Powered By Blogger

lunedì 23 gennaio 2023

Monte Santo da Lestans

Monte Santo da Lestans

Un giorno non precisato di novembre, mentre scorrevo l’indice sulla mappa del territorio di Castelnovo del Friuli, leggo Monte Santo, un colle posto a quota 471 metri sul livello del mare, il più alto del comune in cui è ubicato.

La giornata che segue sarà l’ideale per l’escursione, partirò a piedi direttamente da casa. Il mattino seguente, zaino in spalle e sogni al seguito, lascio l’abitazione mirando a nord, verso i colli di Castelnovo del Friuli.

È seducente camminare senza l’ausilio meccanico del mezzo di trasporto. Attraverso i vicoli di Lestans, mentre le massaie sono ancora intente nelle loro operazioni quotidiane, dalla scuola elementare provengono le grida giocose dei bimbi, e la temperatura frizzantina aiuta a far nascere i propositi più positivi, specie se si viaggia protetti da indumenti caldi e morbidi.

Dalla periferia di Lestans, con un passo lesto, mi dirigo a nord, per una stradella di servizio che passa dietro il dismesso cementifico.

Quest’ultimo appare come un gigante dormiente, una autentica cattedrale nel deserto, nei decenni trascorsi fu causa di lotte politiche tra coloro che lo volevano dismettere (comunità di Lestans) e altri che si opponevano; vinsero i primi, e tra i fautori della vittoria mi viene in mente il nome della Dirce, una gran bella persona, una pasionaria, che ho avuto l’onore di conoscere e ritrarre.

Subito dopo il cementificio è un bel vedere, attraverso una singola frazione. Un gigantesco olmo regna solitario, e la sua ombra mi indica la periferia del borgo di Molevana in basso. Il passo ora è lento, delicato, sento il latrare di un cane, fiocchi rosa appesi a una recinzione di un’abitazione manifestano che in quella casa una nuova vita cattura le delicate attenzioni degli occupanti. Le sapienti pietre sagomate delle costruzioni mi fanno sognare, rivivendo odori, colori, suoni e volti di una civiltà contadina mai vissuta, e che perdura malgrado il progresso tecnologico.

Aggiro a oriente le ultime abitazioni, voglio ritrovare per il solo piacere di ammirare, una coppia di anziani di cui mi sono innamorato. Al mio passaggio loro non sono nel cortile, ma dall’interno dell’abitazione, da dove provengono dei suoni, tra cui riconosco quello della lavatrice. Questo breve tratto di sentiero remoto mi ha sempre emozionato, eretto con i sassi strappati alla terra, e adesso coperto dalla lucente e profumata vegetazione, ed esso mi conduce a Pontic, il vetusto ponte edificato dai Legionari Romani.

Anche oggi la sua costruzione risulta ardita, vola leggiadra sopra l’impressionate forra del Torrente Cosa, solo pochi metri da percorrere, ma incute tanto rispetto. Oltrepassato il ponte sono a ridosso del bosco nord-occidentale di Castelnovo del Friuli, mi inoltro nell’ombroso e gelido vallone, seguendo dei cartelli, posti dagli appassionati di mountain bike lungo una dismessa carrareccia.

La percorro in una faticosa salita e mi ritrovo a ridosso di una forcella. Proseguo per un sentiero ben battuto, e dopo alcuni saliscendi abbastanza problematici (per via del terreno viscido e sabbioso) mi ritrovo a ridosso del primo rudere della frazione di Gai. L’edificio, costruito con sapiente maestria (ricoperto da smeraldina edera), resiste ancora al tempo, ne visito l’interno, alla ricerca di rivelazioni che prendo da piccoli particolari. Continuo il cammino, raggiungendo il più corposo raggruppamento di stavoli, pochi metri dopo una piccola cappella, restaurata e con all’interno dipinta una graziosa madonnina.

In uno stavolo (mal ridotto dall’incuria e dallo scorrere del tempo), trovo appeso all’anta in legno dell’ingresso, un singolare elenco di nomi di una famiglia, adesso emigrata in Francia. Questa testimonianza mi provoca tristezza e tenerezza, e mi fa pensare. Tutti vaghiamo in questo mondo: in cerca di lavoro, libertà, sogni, ma, purtroppo, c’è sempre qualcuno che non vuol comprendere. Rispettoso della testimonianza cartacea, osservo alcuni particolare, un vecchio bibigas, il numero civile ancora leggibile e posto su un architrave. Avverto una sorta di melanconia e desolazione, molto dolorosa, come se questo luogo mi appartenesse da generazioni, come se fosse stato il mio luogo natio, la mia casa. Proseguo per il sentiero, che stavolta si fa aereo, anche se protetto dalla vegetazione. Cammino su questa bella cresta che divide la valle del Cosa dai colli di Castelnovo. Percorro sentieri ben battuti, visito grotte che diedero rifugio ai partigiani, respiro l’aroma della natura selvaggia. Vago, cammino, sono libero e son vivo.

