La magia vola sopra Somp Cornino…
La melanconia mi spinge a prendere lo zaino e volare
per sentieri, a caccia di sogni mai vissuti e ricordi cancellati dal tempo.
Cieli che si tingono di primavera in questo freddo inverno. Guido per le strade
che conoscono i miei stati d’animo in tutte le stagioni. Questo mio volto
inciso dai solchi dell’età è simile a un vetusto castagno che non smette di
sognare. Morirei piuttosto! Raggiungo Somp di Cornino, ed è meraviglioso il
borgo alle prime ore del mattino. Lascio l’auto in un vicolo, in Via della
Resistenza, ma non devo combattere questa battaglia contro un tetro nemico, ma
più che resistere, oggi voglio solo fuggire. Il primo passo sul sentiero è
l’inizio del cammino, e una miriade di mulattiere si dirama, e tutte conducono
alla frazione di Ledrania, 400 metri di dislivello più sopra. È piacevole il camminare,
vivo, e i sassi che mi guidano raccontano la fatica e la gaia vita. Mi fermo
spesso, non per la fatica ma per l’avvenenza del luogo, tutto è sublime, come
fare visita a una galleria d’arte.
In alto i grifoni volteggiando iniziano la danza,
disegnando nel blu cobalto allocuzioni che riesco a leggere, parlano d’ amore.
Eh, sì, l’amore è il motore della vita, è la stessa energia che scorre nel mio
corpo, nel mio cuore e nella mia mente, dando quel luccichio riflesso che sa di
umido e salato ai miei occhi e nel medesimo istante darmi intenso tormento, e
pensare che alcuni considerano l’amore solo un’inutile perdita di tempo che non
accresce il conto in banca.
Le rampe del sentiero mi portano sempre più in alto e
da esse posso ammirare la meravigliosa pianura friulana. Il profilo del monte Ragogna
è Illuminato da una calda luce, e
somiglia a un gigante dormiente. Dormi piccola montagna, tu che serbi nei tuoi antri, tanti segreti e tante storie
vissute. Raggiungo il pulpito panoramico, un autentico altare naif. Ora mi
addentro all’interno del colle, raggiungo una stradina asfaltata che percorrerò
in salita. Supero i desertici stavoli di Ledrania, ricordo che un giorno incontrai
proprio in questo luogo una simpatica coppia, madre e figlia: <<Verranno
in primavera? Chissà!>> Proseguo lungo la carrareccia per raggiungere un
secondo gruppo di stavoli. Da un sentiero vedo provenire una simpatica signora,
arzilla, poco sopra il rumore sordo di una motosega annuncia la presenza del
suo cavaliere. Sono una coppia di ottuagenari friulani, intenti a fare legna.
Mi fermo a conversare, mi presento, si scherza, siamo abbastanza loquaci. Il
simpatico omino è un uomo vissuto, conosce le genti d’Italia, non mi nasconde
che ha un debole per i siculi. Come non ascoltare la saggezza di quest’uomo. Ma
la cosa più emozionante è l’amore che unisce questa bella coppia, hanno pure
pronipoti. Mi congedo da loro, ci salutiamo con il segno a V delle dita della
mano e con un “Viva l’amore”. Raggiunti gli stavoli, mi dedico a ispezionarli,
a uno a uno, cercando i segreti del tempo nelle pareti, e li trovo. Ora sono
davvero da solo, ed ecco che la Artemide esce allo scoperto, e mi guida verso
una meta luminosa, il versante imbiancato nord- occidentale della cresta che
collega monte Pedroc a Cima Pala. Oggi ho lasciato la mappa a casa, non importa,
conosco a memoria il percorso, fatto appena un anno fa. La neve sarà spessa una
trentina di centimetri, ma ben compatta, seguo le orme di chi mi ha preceduto.
Continuo per la carrareccia, mirando alla Cima Pala. Presso quota 830 metri si
dirama un sentiero a destra, poco intuibile ma presente, e ritrovo le impronte
dell’omino, le seguo, sino a raggiungere i magici ruderi degli stavoli di Cima
Pala. Mi fermo in un fazzoletto di terreno privo di neve, indosso le ghette
mentre ammiro le sacre vestigia, soprattutto un architrave curvo, con ancora
una porta sbilenca in legno con le originali cernieri, speravo di ritrovarlo. È
impossibile non rimanere incantati, in questo borgo non c’erano né elfi né
streghette, ma uomini e donne in carne ossa, gente vera che faticava per un
pezzo di pane, e che contava il passare dei giorni con il sorgere e il
tramontare del sole. Seguo quello che penso che sia una traccia sino allo
slargo poco dopo il borgo, appare come un‘arena, sono al centro di essa. Tutto
intorno ci sono strane costruzioni di sassi, sembrano nuragiche, come le mura
possenti di un antico sito, erette da un popolo sacro agli dèi, c’è del divino
nell’atmosfera, ma io cerco e trovo lui, si, l’albero sacro della vita.
