complessivo: 638 m

Distanza percorsa in Km: km. 4,5.

Quota minima partenza:728 m.

Quota massima raggiunta: 1333 m.

Difficoltà: Escursionisti Esperti con passaggi di I e II grado.

Segnavia: Bolli rossi- per tracce di animali.

Tempo percorrenza totale: 5ore.

Fonti d’acqua: Nessuna

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. IGM 1 a 25.000

Periodo consigliato: Tutto L’anno.

Condizioni del sentiero: Ben marcato quello della riserva.

Data: 10 luglio 2016.

 
Relazione.

Le vacanze volgono al fine e i ricordi volano al passato, ricordando sempre un cielo azzurro che ha accompagnato la mia infanzia. Le nuvole erano rare, ma così rare che quando apparivano all’orizzonte le osservavo per ore, lungo la loro evoluzione, vedendoci dentro forme e oggetti più disparati, compresi personaggi antropomorfi. Quest’ultimo fine settimana (la mia signora e io) pernottiamo nella casa coloniale di mia cognata, ubicata in una magnifica posizione a pochi metri dal lago della Piana dei Greci. La località prende nome dalla popolazione che effettuò un esodo storico nel xv secolo, per sfuggire all’invasione turca-ottomana. Gli esuli grazie all’aiuto della Repubblica Marinara di Venezia trovarono esilio sulle sponde dell’Italia meridionale e successivamente in Sicilia dove colonizzarono nell'entroterra montuoso presso la pianura della Fusha. Da allora i discendenti continuano a mantenere gli usi e le tradizioni della popolazione balcanica, diventando la comunità etnica più importante dell’isola. L’escursione in programma è sul monte della Pizzuta, chiamato dai locali “Mali i Picutës” in arbëreshë. Il rilievo è alto 1333 metri sul livello del mare, rendendolo il monte più elevato della piana e l’unico che ha caratteriste climatiche alpine.  Da tempo io e mio cognato (Pippo) meditiamo di raggiungere la massima elevazione del monte. Vista l’occasione di riunirci, approfittiamo del fine settimana per realizzare il desiderio. Sveglia prestissimo, in Sicilia camminare sotto il sole cocente non è proprio salutare. Pronti per la partenza, caricati gli zaini sul fuoristrada andiamo a caccia di un bar dove poter consumare la prima colazione. Impresa che si rivela subito problematica. Su dodici bar-pasticceria che il piccolo centro ospita ne troviamo chiusi undici, l’ultimo (sperando sia aperto) è lassù in piazza, al centro del piccolo centro. Per chi non lo sapesse il paese “Piana degli Albanesi” è costruito sin dalla fondazione (30 agosto 1488 d.C.) su un ripido pendio, che rende problematico il traffico agli autoveicoli moderni. Immaginate noi ancora assonnati che salivamo e scendevamo per le strette vie rinascimentali, sperando di non investire qualche gatto più assopito di noi. Il miracolo avviene, l’ultima speranza (bar) ha le luci accese, un omino si muove all’interno. Eureka! Esclamiamo, pregustando già i buonissimi cornetti farciti e caffè. Soddisfatto lo stomaco e datoci una botta di calorie si procede verso l’obiettivo primario, alias monte Pizzuta, situato dentro una riserva naturalista tutelata dal W.W.F. Prima di iniziare la relazione sull’escursione propriamente detta espongo una piccola premessa sui personaggi principali: ovvero (mio cognato dal nome Pippo, e io (Giuseppe). Beh! Abbiamo già un punto in comune, il nome! Altri punti in comune sono: l’amore per la montagna e l’andare in solitaria per una ricerca spirituale. Le divergenze? Lui ama cacciare, e spesso snobba le cime, cercando piacere più nell’osservazione della fauna, e come attrezzatura è un minimalista, che predilige la tradizione. Io, diversamente, cerco sempre di raggiungere il punto più alto e prediligo la tecnologia, anche se gli invidio il suo viaggiare leggero. Quindi per fare una sintesi siamo due solitari che decidono di fare una bi-solitaria.  