Decido di lasciare il sentiero che prosegue in direzione della vecchia frazione di Molevana, per cavalcare la cresta, sino alla Forca. Ho modo di ammirare a meridione il bel torrione del castello di Vigna, da esso si dominano tutti i colli di Castelnovo del Friuli. Sono stregato dal paesaggio sublime, e chissà quante storie custodiscono i borghi di questi rilievi. Un’autentica enciclopedia di quasi due millenni di intenso vissuto umano.

Con peripezia e intuito, sempre per selvaggia cresta, pervengo sino alla forca, successivamente percorrendo per pochi metri la rotabile interna del comune, per dirigermi alla frazione di Faviz e Rez (cartelli con indicazioni).

Questi colli sono composti quasi interamente di granuli, ma anche di fanghi e di ghiaie, i prodotti dell’erosione erano trasportati verso meridione da torrenti e fiumi che, intorno a dieci milioni di anni fa, li abbandonavano nelle zone pianeggianti. Sabbie e argille erano dunque abbandonate in una tranquilla baia deltizia dove si accumulava periodicamente anche dello sfasciume vegetale. Il sito di Castelnovo del Friuli, attraverso i suoi sedimenti e rocce, racconta di un iniziale ambiente di baia deltizia che in seguito è stato sommerso dal sollevamento del mare. Mare che, all’inizio del proprio innalzamento, ha raccolto e accumulato un esiguo spessore di ghiaie abbandonandole lungo la locale spiaggia. Quando di lì a poco il livello marino si è stabilizzato, gli apporti fluviali hanno costruito un delta che nel tempo ha preso ad avanzare muovendosi verso la stessa zona di Castelnovo del Friuli.

Quanta emozione mi trasmette il poter leggere la geologia del luogo, e ogni fazzoletto di territorio serba informazioni che arricchiscono il mio sapere. Non manca nulla per poter abbinare l’erudizione al piacere della natura.

Percorro la stradina asfaltata di servizio, e poco prima della frazione di Rez, vengo morso a un polpaccio da un cagnetto lasciato imprudentemente libero. Ho sentito i dentini sulla carne, però non hanno forato i pantaloni, ma avverto uno strano bruciore. Mi disinfetto la gamba dove la bestiola ha lasciato i segni dei canini, ripeterò l’operazione subito dopo in vetta al monte Santo. Presso un tornante, termina la strada asfaltata, proseguo per quella campestre, che inizia proprio di fianco ad una abitazione sorvegliata da un pastore tedesco molto vigile. Il tratto di percorso è breve, presso il seguente tornante, un cartello mi invita a lasciare la strada campestre e percorrere il sentiero che porta alla località Celante. Seguo la marcata traccia per pochi metri, finché, raggiunta la forcella in cresta, lascio il sentiero per proseguire a destra, lungo il crinale. Trovo qualche segno di passaggio, ma l’itinerario è intuitivo, mancano solo 50 metri di dislivello alla vetta. Senza particolari patemi, destreggiandomi nella vegetazione selvaggia, raggiungo il vertice, materializzato da uno splendido e gigantesco castagno. Fatta! Monte Santo conquistato. È davvero selvaggio l’ambiente che trovo a 471 metri di quota, la visuale è ostruita dalla vegetazione. Malgrado sia il colle più alto, non si scorge nulla del paesaggio circostante, solo i ricci delle castagne per terra. Anche lo stesso cielo è ostruito dalle fronde degli alberi, sembra un ambiente che non conosce la presenza dell’uomo. In un incavo ricavato dalle varie diramazioni dei tronchi del castagno, trovo l’alloggiamento per il contenitore del libro di vetta. Mi piace abbracciare questo vecchio signore (il castagno), esso oggi rappresenta la meta, e aggiunge atmosfera fiabesca all’escursione. Sono rapito da questo luogo che sa tanto di foresta di Sherwood. Gioisco della bella giornata donata, della sensazione di infinità libertà che dà la montagna. Rientro per lo stesso sentiero dell’andata. Presso la frazione di Vigna devio per una remota variante che mi riporta a Molevana nuova. Cammino deliziato dai raggi solari del meriggio, di tanto in tanto mi volto indietro per contemplare i colli che ho appena percorso. È magia pura la località di Castelnovo del Friuli, un eden per chi ha un animo folle, libero, sincero, sensibile e d’artista, e giorno dopo giorno, anno dopo anno, questo luogo lo sento sempre più mio.

Il Forestiero Nomade.

Malfa

 

 



























 

Nessun commento:

Posta un commento