Dall’ennesima costruzione in sassi emerge questo gigantesco faggio, sembrano trecento
alberi in uno, ma in realtà è uno che si moltiplica all’infinito, è l’albero
degli spiriti liberi. I tronchi nel cielo creano un megalitico ombrello di
rami, questo signore del bosco è possente, bello, forte, vivo, secolare,
eterno, ed è il simbolo della libertà. In lui vivono più nature che insieme
coesistono e sono una autentica forza. Il magico re ha radici solide, possenti,
e penetra la terra e allo stesso modo sublime conquista il cielo. Ci vogliono
radici profonde per conquistare il cielo. È vero! Uguale sentimento è per noi
sognatori. Lascio la grande figura e proseguo per la vetta della Cima Pala. Il
tratto si fa più ripido, finché mi districo tra i cumuli di sassi a forma
geometrica. Ultimi metri a seguire le tracce di un capriolo ed eccomi nella
singolare vetta: un ometto che ho eretto l’anno scorso, con su sormontata una
rustica croce assemblata con due rami di nocciolo. Al seguito ho portato il
contenitore per il libro di vetta, lo adagio alla base dei sassi in un incavo
ricavato nella neve. Il panorama è ostruito da una fitta vegetazione, ma codesta
cima sconosciuta ai più è così, prendere o lasciare, e io l’amo. La preferisco
rispetto a quelle iper-frequentate e sormontate al vertice da edifici sacri e
indecenti che sfregiano il paesaggio. Dopo gli attimi dedicati alla contemplazione
dalla cima, riprendo lo zaino e ritorno al magico faggio. È davvero magnifico
il re del bosco, lo accarezzo, lo abbraccio, lo adoro, lo saluto, ho promesso
che ritornerò da lui in primavera. Al rientro devio per una casera, posta pochi
metri sotto monte Pedroc, non ho voglia di andare alla cimetta, mi siedo su una
panchetta in cemento posta all’esterno e orientata a occidente, così mi godo il
sole. Che meraviglia, Re Sole mi scalda, e l’acqua che gocciola dalla grondaia
mi bagna regolarmente con il suo tempo, lento e cadenzato. Adopero la giacca
tecnica come separatore termico, estraggo dallo zaino la borsa con il pranzo e
il termos. Consumo il pasto mentre ammiro il prato innevato e gli alberi che paiono
gendarmi di guardia. Il torpore del sole accompagnato dalla lenta digestione mi fanno crollare in un sonno
profondo. Mi addormento e sogno. Sono rapito da una bella visione, che non trascrivo
per i risvolti erotici, ma che mi ha incantato per un’ora. Al risveglio sono
stordito. Sento freddo, mi copro, ripongo il materiale nello zaino, e inizio il
rientro definitivo. Ho fatto tardi, inizia a fare buio, calano le luci che si
tingono di una svariata varietà di rossi, dal cadmio alla lacca magenta, e
tutto si tramuta in sogno. La notte cala i suoi veli, scorgo tra le fronde
della vegetazione le luci del paesello, e una leggera tristezza mi rapisce, come quando
muore l’amore, ne ricordo la malinconia, e da una abitazione i tasti di un pianoforte
emanano una mesta melodia. Tante immagini scorrono velocemente nella mia mente
mentre incedo con prudenza nell’oscurità della notte. Rivivo il volo dei
grifoni, il gracchiare dei corvi, l’azzurro cielo che si trasforma nei leggiadri
volti dei simpatici vecchietti e il maestoso faggio con l’anima da spirito
libero. Come vorrei fermare il tempo e che fosse il mattino appena vissuto, ma
come tutte le meraviglie, l’inizio ha una fine, e il mio passo ha raggiunto la
periferia del borgo. Le luci gialle emanate dai lampioni illuminano le pareti
dei remoti casolari. La chiave dell’auto inserita nel blocchetto di accensione
intona un ‘altra musica, il rombo del
motore che scandisce la fine dell’avventura . Rientro cullato dalle luci delle
stesse abitazioni. Quanto è divino amare, quanto fa male lasciare un amore, la
prossima volta porterò il sacco a pelo e dormirò sotto le stelle…
Malfa
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