Cime Centenere 2295 M.
Note tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Orientali Friulane -Gruppo del Duranno- Cima dei Preti.
Avvicinamento:
Montereale-Barcis-Cimolais-Passo San Osvaldo-Erto- Rotabile per la val Zemola.
Punto di
partenza: Parcheggio quota 1179, pochi metri sotto il rifugio Casera Mela.
Dislivello:
1100 m.
Dislivello
complessivo: 1126 m.
Distanza
percorsa in Km: 14,5 km.
Quota minima
partenza:1179 m.
Quota massima
raggiunta: 2295 m.
Difficoltà: escursionistico
fino alla base della forcella, dopo per esperti con passaggio di I grado non
esposto.
Segnavia: CAI
374-Bolli blu fino al rifugio, verdi presso la forcella.
Tempo
percorrenza totale: 4,5 ore.
Fonti
d’acqua: Numerosi ruscelli durante l’ascesa e fonte presso il rifugio Maniago.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 021.
Periodo
consigliato: giugno-settembre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e ben marcato.
Data: Sabato
20 agosto 2016
Relazione.
Cime
Centenere 2295 m.
Cime
Centenere appuntamento rinviato di una settimana a causa del sopraggiungere del
maltempo. Sul web ho cercato una variante diversa da quella che sale dalla
valle Cimoliana, imbattendomi nella bella relazione di Andrè Rao, a cui mi
ispiro per questa escursione. Non avevo ancora percorso la Val Zemola fino al
rifugio Maniago, quindi ne approfitto per prendere più piccioni con una fava.
Nel giorno che precede l’escursione appronto lo zaino per un percorso che non
prevede ferrate e terreni malagevoli. Insomma, un bel giro che mi porterà alla
cima più elevata delle Centenere. Arriva il sabato, durante la prima colazione
dalla terrazza di casa osservo l’orizzonte, anche se il cielo è plumbeo, la
giornata non si presenta male. Parto! Percorrendo l’itinerario automobilistico che
passando da Barcis, Cimolais e passo Santo Osvaldo mi porta ad Erto. Entro nel
leggendario borgo seguendo le indicazioni per la Val Zemola. Percorro l’esposta
ed ardita forestale scavata sul fianco occidentale della valle solcata dal torrente
Zemola. Arrivo al parcheggio (quota 1171 m.) presso il rifugio Casera Mela, spengo
il mezzo, zaino in spalle e sogni al seguito, parto per questa nuova avventura.
Seguo le indicazioni per il rifugio Maniago (sentiero CAI 374), una carrareccia
che si inoltra nel bosco superando alcuni stavoli. Un cartello con indicazioni
per casera Galvana e Rifugio Maniago mi invita a seguire il sentiero a destra.
La comoda traccia costeggia dall’alto il torrente Zemola fino a guadare l’ampio
greto (bolli blu). La visione si apre sulla val Zemola e sulle cime che la
circondano. Al di là dell’argine è posto un cartello con le diramazioni per
casera Galvana (sentiero 908) e per il rifugio Maniago (sentiero 374). Seguo
quest’ultima traccia che con moderata pendenza mi porta a guadare un ruscello. Il
sentiero ben marcato e segnato risale la faggeta, intersecando in più punti la
carrareccia di servizio al rifugio. I segni e i cartelli sono chiari, è
impossibile perdersi. Raggiunta all’incirca la quota di 1600 metri il sentiero
esce allo scoperto costeggiando dall’alto il torrente di Bozzia, ed effettuando
una lunga ansa che diventa panoramica sulle bellissime cime poste a occidente,
tra cui le tre grazie “Monte Borgà, La Palazza e monte Zita”. La lieve pendenza
rende piacevolissima l’escursione. Un piccolo bosco di Larici precede l’ampio
prato dove è sito il rifugio Maniago (quota 1730 m.), come per magia lo
intravedo da lontano tra le fronde. Raggiunta la struttura rimango affascinato
dai bastioni meridionali del monte Duranno, così imponenti da intimorirmi. Fuori
dal rifugio incontro il gestore intento a sistemare le attrezzature, lo saluto,
ricambia. Procedo per la forcella del Duranno, non prima di essermi dissetato alla
simpatica fontana creata con un tronco d’albero. Sopra il rifugio si diramano
due sentieri: a sinistra per il sentiero alpinistico e attrezzato Osvaldo Zaldonella
