Monte Giaideit e
la dea Apate.
Mi mancava l’esperienza di dipingere per monti, con
questo avvenente proposito mi avvio per la valle dei sogni, si, per Illegio,
borgo ideale per chi ama fantasticare. Il lago di Cavazzo con i suoi pitturi
azzurri mi inizia alla Carnia, ancora poche curve tra i verdi passi e sono al
cospetto della regina Amariana.
La veterana ed ardita strada scava dentro l’anima
del monte, giungo all’ora che i bimbi si presentano a scuola, chiedo a un uomo
dall’aspetto libero se vago giusto per la mia meta, avvallando i miei
propositi, mi consiglia, guidandomi tra le viuzze.
Mentre cammino per l’anima di Illegio mi par di
vedere la dea Artemide con due cani al seguito. Pervengo al confine del muro
dove gli umani giacciono per l’ultimo sonno, mi guardo intorno, e mentre mi sto
predisponendo per l’escursione mi si avvicina la Dea Diana, la meravigliosa
creatura mi elargisce consigli, avvisandomi di star desto al tratto franato e
alle insidie del bosco. Ascolto i suoi saggi consigli, malgrado sia incantato
dalla bellezza del suo volto, un soffice vento le sposta le ciocche bionde
celando per pochi istanti i meravigliosi occhi azzurri.
Entusiasmato dal felice incontro mi avvio per la
mia strada, percorro la vecchia mulattiera o “troi” come la chiamano i locali;
la sua origine si perde nel tempo, dalle ferite sui ciottoli intuisco che da
sempre le genti ne hanno seguito la rotta per giungere al sacro pulpito, dove
il sogno subentra alla realtà. Adesso sono puro spirito che cammina dentro un
paio di scarponi. Il sentiero conduce alla pieve di San Floriano, l’edificio
sorge su un colle che domina la valle del But, non è difficile intuire che da
questo luogo, sin dai tempi remoti, l’umana specie si dedicasse a riti sacri.
Mi affaccio dal suo terrazzo, scruto all’orizzonte
le meraviglie dell’arco alpino, lasciandomi prendere da sogni sensuali che non
continuo per la contrariante presenza del luogo sacro.
Mi indirizzo verso il crinale, pochi metri dopo
scorgo un bel sentiero, affianco un manufatto di cui mi colpisce la forma della
costruzione, la magia del luogo la si respira nell’aria.
Le foglie si tingono di mille colori pronte per il
canto del cigno, sarà dolce la caduta verso il suolo e la morte le coglierà nel
sonno.
Il bosco è oscuro e umido, lo percorro con un
tenue timore, avverto la presenza sinistra di Apate, la vedo, se ne sta
adagiata sull’inconsueta incurvatura di un tormentato e sopravvissuto abete
bianco, devo passarle sotto. Lei mi guarda con un ipocrita sorriso, i suoi
capelli sono aspidi, ammaliano per poi cingerti in un mortale abbraccio.
Superata la frana che non occulta la recente
ferita, giungo sulla ripida cresta, che cavalco con gioia, il dio “Sole”
ritornato dalle ombre mi sarà compagno e amico. Tra i bellissimi pini mi
destreggio, conseguo metro dopo metro fino a raggiungere il tratto attrezzato,
utile più per non distrarsi dalla magnificenza del luogo che per le difficoltà
oggettive.
Sono vicino la meta, nel mio specchio visivo
l’azzurro domina il giallo dei prati, una croce e una panca mi invitano a
mollare lo zaino e liberare le braccia alzandole al cielo in segno di
ringraziamento. Adesso chiudo gli occhi lasciandomi baciare dai caldi raggi del
fratello e amico giorno. Mi preparo il materiale, estraggo dallo zaino l’album
da pittura, colori e pennelli. Tra le cime che mi circondano mi ispira il
regale Sernio, ancora velato dalle ombre grigio-verdi, il cielo terso ne fa
cogliere la forma, una coraggiosa nuvoletta ne vorrebbe rinfrescare la cresta
mentre in basso i caldi e accesi colori autunnali dei colli ne completano il
quadretto.
Assaporo con la bocca la fresca acqua della
ciotola, succhiandone le setole del pennello e allo stesso tempo dandogli forma
affusolata, è tanto sensuale questa azione, per fortuna sono solo, avrei
sicuramente alimentato desideri libidinosi e sopiti delle amanti della sacra
arte della sensualità.
Mi dedico alla delicata pittura dell’acquerello,
fa caldo, sono in canotta, sento il sole che mi scalda e il vento che mi
delizia con le delicate carezze. Dopo il primo dipinto e alcuni abbozzi, mi
giro e alle spalle noto un prato dorato pronto per ospitare i miei sogni.
Lascio il materiale presso la croce, spostandomi sul morbido tappeto e in esso
mi distendo lasciandomi andare al piacere dell’assoluto, dimenticando le
insidie degli amici insetti.
Il tempo dedicato al sole è volato, mi ridesto,
dedicando i miei passi all’esplorazione del sentiero, scoprendo che non ero in
cima ma nell’ante.
Mi dirigo con tutto l’armamentario verso la
massima elevazione e dopo alcuni brevi passaggi con l’ausilio di cavi mi appare
la vetta, niente croce, solo un grande cerchio in metallo con la rosa dei monti
che mi circondano. La visita di cortesia è breve, lo stretto spazio non è
idoneo all’ozio, colmo di sogni ed emozioni, decido di porre fine al viaggio e
di rientrare a valle.
La discesa è dolce, la calda giornata autunnale mi
porta lontano sino alla mia terra di origine, a volte ne sento la mancanza.
Ripasso sotto il sofferente abete, lei, Apate, è
sospesa in aria, stavolta ho l‘impressione che mi abbia sfiorato, allungo il
passo, voglio allontanare la sua triste presenza.
Nell’ultimo tratto poco prima del ponticello,
vengo svagato da un suono sinistro, che poco a che fare con la poesia del
bosco, forse proviene dal mio cellulare o dalla valle, ma questo mi fa
incespicare su un’ingannatrice radice che ha le sembianze di uno dei serpenti
di Apate. Stavo per schiantarmi su un masso, per fortuna ho messo le mani
avanti, ma ora ho terrore, allungo il passo, lei mi chiama, mi parla, si scusa
per l’accaduto, ma io non mi volto indietro, auspicherei che la dolce dea
bionda incontrata al mattino mi apparisse per salvarmi, supero di corsa i prati
e finalmente raggiungo l’auto.
Sono profondamente scosso, ancora mi par di udire
la sua voce e di vedere le serpi che le adornano il volto. Sono lesto nel
cambiarmi, voglio al più presto raggiungere la valle. Non è facile liberarsi
del triste momento, penso che Apate non abbia avuto rispetto per il viandante
dagli occhi azzurri, non ha letto nel suo cuore la limpidezza di un animo che
non serba insidie. Perché lo ha ingannato, cercando di fagli male con
quell’insidioso ramo? Sono domande a cui solo lei può rispondere. Per fortuna
il sole mi è amico e la sua calda luce mi ha portato fuori dall’insidioso
bosco, svegliandomi e salvandomi dal triste destino.
Con l’animo malinconico ma con lo spirito libero e
indomito, viaggio per la via del ritorno, con una montagna conquistata e una
nuova storia da raccontare.
Malfa.
Domanda oziosa quella rivolta alla dea Apate, l'inganno fa parte del suo essere dea, appunto. Pertanto abbi , qualora la incontrassi di nuovo, cura di procedere guardingo, amico mio.
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