Si parte all’inizio di una strada forestale dissestata che si inerpica all’interno della “Riserva naturale orientata Serre della Pizzuta”. Fermiamo il mezzo presso uno spiazzo, e indossiamo gli zaini, pardon, io indosso lo zaino, Pippo ha una sacca e un bastone. Si parte risalendo la carrareccia, in stato di abbandono, mirando alla portella(forcella) del Garrone. Nella nostra fantasia oggi vorremmo fare due cime: la Pizzuta e la Costa di Carpineto, ma la precedenza va alla Pizzuta. Poco prima della forcella seguiamo un evidente traccia, anche segnata da bolli rossi che percorre il versante occidentale del monte (cartello con indicazioni per la grotta del Garrone). Dopo pochi metri giungiamo sul bordo della spelonca e con attenzione ci caliamo al suo interno. Si tratta di una grotta carsica, tutto il monte è geologicamente carsico, l’evidente cedimento della volta ha creato questa piccola meraviglia. Sostiamo quel tanto per rinfrescarci, la temperatura è frizzantina. Usciti dalla spelonca procediamo lungo il sentiero, che con dolce pendenza risale il crinale. In lontananza ci divertiamo a riconoscere alcune cime dalle caratteristiche forme. La flora è splendida, ci dilettiamo a identificare erbe e alberi, siamo ammaliati da tanta bellezza. Raggiunta la quota di 1140 metri, il sentiero cambia bruscamente direzione, risalendo il ripido pendio erboso. Non ci sono tracce, solo radi bolli rossi che bisogna trovare tra i fasci d’erba. I segni portano ad un esile forcella che traghetta il sentiero sul versante opposto. Noi decidiamo di proseguire per cresta sperando di raggiungere la cima. Qui comincia il tratto più avventuroso, procediamo senza nessuna traccia, niente di nulla, solo affidati alla vista e all’intuito. Ma siamo eccitati, divertiti, e tra balze erbose e rocce camminiamo a fil di cresta, guardando sempre a meridione nella speranza di scorgere il punto più alto. Il versante ad oriente che percorriamo è scosceso, ma praticabile, invece a occidente il versante è esposto e impraticabile, dalle altissime pareti verticali.  Più di una volta abbiamo l’illusione di aver raggiunto la cima principale, ma troviamo sempre un rilievo più alto da raggiungere più avanti. Alcuni passaggi delicati Pippo li affronta direttamente, risalendo la nuda roccia con passaggi di II grado e più; io preferisco aggirare l’ostacolo cercando i passaggi migliori a costo di scendere e risalire più volte. Due modi diversi di affrontare la montagna. Bellissima è stata l’ennesima illusione di aver raggiunto la massima elevazione e di scoprire che era più avanti, o lo scendere per una cengia naturale sul versante occidentale, sapendo che in pochi saranno passati da questo versante. Questa sensazione di libertà, esplorazione, è infinitamente emozionante. Più di una volta siamo passati da un versante all’altro, esplorando la gigantesca dolina abitata da una foresta di pietre. Pippo si è mosso al suo esterno, io mi ci sono calato dentro. E spesso ci chiedevamo:<< Ce la faremo? Da qui si passa?>> Cercando l’uno nello sguardo dell’altro la conferma e il coraggio per proseguire. Ma in questo caso l’unione fa la forza. Osservavo il mio compagno, che nulla aveva a che fare con il classico escursionista. Mi appariva più simile a una figura del passato, a quei pastori greci che ravvivano nella mia memoria le legende classiche scritte da Omero, figure mitologiche e aristocratiche. Finalmente raggiungiamo la cima, wow! Una bellissima e grande lastra di roccia solcata, e due, dico due sassi, posti al suo vertice. Meraviglia, niente croci o altri simboli che ne avrebbero deturpato la purezza. Mio cognato mi confessa che non era mai stato su questa vetta, malgrado fosse gravitato nelle vicinanze più volte. La bellezza del selvaggio, la sua purezza, ci giriamo intorno a osservare, per memorizzare questi istanti. Il cielo nel frattempo si è velato, rendendo la temperatura più sopportabile. Rientriamo alla base proseguendo a meridione, scoprendo che dopo la cima il pendio è dolcemente inclinato. Ci attende un immenso piano erboso dove ci caliamo con passaggi facili. Fermandoci di tanto in tanto ad osservare la fauna, tra cui ricordo il bellissimo usignolo, che  a pochi metri da noi era intento a proteggere il nido. Scesi di quota per un centinaio di metri incrociamo il sentiero che dal versante occidentale ci avrebbe riportato sul sentiero percorso in mattinata uscendo nei pressi della grotta del Garrone. Si ripercorre il sentiero dell’andata, soddisfatti, guardando la montagna con un sentimento mistico e nostalgico, per gli indimenticabili attimi che ci ha donato. Si rientra a casa, deliziandoci con l’eccellente cucina della padrona di casa in compagnia di amici occasionali. Nel primo pomeriggio si va al lago, passeggiando lungo la riva e salutando “la Pizzuta” la montagna regina della valle.

Il vostro “Forestiero Nomade”.

Malfa.

 

 














































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