(382), a destra per la forcella del Duranno il 374. Proseguo per quest’ultimo
risalendo il sentiero ben marcato che attraversa un mugheto. Rapidamente
guadagno quota portandomi sempre più vicino al Duranno. Scruto le sue pareti,
intravedo l’enorme canalone che lo solca in mezzo e la famosa cengia. Numerose
volte mi fermo ad ammirarlo e fotografarlo, è un rapimento mistico. Entro in
un’altra dimensione e in essa mi lascio andare. A causa della luce proveniente
da est sono soggetto alla controluce, non riesco a vedere bene le pareti
occidentali delle cime delle Centenere, ne ignoro lo sviluppo, procedo seguendo
il sentiero. È mia abitudine (irrinunciabile) quella di approfondire e studiare
gli itinerari delle escursioni da effettuare e contemporaneamente di cancellare
dalla mente i particolari, lasciando alla memoria solo le quote, il numero dei
sentieri e qualche indicazione topografica. Questo metodo mi preserva dalla
noia, lasciandomi vivere totalmente l’avventura. I mughi cedono il passo alle
balze erbose, il bel sentiero supera un impluvio secco, sempre per traccia marcata
risalgo il pendio di ghiaie e zolle d’erba portandomi alla base della parete
rocciosa. La mia attenzione viene attratta dallo skyline di figure umane che in
controluce attraversano la forcella, seguite poco dopo da quattro stambecchi.
Immagini surreali, sembra la scena cult del “Settimo Sigillo” di I. Bergman,
quando la morte conduce gli uomini verso l’inevitabile destino. Intravedo delle
figure umane tra i meandri della parete, intuisco che percorrono delle cenge,
mi piace! Mi manca il contatto con la roccia dolomitica, le mie mani hanno
bisogno di toccarla. Sono giunto sotto
la parete, ed incontro una simpaticissima coppia di ultra sessantenni veneti accompagnati
da un vispo cagnetto. Gioco con il fido, mi fermo a conversare con la signora,
loquace quanto me, scoprendo che il suo papà era originario di Messina, sopravvissuto
al terribile terremoto del 1908. La signora è solare, un peperino dagli occhi
azzurri, il marito è silenzioso, personalità da orso, tipico uomo di montagna.
Mi perdo nel volto della signora che somaticamente mi ricorda quello di mia
madre, ritrovando nei suoi lineamenti qualcosa di familiare. La Grande Signora
di roccia riesce a far incontrare e dialogare esseri che normalmente nelle città
nemmeno si saluterebbero. La magia di liberare lo spirito e di purificarsi in
un unico disegno sovrannaturale.
Salutati gli
escursionisti mi appresto ad affrontare il tratto roccioso. Nulla di
trascendentale, solo un passaggio di primo grado basso e anche protetto. Lo
risalgo alla destra seguendo i segni CAI, il bollo a sinistra verde non mi convince,
al ritorno costruirò un ometto nel punto più facile dove superarlo. Uscito dal salto
procedo prima tra roccette e poi per esile cengia di ghiaia, risalendo un
piccolo tratto di sfasciumi fino alla base della parete che precede la
forcella. Mi fermo a fotografare, il posto merita, e il vicino spigolo
meridionale del Duranno è fantastico, se non bastasse devo aggiungere al
sublime la visita di un curioso stambecco. Dire che sono in estasi è riduttivo.
Continuo! Arrivato in forcella (quota 2217 m.) mi dà il benvenuto una
famigliola di stambecchi. Ad intuito ricostruisco il nucleo familiare. Padre,
madre e due figli, classica famiglia. Lui (il padre) tiene sott’occhio la
situazione, è il più coraggioso, si avvicina fino ad un metro da me. Mantengo
un atteggiamento naturale, come se non fossi sorpreso dalla loro presenza. La
sua signora mi sembra civettuola, si adagia sull’erba e come una musa posa per
la mia reflex. Ha intuito la mia passione per la pittura o forse vuole essere
immortalata per Facebook? I due cuccioli ora si avvicinano, il padre soffiando
li richiama! Chiaro è il motivo di tale rimprovero, si applicano poco nello
studio (materia: alpinismo, settimo capitolo, “le pareti di VI grado”).
Estraggo dalla mia borsa il contenitore con la frutta secca, spargendola vicino
loro, e salutata l’allegra famiglia proseguo per la mia meta, che a occhio
dista solo poche centinaia di metri. Il sentiero 374 scende di poco procedendo
a meridione verso la forcella Lodina. Proseguo dalla forcella per tracce di stambecco
e risalgo a meridione l’affilata crestina, mantenendomi a oriente sul ripido e
inerbito versante. Dei paletti indicano l’evidente itinerario da seguire. Un
piccolo salto percorribile senza l’aiuto delle mani mi porta nell’ultimo tratto,
ancora pochi metri d’erba e di rocce, sfioro alcune stelle alpine. Eccomi sulla
piccola ed esposta massima elevazione delle Centenere (quota 2295 m.), solo un
paletto e un cumulo di sassi, niente croci o altri simboli. Cima spartana da
dove poter ammirare, nuvole permettendo, il paradiso. Nel frattempo le nuvole
birichine giocano con le cime dei monti e i loro viandanti. Nascondendo e
svelando in un gioco di luci e ombre le meravigliose dolomiti. È uno spasso,
fantastico, mi copro con la giacca a vento e mi siedo ad assistere allo
spettacolo, canticchio le parole della bellissima canzone di Fabrizio De André
“Le Nuvole”.
<<
…vanno vengono, ogni tanto si fermano, e quando si fermano sono nere come il
cervo, sembra che ti guardano con il malocchio. Certe volte sono bianche e
corrono, e prendono la forma dell’airone o della pecora, o di qualche altra
bestia; ma questo lo vedono meglio i bambini che giocano a corrergli dietro per
tanti metri. Vengono vanno ritornano, e magari si fermano per tanti giorni che
non vedi il sole e le stelle, e ti sembra di non conoscere più il posto dove
stai. Vengono vanno,
per una vera
mille sono finte e si mettono lì, tra noi e il cielo, per lasciarci soltanto la
voglia di pioggia.>>
Poesia, magia pura, arte, sono inebriato. È
tutto vero? Non lo so, e chi lo può sapere?! Intanto mi diverto, guardandomi intorno.
Sono seduto in bilico sull’orlo dell’abisso, le verticali pareti di roccia che
a occidente strapiombano sulla Val Zemola, e sull’altro versante osservo i
ripidi prati che dominano Cimolais. L’eterno funambolo che vive in me sazia la
sua sete di vivere due mondi paralleli, sperando che la fune non si spezzi.
Trascorsa un’ora sulla cima, rientro per lo stesso sentiero, ma svogliatamente.
Alla forcella trovo ancora gli amici stambecchi, mi ostacolano il passaggio, un
invito a prestare la mia attenzione ai loro giochi? Cortesemente colgo
l’invito, assistendo ad uno spettacolo circense. Gli acrobati animali si esibiscono
in una serie di salti, apprezzo molto il dono, li ringrazio e scendo per la
caratteristica forcella del Duranno. In breve guadagno la base della parete
rocciosa. Ripreso il sentiero, lesto, mi avvio verso il rifugio incontrando
lungo il percorso numerose comitive di escursionisti. Raggiunto il rifugio
Maniago, sosto presso la fontana, dissetandomi con l’acqua fresca. Tutto
intorno un brulicare di escursionisti dai svariati dialetti. Evidentemente il
rifugio grazie alla sua posizione naturale esercita un forte richiamo sugli
amanti del trekking italiano. Le nuvole, basse, mi invitano a rientrare
all’auto, rinviando in futuro i propositi di allungare con altre mete l’escursione.
Scendo per il sentiero dell’andata, incontrando e fermandomi a conversare con
diversi escursionisti. Raggiunta l’auto, mi appresto alla partenza. Sento un
vociare, aguzzo l’orecchio, è una comitiva CAI bresciana, incavolati a causa
del loro capo gita che li ha piantati in asso. Sorrido, e penso a una famosa
massima Zen. << Paese che vai “Topo-Gigio” che trovi!>>
Finiva così
la dolce escursione nella Val Zemola, uno scrigno di gioielli per chi ama la
montagna.
Il vostro
“Forestiera Nomade”
Malfa.
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